lunedì 1 febbraio 2010

Dolce amaro

"...son recinti e stalli di animali strani / gambe che per anni fan gli stessi passi / esseri diversi, scarsamente umani / cosa fra le cose, l'erba, i mitra, i sassi / l'ironia per quella che chiamiamo ragione / sbagli ammessi solo sempre troppo dopo / prima sventolanti a giustificazione / una causa santa, un luminoso scopo / sono la curiosa prassi del terrore / sempre per qualcosa, sempre per la pace / sono un posto in cui spesso la gente muore / sono un posto in cui, peggio, la gente nasce..." *



Su questo blog non si celebrano (salvo spunti particolari: ho il piacere di non essermi dato nessuna regola) nè Giornate della Memoria, nè altre ritualità simili, perchè: 1) detesto l'ipocrisia della commozione a comando; 2) le varie annuali "Giornate del ..." sono ottimi alibi per gli altri 364 giorni di smemoratezza totale; se certe questioni meritano una giornata di attenzione, vuol dire che vanno tenute sotto controllo in tutte le stagioni.
Lo spunto per questo post è nato solo dalla polemicuzza che si è sollevata la scorsa settimana a proposito delle bustine di zucchero.
Riassunto: c'è qualche azienda saccarifera che arricchisce la presentazione del suo prodotto stampando una barzellettina su ogni bustina di zucchero di quelle che si usano al bar. Tra le barzellette (in circolazione da non so quanto tempo) ce n'era una (o più) che ha scatenato un piccolo putiferio in occasione del 27 gennaio. La storiella (o una delle storielle) incriminata era: "Chi vince una gara di corsa tra un tedesco e un ebreo ? Il tedesco, perchè lo brucia in partenza." Barzelletta antisemita, indignazione generale; secondo il distributore di bustine la reazione è sproporzionata.
Per vederci più chiaro, proviamo a dotarci di strumenti di valutazione più accurati del nostro istinto. L'occasione è quindi propizia per rispolverare un articolo di Daniele Luttazzi pubblicato su "il manifesto" del 3 settembre 2009, dal titolo "Mentana a Elm Street". La sua importanza sta nel mettere in chiaro una distinzione che appare del tutto ovvia a posteriori (dopo che te l'hanno spiegata), ma alla quale difficilmente uno penserebbe autonomamente: la satira è nobile perchè il suo bersaglio è il potere (e le sue declinazioni oppressive) e, fin qui, tutti siamo capaci di arrivarci; viceversa, la risata e l'umorismo di stampo fascistoide sono tanto più disgustosi in quanto hanno come oggetto del dileggio le vittime delle violenze.
Disgustosi e subdoli. Luttazzi scrive: "Il potere usa il ridicolo, il dileggio e lo sfottò per aumentare il conformismo generale. E' una tecnica di oppressione. (...) Il dileggio invita la massa a prendere le distanze dalla vittima e a partecipare al divertimento sadico del violento. Shakespeare attribuisce ai suoi cattivi (Iago, Shylock) questo humor crudele proprio per definire la loro immoralità (...) Il potere è sovraumano in quanto disumano. Ti illude che, unendoti a lui, diventerai predatore..."
E ancora: "Questo tipo di comicità è insidioso: funziona infatti per tutta una serie di motivi sociologici e culturali che ne inducono l'esigenza. Cresce l'ansia sul tuo futuro, minacce vere incombono, i problemi sembrano irrisolvibili, e tu senti il bisogno di una fuga nella deresponsabilizzazione e nella forza muscolare che l'idea fascistoide può fornirti a buon mercato: 'Ti lamenti che non hai più diritti e che abbiamo ridotto la tua vita a uno schifo ? Guarda, c'è gente che sta ancora peggio di te: a loro abbiamo tolto anche lo status di esseri umani.' Occorre fare attenzione perchè la regressione culturale è già oltre il livello di guardia, specie qua in Italia. (...) Nell'intrattenimento passano sempre più spesso contenuti fascistoidi perchè 'funzionano' e funzionano per tutta una serie di motivi bio-politici (là dove la politica si intreccia al biologico e al senso morale) che rendono appetibile la fuga nel disumano che il fascismo e il leghismo offrono. E' un attimo caderci, se non si sta attenti."
Questi punti fondamentali mi hanno fatto tornare in mente le innumerevoli barzellette aventi come oggetto le difficoltà motorie degli handicappati, che tutti abbiamo sentito raccontare più o meno fino alle scuole medie, e che una volta raggiunta l'età della ragione appaiono effettivamente disgustose. In quel caso c'è un substrato quasi fisiologico, ma del tutto analogo a quello politico-sociale esposto da Luttazzi: nell'età dell'iniziazione ai rapporti interpersonali non più mediati o sorvegliati dai genitori, l'accettazione nella collettività dei coetanei richiede il conformismo e l'omologazione al resto del gruppo: seguire i codici, i linguaggi, le mode, e mettere in secondo piano buona parte delle proprie individualità (poichè nessuno ha ancora una personalità sufficientemente forte per affermarle con sicurezza). Dato che non è accettabile riconoscere la realtà di tale conformismo come un appiattimento e un'omologazione al ribasso, si scarica il dileggio sui soggetti meno fortunati per autoaffermare la propria omologazione e il proprio conformismo come una conquista.
Ancora Daniele Luttazzi scrive: "Qualunque battuta, su qualunque argomento cui uno è sensibile, provocherà disapprovazione e non riso. Il caso dello humor cinico o noir lo dimostra; ma non è questo il punto. Il punto è: se rido della violenza su una vittima reale; se mi compiaccio dello scherno su di lei; se la battuta si pone dalla parte del carnefice; la gag e la risata sono fascistoidi. E lo sono anche quando banalizzano l'atto del carnefice."
Che è appunto il caso delle "bustine di zucchero antisemite".
Nello stesso articolo si evidenzia anche come dei meccanismi comici si possono benissimo innescare legittimamente anche partendo dalle vittime di violenze ed oppressioni: ci sono forme satiriche che servono, in modo appropriato,a mettere in ridicolo il carnefice attraverso la vittima; e ci sono meccanismi comici a carico delle vittime che comunque prendono le distanze dagli oppressori e dai violenti (pensate a "La vita è bella" di Benigni: non si ride DELLA vittima; la serenità d'animo con cui la vittima affronta la sua tragedia per non turbare il bambino è il meccanismo per amplificare l'orrore per la violenza).
Altri esempi: Mel Brooks ha potuto fare addirittura un musical, mettendo in parodia i caratteri generali del nazismo. L'operazione comica riesce perchè si elude la specificità della violenza,e non viene messa in scena, ad esempio, Anna Frank. In un musical divertente, quello sarebbe stato dileggio di una vittima reale: scadimento fascistoide.
Charlie Chaplin ha realizzato "in tempo reale" una memorabile parodia di Hitler, "Il grande dittatore" (sapevate che Chaplin e Hitler erano coetanei con pochi giorni di differenza di età ?): satira pura, ridicolizzazione del potere, secondo me un capolavoro. Eppure, quando alla fine della guerra si svelò la verità sui campi di sterminio, Chaplin dichiarò che, se avesse saputo, non avrebbe realizzato quel film. Nonostante il nobile valore della satira, le vittime reali pesavano sulla sua coscienza di attore comico.
Insomma, i tempi sono duri, e anche la risata richiede attenzione e strumenti culturali adeguati, per non lascirasi trascinare nel baratro dell'imbarbarimento neofascista.
Infine, non dimentichiamo di tenere sempre presenti gli autori e il contesto: se una battuta sui negri la fa Eddie Murphy, ha un valore; se la stessa battuta la fa Borghezio, ne ha un altro...

immagine tratta da www.istitutocalvino.it/blog/
* Francesco Guccini "Lager", 1981

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