lunedì 13 febbraio 2012

Il Paradosso di Zenone (e quello di Ford)


Il prode guerriero Achille Piè Veloce è subissato dai debiti, sui quali deve pagare interessi strangolanti.
La lenta tartaruga gli offre un prestito con un tasso di interesse agevolato. Con i soldi prestatigli dalla tartaruga, Achille ripianerà il suo debito, interessi compresi.
Per cautelarsi sulle possibilità di restituzione del prestito, la tartaruga impone ad Achille di ridurre le sue spese correnti, e diminuire del 20 % i suoi acquisti quotidiani di ceci e lenticchie.
Poi Achille dovrà restituire alla tartaruga il prestito consistente in: debito iniziale + interessi + interesse (più basso) alla tartaruga (chiamiamoli per semplicità interesse 1 e interesse 2).
Achille si troverà presto in difficoltà a rendere una somma così accresciuta; allora la saggia tartaruga gli offrirà un nuovo prestito agevolato, pari al debito iniziale + interesse 1 + interesse 2; però Achille dovrà rinunciare ad un ulteriore 10 % della sua razione quotidiana di ceci e lenticchie, ed anche alla manutenzione annuale del suo scudo e della sua lancia.
Grazie a tali risparmi spera di restituire poi alla tartaruga una somma pari a: debito iniziale + intersse 1 + interesse 2 + interesse 3.
Ma si troverà indietro con il piano di rientro, e la tartaruga gli offrirà un prestito pari a debito iniziale + interesse 1 + interesse 2 + interesse 3; Achille ridurrà al minimo vitale la sua razione di legumi, ed il prode guerriero chiuderà definitivamente a chiave in cantina il suo scudo e la sua lancia, per poter restituire debito iniziale + int. 1 + int. 2 + int. 3 + int. 4.

E così via.

Riuscirà mai Achille Piè Veloce a raggiungere la lenta tartaruga e ripianare il suo debito ?
Non è questo il dilemma centrale del paradosso.

Ciò che rende tale il paradosso è che lo sviluppo del procedimento impone il fallimento del venditore di ceci e lenticchie, dell'artigiano che lucida gli scudi e dell'officina autorizzata Lancia (erano anni che aspettavo un appiglio per riciclare questa antica battuta, perdonerete).

Ovvero (cerchiamo di ragionare su scala mondiale, non nazionale): c'è una massa di attività economiche che producono merci e servizi. Tali merci e servizi devono essere venduti, altrimenti le attività economiche falliscono.
Merci e servizi possono essere venduti solo in presenza di un potere di acquisto complessivo in grado di assorbirli.
La massa complessiva del potere d'acquisto è data dai redditi di chi lavora alla produzione e distribuzione della stessa massa complessiva di merci e servizi; di chi fornisce materie prime a tutto il processo, dagli investimenti delle stesse attività economiche, eccetera: cioè dai costi che gravano sulla produzione della stessa massa di merci e servizi. Un gioco a somma zero.
Ora realizzo per un attimo il sogno di una vita: identifico me stesso con il Capitalismo Mondiale Globale Totale: se cerco di aumentare i miei profitti riducendo il costo del lavoro e quindi abbassando le retribuzioni di chi lavora per me, perdo possibilità di vendere quello che produco. Gioco a somma zero.
Altro che paradosso di Zenone, è semplicemente il paradosso enunciato da Henry Ford all'inizio del '900: "Se voglio vendere le mie automobili, bisogna che i miei operai siano pagati a sufficienza per acquistarne una."
Estendete il concetto all'Universo Mondo e trovate l'enuciazione dell'impossibilità del profitto. E' gioco a somma zero: il profitto d'impresa e l'accumulazione di capitali non sono teoricamente possibili (come entità complessiva: se uno guadagna, vuol dire che qualcun altro perde).

Se è stato invece (momentaneamente) possibile nella pratica, io credo che ci siano due motivi fondamentali: il primo elemento di distorsione di questo impianto teorico è il debito pubblico. L'indebitamento degli Stati permette di: a) aumentare surrettiziamente il potere di acquisto complessivo attraverso la retribuzione di una quantità di dipendenti pubblici che (udite, udite !) DEVONO essere retribuiti in misura superiore ai servizi che producono, altrimenti non si immetterebbe nel mercato il necessario surplus di potere d'acquisto che permette parte dei profitti delle imprese. Renato Brunetta ricaverà un benefico collasso cerebrale da questo discorso, ma credo proprio che sia così.
E, ben più rilevante: b) dare sbocco commerciale ad una gran quantità di merci e servizi attraverso il debito pubblico stesso, superando il potere d'acquisto complessivo reale. Lo Stato vende ricchezza che deve ancora produrre, e si indebita, per acquistare cemento, asfalto, binari ferroviari ed una gran quantità di altri graziosi oggettini (per lo più cazzate inutili) e garantire profitto ai loro produttori, spostando ancora una volta dallo zero la somma del gioco.

E' necessario che prima o poi i nodi vengano al pettine; non si può vivere eternamente a debito ed è giusto che i buchi vengano colmati: ma si sappia che questo comporta sic et simpliciter il collasso dell'economia di mercato.

Il secondo motivo è la costante espansione: si aprono alle merci sempre nuovi mercati; è chiaro però che un attimo dopo bisogna garantire ai nuovi consumatori un reddito sufficiente a sostenere i loro acquisti, e il gioco ritorna a somma zero. L'espansione continua ed illimitata funzionerebbe piuttosto bene come sostegno del profitto; ma bisognerebbe disporre di un pianeta illimitato con una illimitata possibilità di utilizzazione delle risorse. E non è il nostro caso. All'avvicinarsi della saturazione, il mercato collassa. Ed eccoci qua.
Se ora sento da illustri economisti prospettare riprese di crescita fondate su rilanci dei consumi, dovrò domandarmi: fanno finta, e cercano di tenere su di morale il popolo voglioso di nuova moda e nuova telefonia, o davvero dispongono solo di strumenti culturali da impero britannico vittoriano, fondati sul progresso ineluttabile ed inarrestabile ? Vorrei credere che ci facciano, che simulino inconsapevolezza che, a mondo saturo, i consumi non potranno mai più crescere, non fosse altro perchè il nostro piccolo ed ipersfruttato pianeta non se lo può permettere. Ma i provvedimenti che prendono parlano chiaro, purtroppo: non ci fanno, ci sono. I nostri tecnocrati sono ancora all'economia dell'epoca coloniale.

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