mercoledì 18 dicembre 2013

Un pezzo di Terra

Ecco qua, lungo il cammino che faccio ogni mattina verso il lavoro, un piccolo angolino di quella città che va giustamente fiera del suo 70 % di raccolta differenziata. E' sempre stato più o meno così da quando ci abito. Ogni tanto il Comune portava via i rifiuti abbandonati e, talvolta l'indomani stesso, qualcuno arrivava subito a scaricarne altri. Ora pare che la linea politica si sia modificata nella direzione del "quando sarà tutto pieno, non potranno più metterci altro".
Una specie di discarica a furor di popolo, e un micro-esempio che potrebbe essere rappresentativo del destino del pianeta Terra.
Ma soprattutto, una rappresentazione chiara di come quel destino venga definito sì, certamente, delle scelte politiche di "alto" livello; ma anche, ed altrettanto, dalla semplice sommatoria di piccoli comportamenti individuali. Nessuno è innocente.

Metà ottobre

Fine ottobre (si riordina !)

Novembre

Dicembre

lunedì 9 dicembre 2013

Il senso della vita

Oggi vorrei suggerirvi questa lettura, sull'antico tema di ciò che è vivo e ciò che non lo è: semplice, esauriente, e non banale.

domenica 8 dicembre 2013

No-Motor Show


Da una quarantina d'anni, a Bologna in questa settimana si svolgeva il Motor Show, una rutilante fiera rumorosa e puzzolente di benzina, che radunava un folto pubblico di appassionati di spreco energetico e decibelico.
Quest'anno, per la prima volta, c'è silenzio. La fiera non ha luogo per carenza di espositori.
Magari è la volta buona per cominciare a cambiare prospettiva su quei mezzi di trasporto individuali che potevano apparire straordinari un secolo fa, ma che oggi andrebbero guardati con un occhio completamente diverso.
Incamminiamoci quietamente verso un futuro con meno potenza da dissipare, e quindi migliore.

venerdì 6 dicembre 2013

giovedì 5 dicembre 2013

Palazzo d'Inverno


Bastava solo andare a lume di naso, ma ora c'è la certificazione della Corte Costituzionale: abbiamo eletto tre parlamenti (2006, 2008 e 2013) con una legge elettorale contraria ai principi costituzionali, con premi di maggioranza che li hanno privati di rappresentatività in senso collettivo, e con le liste bloccate, che impededendo agli elettori di scegliere i candidati, ha privato di rappresentatività anche i singoli parlamentari eletti prescelti dal proprio partito.
Conclusione: bisogna fare al più presto una nuova legge elettorale ?
No. Io che non sono moderato per niente, voglio trarne tutte le conseguenze: i parlamentari oggi in carica sono stati eletti illegittimamente e non hanno titolo per rimanere al loro posto. Quindi non hanno titolo per legiferare, e men che meno per scrivere una legge elettorale, perchè sono in conflitto di interessi, essendo essi stessi i beneficiari di una legge incostituzionale.
Ma non aveva titolo per legiferare nessuno degli ultimi tre parlamenti, essendo stati tutti eletti illegittimamente. Quindi dovremmo considerare nulle tutte le leggi promulgate dal 2006 ad oggi.
Se avessi violato una legge recente, cosa potrebbe trattenermi dal fare ricorso con la motivazione che essa è stata approvata da un parlamento eletto illegittimamente e quindi la legge è a sua volta illegittima (solo noi riusciamo a rendere realtà simili ossimori) ?
Il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le camere, ma in realtà non ha titolo per farlo, perchè a sua volta il Presidente della Repubblica è stato eletto (per ben due volte !) da parlamentari abusivi e quindi anche il Presidente è un Presidente illegittimo.

Tutto il circolo vizioso nasce dall'avere lasciato passare allora quella legge elettorale raffazzonata in quattro e quattr'otto, da una maggioranza (Frodatore fiscale + Lega) in avanzato stato di decomposizione, con il solo scopo di complicare il successo degli avversari nella tornata successiva, senza avere fatto neanche una piccola rivoluzioncella.
Con le istituzioni non si scherza. Le istituzioni dello Stato sono una cosa seria. Quando è il caso, per il loro bene, occorre prendere pale, forconi e fucili, entrare nel Palazzo d'Inverno, e prenderle a sberle, le istituzioni.
Per il loro bene.

domenica 1 dicembre 2013

Brutto clima sul Mercato



Facciamo un pò di riassuntino di cosucce che sono successe nell'ultimo mesetto:

- Fine ottobre: viene presentato il 5° rapporto dell'IPCC (International Panel on Climate Change). In parole povere, afferma che: 1) il clima sta realmente cambiando, e sta cambiando con una velocità mai vista prima; 2) il riscaldamento del pianeta è dovuto essenzialmente ai gas a effetto serra, anidride carbonica in primo luogo; e 3) che le cause dell'aumento di gas serra sono evidentemente le attività umane. Levatevi dalla testa le pie illusioni sui cicli naturali e le variazioni nell'attività solare.

- Inizio novembre: vengono pubblicati i dati sulle emissioni di CO2 nel 2012: anzichè diminuire, raggiungono un nuovo record. Ma se si vuol proprio essere ottimisti, si può riconoscere che aumentano un pò meno velocemente: + 1,1 % nel 2012, contro una media annuale di + 2,7 % nell'ultimo decennio. Si comincia almeno a comportarci un pò meno peggio ?

- Metà novembre: persino un'organizzazione paludata e formale, titubante e anguillesca di fronte a qualsiasi assunzuione di responsabilità, quale è l'ONU, per bocca del suo Segretario Generale Ban Ki Moon, si sbilancia: «Abbiamo visto tutti cosa è appena successo alle Filippine. E' un avvertimento urgente della Terra, un esempio di cambiamento climatico che dimostra come siamo tutti coinvolti». Finalmente anche nelle massime organizzazioni politiche si comincia a prendere coscienza un pò più seriamente di dove conduce la nostra follia ?

- Fine novembre: la nostra follia ci conduce a Varsavia, alla conferenza internazionale che dovrebbe portare ad un nuovo accordo, vincolante, tra le nazioni che superi l'insufficiente e disatteso Protocollo di Kyoto.
Si comincia così: proiezioni sulle emissioni di CO2 nel 2013: + 2,1 %. Altro che inversione di tendenza ! Ci si riavvicina di nuovo alla media del decennio del 2,7 %; i consumi di energia fossile tornano ad aumentare allo stesso ritmo di prima, altro che riduzione. Qualche stron economista avrà esultato giubilante: "Si vede la luce in fondo al tunnel ! I consumi riprendono e la crisi è alle nostre spalle !" Felice come un bambino, di correre più veloce e più lieto verso il baratro.
Ma a Varsavia i governi del mondo devono trattare di riduzione delle emissioni di gas serra, e con delle premesse così preoccupanti, chissà che fregola di giungere a un dunque risolutivo, ferreo ed immediato.
Risultato: nulla. Si rimanda alla prossima occasione, si prende qualche vago impegno di fare meglio la prossima volta, nulla di concreto. Le Organizzazioni non Governative hanno addirittura gettato la spugna, e sono andate via prima ancora della conclusione della conferenza, vista l'inutilità del discutere con rappresentanti di governi che devono trattare avendo appollaiati sulla spalla ciascuno il proprio avvoltoio simil-confindustriale, che gracchia: "Rilanciare i consumi... più consumi, più ricchezza... far ripartire l'economia... più si consuma, più si produce, più si commercia..."
Totale degli impegni presi per la salvaguardia del pianeta: zero.
Quasi zero, salvo una piccola e quasi occulta apertura verso uno strano nuovo concetto: il Capitale Naturale: che sarà mai ? I proponenti avevano già cominciato ad insinuare i principio lo scorso anno a Rio de Janeiro, e sembra abbiano fatto breccia.
Si tratta dell'idea per salvare le risorse del pianeta di istituzioni finanziarie private di tutto il mondo (sottolineo: private, per dare un'idea della fiducia che ispirano; per l'Italia, ci sono Unicredit e Monte dei Paschi, e già ci siamo capiti): dare un valore monetario alle risorse a cui finora l'umanità ha attinto più o meno gratuitamente: la biodiversità, l'acqua, il suolo, l'aria... così il libero mercato troverà in se stesso i meccanismi di regolazione per attribuire ad esse il loro giusto valore.
E' un pò come attribuire un valore in denaro a cose come l'amicizia o il piacere, per poterle apprezzare meglio.
E poi, così valorizzate, il libero mercato eviterà la loro depauperazione, attraverso i suoi propri meccanismi di autoregolazione (la famosa "mano invisibile" di Adam smith, per cui, se ciascuno persegue il suo proprio interesse personale, automaticamente si fa l'interesse di tutti). Come se non fosse appunto il libero mercato a farci consumare una Terra e mezza mentre ne abbiamo solo una.
Non vi pare troppo facile pensare all'ipersfruttamento di qualsiasi risorsa naturale irripetibile con il pretesto della sua compensazione con qualche "ricostituzione di ecosistemi" in qualche altro luogo di minore interesse ?
E chi farà gli estimi di valore monetario ? Le banche che investono sulle stesse risorese che devono valutare ? Ebbene, pare che i governi del mondo approvino.

C'è il lupo cattivo che si offre di costruire personalmente e con le sue stesse mani una casetta sicura per i tre porcellini: perchè mai dovremmo non fidarci ?

sabato 9 novembre 2013

Notizie dallo Sprofondo Nord

Pruderie voyeuristica piccolo-borghese falso-moralista ?
Mah.

La ricchezza della Chiesa


"I poveri e i malati sono ricchezza per la Chiesa"

L'Argentino dimostra scarsa dimestichezza con la letteratura italiana: è automatico qui riesumare la poesia di Stefano Benni del 1978, nella sezione "Le poesie del Papa" di Prima o poi l'amore arriva, ove il Papa era il breviregnante Giovanni Paolo I, il bellunese Albino Luciani.

La ricchessa della chiesa

La ricchessa della chiesa
sono i poveri e gli oppressi
che però come ricchessa
non ti danno gli interessi
Se vuoi fare investimenti
meglio vendere i poareti
e comprare apartamenti

mercoledì 6 novembre 2013

Un'ombra di dubbio

Mi dispiacerebbe cogliere in fallo scienziati illustri; ma mi sono imbattuto in un'esposizione di calcolo delle probabilità che mi ha dato molto da pensare.
Ho iniziato a leggere "La fisica del diavolo" (5a edizione, Bollati Boringhieri 2012) del fisico Jim Al Khalili dell'Università del Surrey, nella speranza di capire un pò di più di una materia a me piuttosto ostica, che l'autore, ottimo e famoso divulgatore, si propone di esporre in modo piacevole attraverso paradossi e fatti apparentemente contrari al senso comune e la loro spiegazione. Interessante.

Nel primo capitolo si fa un pò di "riscaldamento mentale" con qualche elemento di teoria delle probabilità, prima di addentrarsi nella fisica più "dura" e la lettura risulta in effetti piacevole.

Si parla di probabilità condizionale, e come in tutti i testi che affrontano l'argomento, viene ripresentato il canonico "Paradosso di Monty Hall". E' in effetti un caso divertente e vale la pena di riproporlo brevemente: si rifà ad un antico gioco a premi televisivo americano: il concorrente veniva posto di fronte a una scelta fra tre porte chiuse, o fra tre scatole. Una nasconde un premio di valore, e le altre due sono vuote o celano cianfrusaglie. Il concorrente sceglie, diciamo, una scatola, ed il conduttore (Monty Hall, appunto), che conosce la disposizione dei premi, cerca di insinuargli dubbi, tenta di indurlo ad accettare un premio modesto e rinunciare alla scatola, e così via.
Infine, il conduttore del gioco apre una delle due scatole rimaste sul tavolo e fa vedere che è vuota; poi propone al concorrente: "Ora, se vuoi, puoi scambiare la scatola che hai scelto con l'altra."
A questo punto che cosa si dovrebbe fare ?
La questione fu posta, molti anni dopo, da un lettore della rivista Parade nella rubrica tenuta da Marilyn vos Savant, donna divenuta celebre per avere il Quoziente di Intelligenza più alto mai misurato (185); la vos Savant rispose che il giocatore avrebbe dovuto senz'altro cambiare la sua scelta.
Apriti cielo ! Matematici ed accademici insorsero contro di lei, ricevette lettere di protesta e persino di insulti, richieste di rettifica e ingiunzioni a scusarsi, riconoscere l'errore e arrendersi all'evidenza: alla prima scelta si ha il 33 % di probabilità di indovinare il premio; una volta eliminata una delle scatole "perdenti", ciascuna delle altre avrà il 50 % di probabilità di essere quella buona: non c'è nessun motivo per cambiare.
Ma non è così. Sarebbe così se tutte le scelte fossero casuali, ma nel sistema c'è un elemento che agisce in modo non casuale. Il conduttore, che conosce il contenuto delle scatole, non aprirà mai la scatola contenente il premio, facendo finire il gioco: aprirà sempre una scatola vuota. Quindi, se all'inizio il premio aveva il 33 % di probabilità di essere nelle mani del concorrente, ed il 67 % di essere in una delle scatole restanti, dopo l'apertura della scatola vuota le probabilità del concorrente di avere indovinato la scelta non cambiano affatto: rimangono del 33 %, mentre il restante 67 % si è concentrato tutto nell'unica scatola rimasta. Cambiando la sua scelta il concorrente raddoppia le sue probabilità di vincita. Marilyn vos Savant aveva ragione.
Fin qui tutto chiaro.
Ma nell'allargare la visuale sull'effetto delle conoscenze a priori sul calcolo delle probabilità, Al Khalili si avventura in un esempio che mi è suonato davvero stonato: testo originale:

"Supponiamo di voler comprare due gattini. Chiamiamo il negozio di animali e il proprietario ci dice che due gattini fratelli sono appena arrivati in negozio quel giorno, uno nero e uno tigrato. Chiediamo se sono maschi o femmine e consideriamo due possibili risposte del negoziante:
a) Dice: "Ne ho controllato uno, ed è maschio". Con questa sola informazione, qual è la probabiliità che entrambi i gattini siano maschi ?
b) Dice: " Ho controllato quello nero, ed è maschio". Qual è in questo caso la probabilità che entrambi siano maschi ?
La risposta non è la stessa nei due casi. Sebbene in entrambi i casi sappiamo che almeno uno dei due gatti è maschio, è solo nel secondo caso che sappiamo quale. Questa informazione in più cambia le probabilità, vediamo come.
Iniziamo elencando tutti i possibili casi:

Nero Tigrato
1 Maschio Maschio
2 Maschio Femmina
3 Femmina Maschio
4 Femmina Femmina

Consideriamo ora la prima risposta del negoziante: uno dei due è maschio. Questo ci dice che le possibilità sono in tutto tre, le prime tre nella tabella: entrambi maschi, il nero è maschio e il tigrato è femmina, o il nero è femmina e il tigrato è maschio. quindi c'è una probabilità su tre che siano entrambi maschi.
Però, se la risposta del negoziante è: quello nero è maschio, questa informazione aggiuntiva elimina le opzioni 3 e 4 nella tabella, lasciando solo due possibilità: o sono entrambi maschi, o il nero è maschio e il tigrato è femmina.
Ora le probabilità che siano entrambi maschi è una su due."

Questa esposizione mi ha lasciato diversi dubbi: "nero" e "tigrato" sono davvero delle conoscenze a priori in grado di influire sulle probabilità ?
Aggiungo io un altro caso: se il negoziante non avesse dato nessuna aggettivazione identificativa ai due cuccioli e, omettendo qualsiasi indicazione sui colori, avesse detto semplicemente: "Ho due gattini; ne ho controllato uno, ed è maschio" le probabilità che siano maschi tutti e due ritornano ancora al 50 % (quello controllato è maschio, e quindi dipende soltanto dal sesso di quello che non è stato controllato); c'è qualche cosa che non mi quadra.
E' possibile che la sola aggiunta di un codice identificativo possa determinare una tale discontinuità e modificare in questo modo le probabilità di quello che è, in fin dei conti, sempre lo stesso evento ? Non ci credo.
Dopo averci pensato su per benino, e averci riflettuto in modo approfondito ed esauriente, diciamo un paio di bicchierini almeno, sono giunto alla seguente conclusione:
Non è vero che se ho controllato un gatto qualsiasi ed è maschio, le probabilità che siano maschi tutti e due sia 1/3.
Abbiamo eliminato la possibilità che siano due femmine; rimangono possibili i rimanenti tre casi:
- tutti e due maschi: e questo è un evento che può darsi qualunque sia il gatto già esaminato;
- nero maschio e tigrato femmina: ma questo è, a questo punto, un evento possibile solo nel caso che il gatto già esaminato sia quello nero: quindi solo per il 50 % dei casi possibili; la sua probabilità, secondo me, andrebbe quindi moltiplicata per 0,5.
- nero femmina e tigrato maschio: possibile solo nel caso che il gatto esaminato per primo sia quello tigrato: l'altro 50 % di probabilità.
Quindi, è vero che i casi possibili sono tre, e solo uno porta al risultato "due maschi"; ma, per le premesse date, i tre casi non sono equiprobabili, e le probabilità delle due situazioni che conducono a un maschio e una femmina, a mio modestissimo parere, vanno a loro volta moltiplicate per 0,5: ed ecco che si ritorna al solito 50 % previsto da tutte le altre condizioni descritte.
Trovata una soluzione al mio dilemma, che mi sembra tutto sommato ragionevole, mi trovo ora di fronte ad un dilemma ancora peggiore: E' mai possibile che abbia ragione io, che sono un dilettante allo sbaraglio, e che fior di specialisti ben più qualificati di me si siano fatti sfuggire la soluzione corretta ?
Mi sembra davvero difficile da credere, e richiederà ulteriori meditazioni. Dovrò stappare un'altra bottiglia.

lunedì 14 ottobre 2013

Notizie dal pianeta Clarion


Prendasi un pezzetto di umile focaccia salata, e lo si riscaldi al forno per qualche minuto; sulla focaccia calda, austeramente si stendano alcune eteree fettine di morigerato lardo aromatizzato alle erbette, e si osservi il viraggio verso la trasparenza del grasso che si scalda sulla superficie della focaccia prima di assaporare, morigeratamente.
Non è il più tradizionale dei pranzi domenicali, ma la scelta del giorno di attuazione di tale parca ricetta discende dalla necessità pratica di non fare diventare troppo vecchi nè la focaccia nè il lardo.
Durante la morigerata fase di digestione del frugale pasto, acciottato sull'umile sofà della mia modesta dimora, intento in letture scarsamente impegnative, e con un occhio sullo scorrere di qualche inutile notiziario televisivo, mentre mi domandavo che fine avesse fatto la manifestazione in difesa dei principi Costituzionali indetta per il giorno prima e misteriosamente scomparsa dai mezzi di informazione, ecco che s'ode suonare il citofono.
Un'occhiata dalla finestra permette di riconoscere alcuni tratti fenotipici assolutamente inconfondibili: un duo di persone dello stesso sesso (in questo caso femmine), una giovane ed una più attempata, che suonano tutti i campanelli consultando un'agenda, con un paio di borse presumibilmente piene di rivistine simili a quelle di cui tengono sempre in mano qualche copia.
Testimoni di Geova: ne erano già passati altri esemplari, maschi e maldestramente parcheggianti, domenica scorsa, come documentato in un apposito post precedente, per qualche visita più mirata; questa settimana, invece, c' è lo screening di massa in cerca di nuove prede da adescare.
Constatato che non si presentavano casi di emergenza, come quelli usuali di condomine petulanti che, chiacchierin-chiacchierando, perdono la cognizione di sè e del mondo che le circonda, e finiscono per chiudersi fuori dal cancello, non ho nemmeno risposto.
Tanto si sa già per esperienza che qualsiasi discussione è inutile. Gli adepti della setta hanno imparato la Bibbia a memoria, e considerano quella l'unica possibile fonte di conoscenza; trattandosi di un testo estremamente vago e contraddittorio, vi si possono trovare appigli a sostegno di qualsiasi affermazione, come pure del suo contrario. Quindi la loro convinzione di essere nel vero è del tutto impermeabile ai fatti.
E se i fatti osservati sono in contrasto con le loro convinizioni, è evidente che sono falsi i fatti. Tanto nella Bibbia si troverà sempre qualche mezza parola interpretabile in modo tale da giustificare l'esistenza di tali apparenze ingannevoli.
Ma se devo ritenere falsi i fatti osservati, perchè dovrei credere che invece sia vero quello che c'è scritto nella Bibbia ? Perchè lo dice la Bibbia che quello che c'è scritto nella Bibbia è vero, in perfetta circolarità.
Già: com'è possibile che le nostre convinzioni fideistiche non vengano minimamente scalfite neanche dalle evidenze fattuali più palesi e lampanti ?
Come può avvenire che la nostra intelligenza si arrocchi a non voler abbandonare un'idea preesistente anche quando si presentano tutte le prove della sua falsità e infondatezza ?
Come si spiega la quantità di persone che incontro, che ancora si abbarbicano alla confortante insicurezza che il riscaldamento climatico globale non sia poi così dimostrato, e comunque non derivi dalle attività dell'uomo, pur di fronte alle prove, ai modelli e alle conferme che la comunità scientifica accumula quasi quotidianamente ?
Come è possibile che elettori berlusconiani qualsiasi, non servitori o complici vincolati a qualche diretta convenienza personale, siano tuttora convinti della levatura di grande statista del Decadente, contro ogni evidenza ? Che sia sufficiente leggere Sallusti per uscire così definitivamente dal campo di percezione della realtà ?
Di quali moviole mentali abbiamo bisogno per renderci conto che qualche convinzione di cui eravamo tanto sicuri è finita in fuorigioco, se nemmeno i fatti sono sufficienti ?

Così, a partire dagli scampanellanti, mi è tornata in mente una storia che mi era capitato di leggere giorni addietro, che forse voi già conoscete, poichè si tratta di cronaca di parecchi decenni fa; per coloro che, come me, non ne avessero sentito parlare prima, vale la pena ripresentarla brevemente; non risponde a nessuna delle domande, ma è ugualmente istruttiva.
Si parte da Chicago all'inizio degli anni '50. Una massaia, di nome Dorothy Martin, che aveva già avuto frequentazioni con il movimento Dianetics di Ron Hubbard (ciò che sarebbe diventato poi Scientology), affermò di ricevere messaggi dagli extraterrestri, che le preannunciavano l'imminente fine del mondo.
La signora Martin raccolse intorno a sè ed al suo culto una ristretta setta di devoti fedeli, chiamati Seekers.
I Seekers non cercarono pubblicità, le adesioni erano raccolte attraverso reti di fiducia personale, ed occorreva convincere il gruppo di essere sinceramente credenti nella verità che i messaggi dallo spazio rivelavano alla signora Martin. Tuttavia le informazioni finirono per apparire su qualche giornale e divennero di dominio pubblico; fu così che lo studioso di psicologia sociale Leon Festinger riuscì ad intrufolarsi nella setta e a raccontare gli eventi in un libro, intitolato When the Prophecy Fails.
Gli alieni, dal pianeta Clarion, avevano avvertito la signora Martin che Dio avrebbe decretato la fine del mondo, con il collaudato metodo del diluvio, stavolta definitivo, il 21 dicembre 1954.
(Osserverei, di passaggio, che nella moltitudine di date previste per la fine del mondo, spiccano per frequenza quelle prossime al solstizio d'inverno, in una simbolica coincidenza con la minima durata delle giornate: come se a finire dovesse essere solo l'emisfero Nord.)
Tuttavia, i veri e sinceri fedeli della setta sarebbero stati portati in salvo con un'astronave dai Clarionesi (? Clarionici ? Clarioniani ? Calarionini ? Clarionensi ?), che avrebbero mandato un emissario a prelevarli a mezzanotte a casa della signora per accompagnarli al veicolo spaziale parcheggiato in un'apposita area un pò meno in vista che nell'abitato di Chicago, a scanso di pubblicità e contravvenzioni.
Come non credere ad una profezia del genere ? Molti lasciarono lavoro e famiglia, e vendettero le proprietà nell'imminenza della fine del mondo. Il pomeriggio del 20 dicembre i Seekers si radunarono a casa della signora Martin in attesa della mezzanotte. Si liberarono di tutti gli oggetti metallici, fibbie, chiusure lampo, ecc., che non potevano essere portati sull'astronave, e aspettarono l'emissario degli extraterrestri che li avrebbe condotti via, in salvo.
Mezzanotte passò, e nessuno si fece vivo da Clarion. D'altra parte, non iniziarono neppure le piogge che avrebbero dovuto provocare il diluvio.
Nessuna salvezza, ma neppure alcun segno della fine del mondo era in vista.
Alle ore 4:45 la signora Martin annunciò di avere ricevuto un nuovo messaggio da Clarion: la fine del mondo era stata evitata grazie al fervore dei fedeli lì radunati. Tanto sincera era stata la fede dei Seekers, che Dio aveva cambiato idea. Più o meno testualmente: "Il piccolo gruppo, che era stato in attesa per tutta la notte, aveva diffuso così tanta luce che Dio aveva salvato il mondo dalla distruzione."
Dal giorno dopo, i Seekers iniziarono a cercare di fare proselitismo a tutto spiano, come mai avevano fatto prima; fecero di tutto per farsi intervistare dai giornali, come fino ad allora avevano evitato, e cercarono di allargare il loro piccolo gruppo e di coinvolgere più persone possibile nella loro fede, che finalmente si era rivelata VERA !
Quella notte, messi di fronte alla prova evidente della falsità delle loro convinzioni, si erano invece ancor più persuasi di essere nel giusto e che realmente erano stati loro a salvare il mondo dal diluvio.
Dunque, come sminare il campo dalle fedi irrazionali a cui le persone si affezionano così tanto e così facilmente ? Semplicemente, non lo so; questa antica storia fa capire solo che le dimostrazioni basate sui fatti difficilmente possono servire, almeno a breve termine (e d'altra parte, quando si sentono risposte del tipo: "Ma io ho bisogno di credere che sia così", c'è poco da slanciarsi).
Dopo il 1954, i Seekers godettero di cattiva stampa, e il gruppo si ridusse via via di numero; la signora Martin emigrò per evitare il ricovero in ospedale psichiatrico, ma continuò a comunicare con gli alieni, pur ammettendo che i messaggi le risultavano sempre più incomprensibili. Morì nel 1992. L'associazione "Sister Thedra", erede dei Seekers e spostatasi in Arizona, risultava ancora attiva nel 2008.

martedì 8 ottobre 2013

L'ormone di Penelope



C'è stata una notiziola comparsa qualche giorno fa sulle riviste scientifiche che ha fatto un certo rumore soprattutto negli Stati Uniti, ma non è detto che non abbia ricadute interessanti un pò dovunque.
Tutti sappiamo che è vietato somministrare al bestiame da carne ormoni anabolizzanti per fare aumentare più rapidamente il peso degli animali; forse non tutti sanno che è vietato nell'Unione Europea, ma negli Stati Uniti e in Canada si può. I tristi fast food della frenetica settimana lavorativa, come gli ancor più tristi barbecue domenicali obbligatori in tutti i giardini tutti uguali delle casettine tutte uguali tutte belle in fila, richiedono materia prima gonfiata a tutta velocità.
Lo steroide che va per la maggiore tra i bovini americani (cosiddetta "dieta Del Piero"), è il trenbolone acetato, che ha un effetto anabolizzante 8-10 volte maggiore del testosterone.
Nel cercare di documentarmi per scrivere questo post, ho fatto una scoperta collaterale ancora più notevole: qualsiasi ricerca si faccia su ormoni steroidei, si ottiene una lista di rimandi a siti di palestre e body-building. Il trenbolone è vietatissimo per uso umano, infatti se siete interessati lo trovate in vendita on-line a soli 7,14 Euro per 100 mg, consigliato in particolare per ciclisti e culturisti, e i web-venditori vi danno anche tutte le indicazioni sugli altri ormoni con cui alternarlo per ottenere l'effetto doping più efficiente, avvisandovi, doverosamente, che possono beccarvi positivi se vi controllano anche oltre 30 giorni dopo la fine del trattamento. Davvero istruttivo.

Ma torniamo alle stalle nordamericane dove si allevano i candidati a monumentali bisteccone e dozzinali MacChissachè. Il trenbolone acetato, dopo avere svolto il suo patriottico compito di aumentare la massa grigliabile, lascia il corpo del bovino per le vie più facilmente immaginabili, sotto forma di 17-alfa-trenbolone, principale prodotto del suo metabolismo; esso andrà a collocarsi in parte nei pittoreschi, imponenti cumuli marroneggianti che scandiscono il paesaggio nei dintorni degli allevamenti e finiranno per concimare i campi, e in parte, via acque di lavaggio, defluirà nei fossi e quindi nei fiumi e nei laghi.
Il 17-alfa-trenbolone, che conserva una moderata attività ormonale, è un importante disruptore dell'azione degli ormoni naturali negli organismi esposti, e combina una quantità di pessimi scherzi ecologici: fa cambiare sesso e riduce la fertilità dei pesci, e altre cosucce di questo genere. Il motivo per cui le autorità americane hanno ugualmente autorizzato il suo uso negli allevamenti, è la comprovata evidenza che si degrada velocemente alla luce, quindi sparisce in poco tempo dalle acque superficiali.
Ma uno studio, pubblicato su Science a fine settembre, fa luce su ciò che avviene sotto le stelle a ciò che esce dalle stalle: è vero che l'ormone si degrada alla luce, ma la reazione è reversibile, e al buio l'equilibrio si sposta verso la rigenerazione della molecola attiva.
Sulle prime, ero rimasto piuttosto sorpreso, e l'idea era parsa inconcepibile anche ai miei colleghi chimici: a concentrazioni così basse, i prodotti di degradazione non si reincontreranno mai più, mi dicono. Ma mi pare di aver capito che in realtà, le reazioni coinvolte sono semplici idratazioni/disitratazioni di qualche parte della molecola che non intaccano lo scheletro fondamentale dello sterolo, e quindi tutto torna meglio comprensibile.
Se dunque si ricostituisce di notte quello che si disfa di giorno, vuol dire che l'impatto sull'ambiente dei residui di ormoni nelle acque reflue è stato finora ampiamente sottovalutato: si stima il tempo di persistenza dell'inquinante, considerando che una volta che si è degradato è andato, e addio, non c'è più; e invece quello poi ritorna (e i tecnici che vanno a prelevare i campioni delle acque dei fiumi di solito ci vanno di giorno).
Inoltre, occorre aggiungere che altri ormoni con strutture chimiche simili sembrano andare incontro allo stesso tipo di processo di degradazione reversibile con resurrezione notturna: ad esempio il dienogest, contraccettivo orale che si riversa nelle acque via scarichi delle pipì delle signore, o il dienedone, che è un altro di quei prodottini poco leciti che potrebbe avere avuto un picco di concentrazione nelle acque del Po qualche anno fa, quando la Juventus ha dovuto in tutta fretta svuotare gli armadietti.
Quindi, non solo i barbari d'oltreoceano che considerano i prelibatezze i loro orrendi hamburger (pur alternandoli con il fine esotismo italiofilo delle pizze con marmellata e ananas), ma anche noi nella cara vecchia Europa, potremmo avere le nostre acque esposte ad inquinanti infidi, con effetti pesanti sulla fauna, e finora largamente sottostimati a causa delle loro insospettabili attitudini vampiresche.

domenica 6 ottobre 2013

Ostruzionismi Biblici



I Testimoni di Geova vengono a distribuire le loro rivistine e piantano l'automobile messa così ! E se adesso arriva la fine del mondo e i miei vicini non possono nemmeno uscire dal cancello ? Eh ? Come la mettiamo ?

lunedì 30 settembre 2013

Brutto clima

Vi invito a leggere e a divulgare presso i vostri conoscenti negazionisti:

http://www.lescienze.it/news/2013/09/27/news/rapporto_ar5_ipcc_clima_2013-1825082/

giovedì 26 settembre 2013

Vizio Capitale



Ci vuole poco a rendersi conto che il liberismo capitalista viene ormai adorato in modo del tutto irrazionale come un totem, con tutte le liturgie insensate e le contraddizioni logiche interne proprie delle religioni, per pura adesione convenzionale a miti e false credenze, senza alcuna relazione plausibile con il mondo fisico.

Nel primo mistero glorioso si osservano tutti i sacerdoti del libero mercato che piangono e implorano poichè il Paese non riesce ad attrarre investitori stranieri amen.
E di qua puniscono i lavoratori beceri e cattivi, e impongono penitenze per essi peccatori che hanno avuto troppa paga e troppi diritti; e di là invocano la Legge perchè liberi Sua Santità l'Impresa da tutti i lacci e lacciuoli imposti da un Satana malefico, che impediscono, per esempio, di scaricare liberamente i rifiuti direttamente nei fiumi, per cui il buon imprenditore - santo subito ! - non guadagna abbastanza miliardi, e quindi la sua Impresa, sempre sia lodata, non fa gola agli investitori stranieri amen.

Nel secondo mistero glorioso si osserva un imprenditore straniero che arriva e fa un investimento comprando un'impresa italiana, e tutti i sacerdoti del libero mercato piangono e si stracciano le vesti perchè l'impresa italiana non è più italiana amen.

Nel terzo mistero glorioso si osservano i Teologi del libero mercato che espongono ai fedeli e ai credenti e a tutti gli uomini di buona volontà e telespettatori di ortodossa osservanza, il Sacro Dogma della Privatizzazione amen.

Il Sacro Dogma della Privatizzazione ci rivela che non c'è una soluzione per ogni problema, bensì una soluzione per tutti i problemi: privatizzare. Tutto funziona meglio, rende di più ed è anche un pò più bellino quando è privato: privatizzare l'elettricità, il gas, l'acqua, le strade, la neve, la cultura, la scuola, i teatri, l'aria, la spazzatura, le ferrovie, i telefoni, le compagnie aeree, il suolo, i temporali, è la panacea per tutti i mali: niente più inondazioni se i fiumi saranno privatizzati, e niente più terremoti se sarà privatizzato il sottosuolo. Per salvare gli orsi polari dall'estinzione basta privatizzarli, e se i congiuntivi fossero privatizzati tutti li adopererebbero a puntino amen.

Nel quarto mistero glorioso si osserva che una rete telefonica che fu privatizzata già da quel dì, e sia beata all'improvviso dall'apparizione di un investitore straniero che, avvolto in un alone di mistica luce, se la compra, non deve finire in mani straniere perchè è strategica, in quanto potrebbe dare accesso ad informazioni riservate che metterebbero in pericolo la sicurezza Nazionale amen.

E allora, mistero supremo ed imperscrutabile, cosa accidenti l'hai privatizzata a fare, se è così strategica, o sommo sapiente Teologo del Libero Mercato, possa il martello di Thor abbattersi sui tuoi augusti testicoli amen ?

E, mistero ancora più sommo del sommo, laddove la nostra finitezza umana impedisce di comprendere la trascendente sommitudine... sommità... sommezza... va bè; perchè mai il privato imprenditore straniero che avesse accesso ad informazioni tanto riservate dovrebbe mettere in pericolo la sicurezza nazionale più del privato imprenditore italiano che forse in quelle informazioni potrebbe trovare interessi personali ancora più diretti amen ?

Il privato italiano che accede ad informazioni golosamente riservate non ne approfitta, bensì si tappa occhi e orecchie per pudore ? O per patriottismo ? E quello straniero invece ? Fa ancora parte di quella famosa cospirazione pluto-giudaico-massonica, mi dite ? Amen.

Non abbiamo avuto giusto pochi anni fa un esemplare caso di dossieraggio illegale messo in atto proprio nell'impresa privata italiana che tale rete telefonica gestiva ? Non ne è forse uscito uno dei più illustri Teologi della Libera Imprenditoria Italica, Coraggioso Capitano Sua Eminenza Tronchetti Provera, miracolosamente incolume dalla galera, grazie ad una pronta iscrizione al vasto partito dei viventi a propria insaputa; che possano Brahma, Siva e Visnù metempsicosizzare tutti i suoi averi terreni, facendoli reincarnare in mezzepunte scadenti in maglia nerazzurra ? Eh ? Già fatto ?
Amen.

mercoledì 25 settembre 2013

Bellezze al bagno

Continuando a parlare di conservazione: Nelle settimane scorse si è verificato un evento che definire inconsueto è poco: la nascita di tartarughe marine in un tratto di spiaggia in piena area urbana a Roseto d’Abruzzo, in mezzo ad ombrelloni e bagnanti, e lontanissimo dai pochi e riservatissimi luoghi di nidificazione conosciuti della specie, quasi tutti sulle isole. Personalmente, ho vissuto la vicenda attraverso la stampa a centinaia di kilometri di distanza, ma posso contare su fonti di informazione ben affidabili in loco. La resident expert in fauna protetta per Il villaggio gallico è una dei volontari che si sono dedicati alla sorveglianza del nido, ed alla quale ho estorto una testimonianza di prima mano (e in aggiunta, le ho anche fregato la fotografia).



Domenica mattina mi sveglia una mia collega cosi: “Hanno trovato un nido di Caretta caretta a Roseto al lido La rosa dei venti !” Mi prende una tale gioia e frenesia che il tempo di salire in macchina ed ero già sul luogo ! Questi i controversi eventi (ogni ente o persona fornisce la sua versione dei fatti): Sabato mattina alcuni esemplari di Caretta caretta sono stati avvistati a girovagare su un tratto di spiaggia libera di Roseto, tra il lido Papenoo e La rosa dei venti. Questo è ciò che testimoniano i bagnanti che occasionalmente si trovavano al mare in una delle ultime giornate calde della stagione. Le reazioni davanti agli animali (secondo quanto riferito da testimoni, post su facebook e voci sparse) sono state diverse e più o meno coscienziose: una delle tartarughe è stata portata alla Capitaneria di Porto e l’esemplare in seguito a non si sa quale stress subito è stato dichiarato morto, un altro esemplare è stato portato a casa da una signora che lo ha scambiato per una tartaruga di acqua dolce… al mare, e che secondo alcune voci sarebbe anche essa morta poco dopo, una terza è stata portata dalla famosa signora Giulia de Nigris al veterinario rosetano Settimio Mordente perché anche qui scambiata per un animale più comune e in difficoltà mentre altre sono state aiutate e indirizzate verso l’acqua dai titolari dello stabilimento e altre ancora rilasciate al largo. Quel giorno il mondo era a Roseto: noi volontari, Centro studi cetacei, WWF, Area marina protetta Torre del Cerrano, capitaneria di porto, vigili urbani, stampa, tv e immancabile il sindaco di Roseto, venuto più che a conoscere la situazione, a scattare qualche foto di rito. La settimana è passata lenta, tra nottate a sorvegliare il nido sotto la pioggia e giornate a rispondere alle domande di curiosi, bambini e assessori vari. Quello che ho ricavato da queste giornate spese è stata gioia si, i primi giorni e poi tanta poca chiarezza. Subito davanti a me hanno iniziato a delinearsi trame politiche, bisticci tra i vari enti per chi dovesse essere il PROTAGONISTA e si è perso un po’ l’ obiettivo di puro e semplice rispetto e salvaguardia della natura. Non si è più pensato all’evento storico di una nidificazione in Adriatico e soprattutto così a nord rispetto alle zone usuali (Reggio Calabria, Lampedusa, Linosa…) e ci si è concentrati su come ricavar soldi da questa nascita. Oltre le 15 tartarughe del primo giorno se ne sono schiuse via via altre fino ad arrivare ad un totale di 24 di cui 21 viventi almeno fino alla messa in acqua più le 3 poverine citate sopra. Sabato 21 è stato raggiunto l’apice con la manifestazione organizzata dall’ area marina protetta in onore di Giulia (non la signora ma la tartaruga da lei “salvata” che porta il suo nome) e il suo cosi è stato definito “battesimo dell’acqua”. La tartaruga è passata dalle mani del sindaco a quelle di questo o quell’assessore e ci è mancato poco che le emittenti e i giornalisti accorsi non la intervistassero, infine ha fatto una bella sfilata nella sua bacinella sotto il sole per essere ammirata dalle persone urlanti che tentavano di scavalcare le transenne con buoni risultati. Io non so se lei e le altre creaturine se la caveranno nel profondo mare blu ma di certo noi non le abbiamo aiutate. Spero che le persone si stanchino presto di loro e che le altre possano nascere e vivere lontane dai riflettori.

venerdì 13 settembre 2013

Io sto con i brutti

Possiamo ragionevolmente pensare che se il WWF avesse scelto come proprio emblema qualche specie di lumaca o di polipo sull'orlo dell'estinzione, avrebbe avuto un pò meno successo nella raccolta di fondi per la protezione della natura. Come minimo, ci sarebbe voluto uno sforzo supplementare di comunicazione per fare comprendere l'importanza e l'utilità della salvaguardia di molluschi o celenterati a rischio, il loro ruolo nell'ecosistema e la gravità del danno della perdita di specie.
Eppure, l'allegro ed attraente panda gigante che occhieggia simpaticamente su magliette, cappellini e persino confezioni di prodotti commerciali (con appeal sicuramente superiore a quello che potrebbe avere un Gasteropode), trovandosi all'apice di una catena alimentare (oltretutto molto semplice), tutto sommato potrebbe anche estinguersi senza procurare gravi contraccolpi al proprio ambiente. Non mi propongo affatto di voler fare il controcorrente a buon mercato prendendomi il gusto gratuito di ferirvi con un simile luttuoso auspicio, che mai avrei intenzione di fare.
Vorrei solo spingervi a pensare per un attimo all'altissimo numero di specie di animali e di piante "brutti", poco appariscenti, poco simpatici, un pò schifosetti, o di cui semplicemente ignoriamo del tutto l'esistenza, la cui tutela ha un peso ben più significativo per la salvaguardia di interi ecosistemi, e che invece possiamo mettere a rischio di estinzione senza particolari sommovimenti emotivi.
E' stato chiamato "effetto Bambi": il Panda è così simpatico, così ciccioso, così coccolabile, così mammifero... perchè non dovrebbe venirci più voglia di proteggere lui, piuttosto che qualche oscuro, anonimo e molliccio invertebrato marino (che magari edifica intere barriere coralline che offrono alloggio e nutrimento a migliaia di altre specie) ?
Si può iper-banalizzare il principio ricorrendo al classico discorso da massaia: inorridiamo all'idea che ci sia al mondo qualcuno che mangia cani e gatti, ma consideriamo una sacrosanta tradizione le costolette di agnello per Pasqua; e una succulenta fiorentina alta quattro dita ci fa venire l'acquolina in bocca in qualsiasi stagione.
Per dirla in modo meno petulantesco: siamo vittime di una sistematica "distorsione tassonomica", quando consideriamo le altre specie che condividono con noi questo straordinario pianeta seguendo irrazionalmente i nostri criteri umani di affinità e simpatia.
Ben venga dunque il dolce orsacchiotto, se è utile ad attrarre l'attenzione di un pubblico sempre troppo distratto sul tema della conservazione delle specie e degli ecosistemi; male, invece, se le risorse, inesorabilmente scarse, a disposizione venissero monopolizzate da progetti di protezione delle specie più esteticamente "glamour", a scapito di altre meno appariscenti ma magari ecologicamente più importanti.



Vedendo per la strada questo manifesto della Lega Anti-Vivisezione, ho avuto un'evidenza lampante che l'"effetto Bambi" può essere sfruttato anche al contrario.
Un problema speculare e complementare alla conservazione è quello della diffusione delle specie alloctone invasive (alloctone = originarie di altri luoghi). Quando una specie viene importata più o meno accidentalmente in territori lontani da quello di origine, nella maggior parte dei casi non è adatta al nuovo ambiente, i pochi colonizzatori difficilmente sopravvivono, non lasciano discendenti, e la questione finisce lì.
Ma più raramente, i nuovi arrivati incontrano condizioni favorevoli, magari un habitat privo dei nemici naturali che ne limitano la popolazione nella propria area di provenienza, e prosperano, diventano invasivi e determinano forti squilibri nell'ecosistema recipiente, spesso mettendo a repentaglio l'esistenza di altre specie, o per eccesso di predazione o di parassitismo, o per competizione tra specie affini. L'intensificarsi degli spostamenti e dei commerci umani negli ultimi secoli ha fortemente ampliato questi problemi, e la lista di casi osservati in tempi storici potrebbe diventare facilmente lunghissima, anche andando solo a memoria: da cani e maiali che divoravano facilmente le uova che il dodo deponeva a terra a Mauritius, portandolo all'estinzione nel XVII secolo, alle devastazioni provocate dai conigli portati dagli europei in Australia; dall'arrivo a metà ottocento dall'America del fungo Phytophthora infestans, agente della peronospora della patata, circa un secolo dopo l'inizio della coltivazione in Europa di piante mai selezionate per resistenza a tale malattia, all'importazione in Olanda, con carichi di legname dall'Asia tropicale, di fungo ed insetto vettore della grafiosi, malattia che ha condotto alla quasi estinzione dell'olmo europeo nel '900; dall'allevamento, a partire dal 1920 circa, come animali da pelliccia, delle nutrie sudamericane, che oggi in libertà danneggiano argini di fiumi e canali in tutta Europa, all'ambrosia nordamericana, arrivata in Europa con i semi contenuti in alcuni mangimi per uccellini da gabbia, e diventata in pochi decenni una pianta infestante tra le più frequenti cause di allergie; si potrebbe continuare a lungo, con il pesce siluro, la zanzara tigre, la trota iridea nordamericana, introdotta perchè facile e redditizia da allevare, che oggi compete con le trote europee in quasi tutti i corsi d'acqua, eccetera eccetera.
Nel 1948 un diplomatico italiano ricevette dagli Stati Uniti quattro esemplari di scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis, il tizio a sinistra nel manifesto), ed ebbe la bella idea di liberarli nel giardino della sua villa torinese. Oggi lo scoiattolo grigio, più aggressivo, ha completamente sostituito lo scoiattolo europeo (Sciurus vulgaris, quello a destra) in diverse parti d'Italia, tra Piemonte, Lomabardia, Liguria e Umbria, ed è diventato una minaccia per le popolazioni di scoiattoli autoctone; si sta tentando di eradicarlo, o almeno di contenerne la diffusione, nè più nè meno come si fa con il pesce siluro, con la zanzara tigre o con l'ambrosia.
Le specie alloctone invasive sono un problema, indipendentemente dalla loro bellezza o dalla simpatia che ci ispirano: rassegnamoci ad affrontarle come tale.

Si potrebbe obiettare che in fondo si tratta di processi che avvengono regolarmente in natura: una nuova specie ha origine da una popolazione per lungo tempo isolata, e se infine capita che ritorni a condividere lo stesso areale della specie di origine, se competono ancora per le stesse risorse, una delle due soccombe.
Quando pochi milioni di anni fa si è formato l'Istmo di Panama, migrazioni reciproche hanno interessato due faune, quelle sudamericana e nordamericana, che si erano evolute in modo del tutto indipendente su continenti che erano sempre stati separati e lontani, con conseguente estinzione di moltissime delle specie preesistenti.
Dunque, perchè preoccuparci di conservare una trota o uno scoiattolo piuttosto che un'altra trota o scoiattolo, o dispiacerci per l'estinzione degli olmi anzichè rallegrarci per la propagazione di un fungo parassita ? L'evoluzione farà il suo corso e tra qualche decina di migliaia di anni si sarà raggiunto un nuovo equilibrio tra le specie presenti, che saranno comunque numerose e diverse.
Perchè tra qualche decina di migliaia di anni non ci saremo noi ad osservare quelle meraviglie. A noi interessa salvaguardare il NOSTRO ambiente di OGGI. Quello futuro sarà ugualmente splendido, ma non sarà nostro. E' sempre una questione di scala temporale. Tra diecimila o centomila anni i nostri problemi attuali di conservazione di specie ed ecosistemi saranno senz'altro risolti, in un senso o nell'altro, e avranno lasciato spazio a nuove specie, altre migrazioni di quelle attuali, estinzioni magari oggi inaspettate, ed alla composizione di nuovi ecosistemi affascinanti ed inediti. Ma noi non saremo lì a vedere questi nuovi panorami. Ogni specie vivente è un'entità unica ed irripetibile, e la sua conservazione un'esigenza per la salvaguardia del nostro presente, senza nessun tentativo di condizionare futuri lontanissimi ed irraggiungibili per la nostra personale scala dei tempi: un atto del tutto legittimo di egoismo del nostro presente locale verso l'immensità del tempo geologico che procede comunque per conto suo, indifferente a noi, ai nostri sforzi, ed alle bellezze che a noi soltanto è dato di apprezzare.

mercoledì 28 agosto 2013

L'Occhio Vigile



Ho la fortuna di essere un automobilista sporadico: tiro fuori abbastanza raramente la vettura dal garage e, per quel poco che circolo, cerco di osservare obblighi e divieti indicati dai cartelli stradali, come fa piacere alla Polizia Stradale ed ai Vigili Urbani, e soprattutto agli altri utenti della strada.
Ripetendo più volte gli stessi percorsi, poi, imparo grossomodo quali sono i limiti di velocità nei diversi tratti del viaggio e non ho più neanche bisogno di dedicare troppa concentrazione all'osservazione dei cartelli.



Immagino che capiti anche a voi, e noi tutti coltiviamo qualche modesta dose di autostima per le nostre facilità di apprendimento e memorizzazione.
Bene, è tempo di scendere giù dal pero, ragazzi.
Un gruppo di ricercatori, in vena di curiosità scientifiche fuori orario di lavoro, ha svolto il seguente esperimento: lungo il tragitto laboratorio - casa si incontrano tratti di strada con diversi limiti di velocità ? Bene.
Ci sono uccelli (passeri, cornacchie, gazze, ecc.) che vengono a cercare cibo sulla strada o sul bordo della carreggiata ? Bene.
Allora ci muniamo di cronometro e, ogni volta che ne avvistiamo qualcuno, misuriamo il tempo che passa da quando l'animale vola via a quando la nostra automobile raggiunge il punto in cui esso si trovava.
Così, in base alla velocità che stavamo tenendo in quel momento, possiamo calcolare la distanza alla quale l'uccello ritiene opportuno spostarsi dalla sua posizione di pericolo. Inoltre, ripeteremo le prove sia a velocità più bassa, sia a velocità più elevata (ahi, ahi !) del limite consentito nei vari tratti.
Una volta raccolto un numero sufficientemente vasto di rilevazioni, ecco a voi i risultati: la "distanza di sicurezza" alla quale gli uccelli scappano via non è sempre la stessa, ma dipende dal limite di velocità in quel tratto di strada. Inoltre, se in quel punto si viaggia più piano o più veloce del limite, la distanza alla quale l'animale si allontana rimane uguale, indipendentemente dalla effettiva velocità della vettura in arrivo (e quindi se correte troppo avete alte probabilità di trarre in inganno il pennuto ed investirlo): vale a dire che l'uccello non valuta la velocità della specifica macchina che sopraggiunge, ma regola la sua distanza di fuga imparando a conoscere i tratti di strada in cui i veicoli viaggiano più velocemente ed è meglio prendersi più spazio di precauzione, e in quali altri tratti essi vanno più adagio e ci si può soffermare a becchettare finchè il pericolo non è nelle vicinanze immediate.
Le cornacchie sono del tutto capaci di imparare i limiti di velocità sulle strade.
Quelli targati Varese no.

giovedì 22 agosto 2013

I nodi continuano a venire al pettine



Per molto tempo è rimasto un mistero quale fosse (o quali fossero: l'ipotesi che si trattasse di un ibrido interspecifico ha goduto di parecchio credito) il precursore selvatico del mais; solo da poche decine di anni è stato identificato nel teosinte, una graminacea di aspetto piuttosto diverso, cespuglioso e ramificato, che produce spighe (spighe, quelle del mais sono spighe) di pochi centimetri e molto sottili, addomesticata dai Maya poche migliaia anni fa, e divenuta il mais che oggi conosciamo grazie a poche fortunate mutazioni.
Anche gli antenati selvatici dei fagioli avevano semi di dimensioni ridottissime rispetto ai fagioli che siamo abituati a consumare, e lo stesso vale per il frumento, che è un ibrido poliploide che produce cariossidi molto più grandi delle specie selvatiche da cui è derivato, eccetera eccetera. Tutte le specie coltivate sono state sottoposte a selezione per caratteristiche economicamente vantaggiose, che quasi sempre le hanno portate ad un habitus piuttosto differente dai propri corrispettivi selvatici.
I caratteri che sono stati accumulati per selezione artificiale perchè utili dal punto di vista dell'agricoltore, ben difficilmente potrebbero risultare favorevoli per la pianta se dovesse esistere in natura in competizione con altre specie: le varietà coltivate possono esistere solo in quanto allevate ed accudite da qualcuno che pulisce dalle erbacce, irriga e libera dai parassiti. Se l'agricoltore abbandonasse il campo all'improvviso, la varietà coltivata, nonostante la prevalenza numerica iniziale, verrebbe sopraffatta dalle piante selvatiche nel giro di poche generazioni.

Questo argomento, che di per sè non fa una grinza, è quello che viene regolarmente utilizzato per esorcizzare il rischio che coltivazioni geneticamente modificate possano trasmettere le loro caratteristiche di resistenza, poniamo ad un erbicida, a specie affini selvatiche mediante ibridazione occasionale, provocando la comparsa di erbe selvatiche "super-infestanti" resistenti. L'ibrido dovrebbe portarsi dietro un carico di caratteristiche sfavorevoli alla sopravvivenza in ambiente selvatico che renderebbero improbabile la sua riproduzione al di fuori del campo coltivato.
In realtà si erano avute notizie di controesempi già negli anni passati, e ne avevamo parlato qui.

Nella maggior parte delle colture geneticamente modificate è stata indotta resistenza ad un erbicida, il glifosate; tale resistenza permette all'agricoltore di liberare il campo dalle piante infestanti intervenendo con l'erbicida anche durante la coltivazione.
Non ve la faccio tanto lunga sui meccanismi: l'erbicida inibisce un enzima importante (e dal nome spaventevole che vi risparmio) per il metabolismo delle piante, che ne muoiono; la resistenza viene indotta mediante una sovraproduzione dell'enzima, ad esempio con l'inserimento di copie multiple del gene che lo codifica; la maggior quantità di enzima permette alla pianta modificata di compensare l'inibizione data dall'erbicida.
In teoria, vale qui lo stesso principio di cui si è detto sopra: gli enzimi sono proteine, e la loro sintesi è un processo energeticamente costoso per la pianta; la produzione in quantità molto superiori al normale di una data proteina dovrebbe costituire una zavorra energetica svantaggiosa per una pianta selvatica, una volta esaurito il vantaggio per la sopravvivenza, cioè al di fuori dell'area trattata con l'erbicida. Quindi, eventuali ibridazioni occasionali con stretti parenti selvatici della pianta coltivata non dovrebbero dare seguito nella propagazione della resistenza a piante selvatiche.

Uno studio appena pubblicato su New Pathologist da Lu Baorong et al. dell'Università di Shangai sembra invece smentire questo assunto. La resistenza al glifosate indotta nel riso (Oryza sativa) mediante modificazione genetica con copie multiple del gene per l'enzima 5-enolpiruvoilscichimato-3-fosfato sintasi (EPSPS: e va bè, mi è scappato), può essere trasferita mediante ibridazione con la varietà selvatica infestante (Oryza sativa f. spontanea); e fin qui, niente di strano. Ma, lasciando reincrociare gli ibridi fra loro, nella generazione successiva, gli ibridi da riso ingegnerizzato, oltre ad avere livelli più elevati di attività enzimatica EPSPS rispetto agli ibridi coltivato-selvatico "normali" (ed anche qui è tutto nelle attese), presentano una serie di caratteri potenzialmente vantaggiosi: maggior numero di steli e pannocchie (pannocchie, quelle del riso sono pannocchie), e quindi di semi, per pianta; più alta percentuale di germinazione dei semi e maggiore attività fotosintetica; in ASSENZA di trattamenti con l'erbicida glifosate.
Si tratta di caratteristiche in grado di incrementare la potenzialità riproduttiva dell'ibrido resistente, e quindi di favorire il passaggio della resistenza alla varietà selvatica mediante reincrocio con quest'ultima.
Teniamo presenti tutte le pinze e le molle con cui dobbiamo maneggiare questa informazione: l'esperimento si svolge in campo in condizioni controllate e non in una situazione di autentica competizione naturale, e non è detto che i caratteri osservati si traducano in un reale vantaggio riproduttivo in un ambiente selvatico, dove altre variabili potrebbero avere un peso diverso.
Tuttavia, lo studio di Lu e colleghi dimostra che questo rischio esiste, ed è più che concreto. La possibilità che piante geneticamente modificate trasmettano i propri caratteri di resistenza a specie affini infestanti non è uno spauracchio agitato da immobilisti dediti a una caccia alle streghe antiscientifica, antimodernista ed antitecnologica, ma un'eventualità realistica da esaminare accuratamente, che piuttosto la fretta delle imprese sementiere di portare sul mercato gli esiti dei propri brevetti vorrebbe indurre a dissimulare e sottovalutare.


lunedì 5 agosto 2013

Anniversari - 5 agosto 1938

«La razza italiana si è mantenuta pura e fiera nonostante qualche invasione»
G. Marro, 1926


Il 5 agosto 1938 iniziava le sue pubblicazioni, al prezzo di copertina di lire 1, la rivista quindicinale La difesa della razza, diretta da Telesio Interlandi, uscita per 117 numeri fino al 20 giugno 1943. A partire dal settembre 1938 segretario di redazione fu Giorgio Almirante; tra i collaboratori della rivista figurarono anche personalità destinate a ruoli di rilievo nelle istituzioni della futura Repubblica, quali Amintore Fanfani e Giovanni Spadolini.

In quel numero 1 si venne subito al dunque, e venne pubblicato il "manifesto della razza" redatto nella mistica forma del decalogo da, manco a dirlo, 10 eminenti scienziati fascisti (nè altri avrebbero potuto pubblicare alcunchè, d'altronde) di cui per altri versi si ignora l'opera (erano un fisiologo, un neuropsichiatra, un pediatra, un demografo, due antropologi, due patologi e due zoologi). Già da settembre ne sarebbero seguiti, in rapida escalation, gli sbocchi legislativi, culminati nei famigerati "Provvedimenti per la difesa della razza italiana".

Qui di seguito il testo del manifesto pubblicato su La difesa della razza il 5 agosto 1938:

« Il ministro segretario del partito [Achille Starace, n.d.r.] ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
1. LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano a ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2. ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
3. IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4. LA POPOLAZIONE DELL'ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
5. È UNA LEGGENDA L'APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
6. ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico–linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano–nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra–europee, questo vuol dire elevare l'italiano a un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità.
8. È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D'EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL'ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
9. GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10. I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono a un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra–europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
»

Non dovrebbe valere la pena neanche di esaminare questi enunciati, se potessimo tranquillamente liquidarli per quello che sono: sciocchezze propagandistiche senza senso appartenenti ad un passato che non tornerà più.
E invece, purtroppo, dobbiamo prestare ancora attenzione.
Innanzi tutto, contestualizziamo: nulla nasce dal nulla. La "Società tedesca per l'igiene della razza" era stata fondata da Alfred Ploetz nel 1905, ed il primo corso di insegnamento in "Igiene della razza" era stato istituito nell'Università di Monaco da Fritz Lenz nel 1923, ben prima dell'avvento del nazismo.
I tentativi di ordinare i gruppi umani secondo una scala di inferiorità / superiorità risalgono almeno al XVIII secolo, e nei primi anni del novecento la combinazione dell'evoluzionismo con i primi passi della genetica fu colta come una possibilità strumentale per dare a tali tentativi una giustificazione obiettiva e scientifica (con il vantaggio di poter estendere il principio a tutte le possibili classificazioni: tra sessi, tra classi sociali... qualsiasi suddivisione in gruppi si poteva prestare alla definizione di una scala di valori stabilita biologicamente e quindi ineluttabile, il cui punto più elevato era assegnato invariabilmente al gruppo a cui apparteneva l'ideatore della scala).
Quindi l'affermazione al punto 1 del manifesto, che oggi sappiamo priva di qualsiasi legittimità scientifica, era allora condivisa e riconosciuta, se non altro come programma di ricerca di criteri oggettivi di classificazione (e tanto oggettivi furono i criteri, che i diversi tentativi di classificazione dell'umanità produssero numeri di razze variabili da due a più di duecento). E diventava dunque facile sbracare nel punto 2, ove con le "piccole razze", necessarie a giustificare una improponibile "razza italiana", inizia la vera arrampicata sugli specchi. Inutile porre l'accento sui fatti empirici con cui si vorrebbero dimostrare le affermazioni: "percepibile con i nostri sensi", "è una verità evidente". Fine delle dimostrazioni.
Saltiamo velocemente i punti dal 7 al 10, che sono solo una caotica accozzaglia di frasi vuote, utili soltanto a preparare le leggi razziali contro gli ebrei in servile ossequio al più robusto alleato; ma se volete una confutazione più puntuale, la trovate qui.

E ritorniamo, per concludere il discorso, ai punti che mi sembrano più interessanti da rileggere indossando gli occhiali di oggi. Il punto 3 è una chiave: fonda esplicitamente il concetto di razza su basi biologiche, ereditarie, genetiche e non culturali (linguistiche o religiose). Si mira al bersaglio grosso, ritenendo una differenziazione così fondata come ineluttabile e definitiva. Ma come si può differenziare una "razza pura" in un Paese che è una piattaforma sul Mediterraneo, punto di incrocio ideale di genti di ogni provenienza ? Basta negare l'evidenza: punto 5. Ci si appella ad una (del tutto presunta) assenza di flussi migratori rilevanti per "almeno un millennio", vale a dire poche decine di generazioni, cioè un nulla, in termini biologici: un clamoroso errore di scala temporale, per quello che si pretenderebbe di dimostrare. Da queste due asserzioni deriva infine l'esistenza di una "pura razza italiana" definita biologicamente e non culturalmente, enunciata al punto 6. La distinzione ha la sua ragione di essere nel fatto che gli elementi culturali cambiano, si scambiano, si imparano, si abbandonano o si acquisiscono molto velocemente; una razza definita su basi culturali, storiche, tradizionali o religiose sarebbe terribilmente instabile e cangiante: persino i dieci sconosciuti luminari fascisti se ne rendevano conto perfettamente.
Del resto, il dilemma "natura / cultura" si è trascinato fino ai giorni nostri nei tentativi di interpretare le origini delle caratteristiche mentali e comportamentali degli individui.
Ed il fatto che l'educazione di una intera generazione di italiani abbia potuto essere fondata su concetti che oggi vediamo in tutta la loro vacuità, è una dimostrazione di quanto rapidamente le presunte "identità culturali" siano destinate a modificarsi ed alterarsi, plasmate dai tempi e dalle nuove acquisizioni.
D'altronde, qualsiasi cultura collettiva che rinunciasse a scambiarsi continuamente pezzi, frammenti e cocci con le altre, sarebbe destinata a morire e ad auto-fossilizzarsi; diventerebbe un pò come quella degli Amish dell'Ohio: interessante, per carità, ma solo come reperto museale.
E' questo il punto rilevante se si pensa al presente.
Oggi, che il concetto di razza umana è stato espulso dalla scienza per dimostrata inconsistenza, e che il bersaglio grosso delle differenziazioni su base biologica non è più raggiungibile, cosa rimane al razzismo dei giorni nostri per escludere e respingere ogni diversità e non-omologazione ?
Quale sarà mai il bersaglio di ripiego ?
Provate ad eliminare quel punto 3, e a rileggere il decalogo, con gli opportuni riarrangiamenti, sostituendo il concetto di razza appunto con quello di "identità culturale"...
Ed ecco che per il resto si possono riciclare ancora tutte le stesse mercanzie ideologiche di 75 anni fa: non avvertite degli echi familiari ?
Non vi sovvengono immagini di semianalfabeti in cravatta verde ? Soli delle Alpi ? Padanie ? O bigottismi nazionalistici ? Un La Russa tricoloreggiante qua, un Giovanardi baciapileggiante là... tutti a difendere "identità culturali" limpide e sacre, intoccabili e immutabili (ma destinate a sorprendere i loro stessi paladini e difensori, relegandoli in un inguardabile ed evanescente passato prima che se ne accorgano).

martedì 23 luglio 2013

Colpa della FIOM

Nel Paese che da oltre trent'anni venera il pagare meno tasse come il Verbo di una religione ancora più dogmatica e superstiziosa delle religioni "vere", una grande città è al dissesto finanziario perchè le sempre più esigue entrate fiscali generate da una popolazione sempre più carica di disoccupati non arrivano più neanche ad intaccare il debito pubblico galoppante prodotto negli anni spensierati della certezza della crescita continua.

E c'è qualche cosa di simbolico, e probabilmente di non casuale, nel fallimento dell'amministrazione municipale nella capitale mondiale dell'automobile, il prodotto industriale che ha fondato il suo secolo di successi sul mito dello sviluppo senza limiti.

Quale merce era più desiderata delle automobili, quale produzione garantiva più ricchezza, più profitti, prestigio e accesso nell'aristocrazia imprenditoriale ?

Quale merce ha più pesantemente condizionato le architetture urbane, le scelte infrastrutturali, modellato le città, plasmato le abitudini e i comportamenti ?

Quale merce più dell'automobile si è raffigurata come una necessità eterna ed insostituibile, ed ha regalato ai suoi luoghi di produzione l'illusione di una prosperità perpetua ed illimitata ?

Quale merce più dell'automobile si è avvitata nella spirale senza scampo dell'economia globalizzata, spostando gli impianti, all'inseguimento del miraggio del maggior profitto, verso manodopera a basso costo che mai diventerà consumatrice del suo stesso prodotto, ed espellendo dal lavoro le maestranze meglio retribuite, e quindi potenziali acquirenti ?


"Se voglio vendere le mie automobili, occorre che i miei operai siano pagati a sufficienza per acquistarne una."
H. Ford, 1914.

"E' colpa della FIOM."
S. Marchionne, sempre, da quando è nato.

domenica 30 giugno 2013

Anniversari - 30 giugno 1860: Dramma di vescovi, scimmie e svenimenti


L' "untuoso Sam", il vescovo di Oxford Samuel Wilberforce, doveva il suo soprannome ad un commento del futuro Primo Ministro Benjamin Disraeli sulla sua retorica e sul suo modo di esercitare l'arte oratoria: "unctuous, oleaginous, saponaceous". Dopo la pubblicazione de L'Origine delle Specie, nel novembre 1859, aveva scritto una recensione sulla rivista Quarterly Review per mettere in ridicolo le tesi di Darwin (il quale confessò di averla letta e trovata scientificamente irrilevante, ma spiritosa e divertente).
Sabato 30 giugno 1860, nella sala del Museo dell'Università di Oxford, il professor Draper, dell'Università di New York, avrebbe tenuto una conferenza sullo sviluppo intellettuale dell'Europa in relazione alla teoria di Darwin. Wilberforce aveva sparso la voce che sarebbe intervenuto a demolire una volta per tutte l'evoluzione nel dibattito susseguente.

Il racconto di quel pomeriggio è entrato in una ristretta collezione di miti e leggende della storia della scienza. Stephen Jay Gould lo colloca più o meno sullo stesso piano della mela caduta sulla testa di Newton, o di Archimede che salta su dalla tinozza da bagno e corre nudo e felice per le strade di Siracusa gridando "Eureka !"

"Dopo il lungo e noioso discorso di Draper, il vescovo Wilberforce prese la parola di fronte alla sala affollatissima; per mezz'ora confutò l'evoluzionismo e concluse, rivolto a Thomas Henry Huxley, amico e sostenitore di Darwin che era vicino a lui sul palco, domandando se fosse per parte di nonno o per parte di nonna che si vantava di discendere da una scimmia.
Huxley, nel suo intervento, smontò punto per punto il discorso del vescovo, e rispose che avrebbe trovato preferibile avere come proprio antenato una scimmia, piuttosto che un uomo che usava la propria intelligenza per offuscare e nascondere la verità anzichè ricercarla. In sala si scatenò un gran pandemonio; il viceammiraglio FitzRoy sollevò un enorme libro sopra la testa e si mise a urlare: "La Bibbia ! La Bibbia ! La Bibbia ! E' l'unica verità a cui credere ! La Bibbia ! La Bibbia !" Tra il pubblico, dopo lo smacco patito dall'eminente prelato, Lady Brewster svenne per l'emozione, e la riunione finì nel parapiglia generale.
Quell'episodio segnò un passaggio cruciale per l'affermazione definitiva della teoria dell'evoluzione."

Questo, più o meno, è il racconto standard che tutti avranno letto o sentito, nella sua versione eroica ed agiografica.

La realtà è che non esiste alcun verbale del dibattito, e nessuno dei presenti ha scritto una cronaca immediata di quel che avvenne. Tutte le diverse versioni della vicenda sono ricordi riportati alla mente in tempi successivi da protagonisti e testimoni. Anche i giornali dell'epoca danno notizie succinte e sbrigative, e forse di seconda mano, del convegno: quindi è disponibile una gran varietà di sfumature e modificazioni della storia, inserite come abbellimenti o finalizzazioni postumi; e lo stesso racconto standard non è del tutto fedele.

Possiamo subito sgombrare il campo da qualcuna delle varianti; ad esempio: "...Huxley disse, in effetti, che avrebbe preferito come antenato una scimmia piuttosto che il vescovo, e la folla non ebbe dubbi su ciò che intendeva dire.
Alle sue parole seguì un grande frastuono. Gli uomini balzarono in piedi, protestando a gran voce per questo insulto rivolto al clero. Lady Brewster svenne. L'ammiraglio FitzRoy, l'ex comandante della Beagle, agitò una Bibbia, gridando al di sopra del tumulto generale che quella era l'autorità vera e incontestabile, e non la vipera che egli aveva ospitato sulla sua nave.
" (Roth Moore, Charles Darwin, Hutchinson, London 1957); è una delle versioni che erano circolate negli anni successivi, ma Huxley stesso smentì di avere fatto alcuna allusione alla scarsa propensione del clero ad osservare il voto di castità, e di avere quindi provocato lo svenimento di Lady Brewster per tale via.

Ugualmente, un racconto dello stesso "Soapy Sam", scritto tre giorni dopo: "Sabato il professor Henslow, che presiedeva la sezione zoologica, mi chiamò per nome per fare un discorso di apertura alla sezione sulla teoria di Darwin. Non potei quindi sottrarmi, ed ebbi uno scontro piuttosto prolungato con Huxley. Penso di averlo completamente distrutto." Suona clericalmente falso. Diversi testimoni parlarono della pubblicità che Wilberforce aveva fatto nei giorni precedenti in vista del suo discorso; ed era sul palco sapendo benissimo che avrebbe parlato. Alcune fonti parlano di un uditorio di più di 700 persone, altre di oltre mille, con altri ancora che erano tornati indietro per non avere trovato posto in sala; e non erano certamente andati lì per sentire Draper.

Una lettera di Balfour Stewart, che aveva assistito al convegno e lo commentava a caldo, è probabilmente il resoconto più immediato del confronto di idee tra Wilberforce ed Huxley. Coincide, per lo scambio di battute su nonni e scimmie, con il racconto standard, ma contiene un giudizio che ora suona sorprendente: "Penso che il vescovo abbia avuto la meglio."

Ma dov'era Darwin, quel giorno ? Era malato, e non potè essere presente. Il botanico Joseph Hooker gli scrisse il 2 luglio: "Sam Oxon (Oxon = Oxfordiano) si alzò in piedi e parlò a getto continuo per mezz'ora con inimitabile spirito, turpitudine, vuotezza e nequizia [...]. Huxley gli rispose mirabilmente e rovesciò la situazione, ma non potè far giungere la sua voce a tutti i presenti nè dominare il pubblico; e non alluse ai punti deboli di Sam nè spiegò le cose in una forma o in un modo da trascinare il pubblico."
Hooker, come vedremo tra poco, era sul palco con Draper, Huxley, Wilberfoce, il moderatore Henslow e varie altre persone; ma ci sono altre testimonianze di spettatori che confermarono di non essere riusciti a sentire le parole di Huxley per il frastuono. Huxley non era ancora un grande oratore, era anzi stato restìo ad intervenire, e prese gusto nel parlare in pubblico proprio a partire da quella giornata.

L'unico resoconto giornalistico piuttosto esteso sul convegno fu pubblicato un paio di settimane dopo dall'Athenaeum. Riferisce della mezz'ora di discorso di Wilberforce come non solo scherno e retorica, ma anche riassunto della critica competente dell'epoca; riporta brevemente la risposta di Huxley non come una confutazione agli argomenti del vescovo, ma come una rassegna dei fatti che confermavano la validità dell'elaborazione di Darwin; glissa rispettosamente sullo scambio di battute su scimmie e antenati (ma questo non è sorprendente per la paludata stampa vittoriana); ma soprattutto racconta che il convegno NON finì lì. Dopo Huxley, prese la parola FitzRoy, e dalla mancanza di tracce rilevanti del suo discorso, possiamo presumere che non sia andato molto oltre l'invocazione delle Bibbia come unica possibile fonte di verità; dopo altri due oratori, fu proprio Hooker, e non Huxley, a confutare sistematicamente i fatui argomenti di Wilberforce, a lasciare il vescovo senza possibilità di replica e a concludere il convegno con la generale sensazione della disfatta di "Soapy Sam": la mitizzazione di quel confronto lo semplifica, raggruppando in una sola persona la forza argomentativa e la battuta mordace.

Ma, soprattutto, la ricostruzione eroica e leggendaria di quel dibattito come un passaggio cruciale per l'affermazione dell'evoluzionismo è a sua volta un artefatto postumo: a dimostrarlo c'è proprio la scarsità di fonti dirette ed immediate. Quel dibattito ebbe, al di là dell'affollamento della sala, una scarsissima eco sulla stampa dell'epoca: solo pochi cenni su qualche giornale. Fu solo dopo molti anni che venne costruito il mito propagandistico dello scontro tra Wilberforce e Huxley (con l'oscuramento di Hooker). Il vincitore del dibattito nella versione leggendaria, in realtà era riuscito a malapena a farsi sentire nel rumoreggiare della sala; ma Huxley fu molto più caustico nei confronti di Wilberforce quando questi morì, nel 1873, in conseguenza delle ferite alla testa causate da una caduta da cavallo: "Per la prima volta la realtà ed il suo cervello sono entrati in contatto, e il risultato gli fu fatale."
Roba da far svenire Lady Brewster.

sabato 29 giugno 2013

Preludio di un anniversario - Voci dal margine

Conrad Martens: La HMS Beagle salutata dai Fuegini

Ci sono persone che percepiamo vagamente come attori un pò anonimi ed un pò oscuri della storia, per il fatto che si sono trovate, in momenti cruciali, in prossimità di figure molto più grandi e molto più ingombranti di loro.

Fabrizio De Andrè, specializzato nel ramo "dare voce ai personaggi marginali", scrisse una delle sue canzoni più celebri immaginando la scena della crocifissione e facendo parlare uno dei due ladroni, il quale confuta uno per uno i dieci comandamenti per riconoscere infine come unico insegnamento valido quello del misterioso personaggio che condivide accanto a lui quel momento finale. Ve li presento, i due ladroni, se non li conoscete: dai Vangeli apocrifi, si sa che si chiamano Dimaco e Tito. Credo che i Vangeli ufficiali neanche li nominino.

La marginalità storica del viceammiraglio Robert FitzRoy ha un carattere persino beffardo, ed è circondata da risvolti tragici. FitzRoy (1805-1865) si sarebbe guadagnato una sua propria fettina di meritata notorietà, come primo promotore delle previsioni del tempo e dei bollettini meteorologici, memore dei tanti compagni di navigazione caduti nel mezzo di tempeste che avrebbero potuto evitare di incontrare; oppure come effimero governatore della Nuova Zelanda nel 1843, presto esautorato dal Governo di Sua Maestà Britannica per la sua ostinazione nel voler rispettare gli accordi stipulati con le popolazioni indigene, che lo aveva reso insopportabile ai coloni ansiosi di trarre profitto dallo sfruttamento intensivo delle risorse locali.
Ma per noi navigatori di poltrone in terraferma, Robert FitzRoy rimane "solo" il capitano del brigantino HMS Beagle, che egli condusse in giro intorno al mondo dal 1831 al 1836, ospitando a bordo il giovane naturalista Charles Robert Darwin.
Il Beagle aveva già navigato attorno alla Terra del Fuoco, per rilevamenti cartografici, negli anni precedenti, con il giovane FitzRoy come luogotenente. Quel viaggio fu segnato da due eventi rilevanti: il capitano Stokes, in preda alla depressione, si suicidò, e FitzRoy dovette assumere il comando della nave; poi, ci fu una schermaglia tra un gruppo di marinai accampati sulla costa e gli indigeni di un villaggio vicino. La scialuppa inglese fu inseguita dai nativi, ed alla fine dello scontro quattro fuegini finirono per essere trattenuti a bordo del Beagle e portati via. FitzRoy elaborò un estemporaneo progetto di educazione e civilizzazione dei "selvaggi" (due uomini, un ragazzo e una ragazza) e se li portò a Plymouth, dove sbarcarono nel 1830 con già appioppati addosso nuovi nomi inglesi paternalisticamente ridicoli: Fuegia Basket, Jemmy Button, York Minster e Boat Memory. Quest'ultimo morì di vaiolo di lì a poco.
I tre fuegini superstiti divennero l'attrazione circense dell'alta società britannica per l'anno successivo: sarebbero stati istruiti ed educati alla lingua ed alle usanze inglesi, ed indottrinati alla religione cristiana. Persino il re Guglielmo IV apprezzò quell'esperimento di "elevazione culturale e morale" dei tre "selvaggi" e li ricevette a corte.
Quindi, lo scopo fondamentale della storica partenza del Beagle nel 1831 era quello di riportare a casa i tre nuovi ambasciatori delle maniere e della cività britanniche, corredati di un apposito missionario che avrebbe salvato le anime di tutti i loro conterranei, convertendoli facilmente con il supporto di tali tre esempi di moralità e cultura superiori. Darwin fece parte, come esperto di geologia per il proseguimento degli studi geografici, di una serie di aggiunte accessorie a tale nobile progetto, che includeva il carico a bordo di una quantità incredibile di assurde cianfrusaglie raccolte, con le migliori intenzioni del mondo, dalle dame di carità di tutti i paraggi, entusiasmate dall'idea di sollevare le miserabili condizioni di vita di popolazioni tanto derelitte, comprendente abiti di tutti i tessuti e di tutte le fogge, accomunati solo dalla loro totale inadeguatezza alla destinazione, e preziosi servizi da tè in porcellana cinese, perchè i poveri cacciatori di foche potessero avere almeno il conforto, nei loro pomeriggi di mare e venti gelidi, di sorbire il tè delle cinque in tazzine di prim'ordine.
Fortunatamente, una tempesta nell'Atlantico mandò in frantumi le porcellane e sollevò il capitano FitzRoy dall'imbarazzo di dover consegnare un simile dono.
Se quel manicomio galleggiante non fosse stato allestito, non avremmo mai avuto notizie di Charles Darwin, che sarebbe rimasto un oscuro gentiluomo di campagna dal carattere testardo ed un pò fannullone, e che probabilmente avrebbe accolto come uno sgradevole attacco alla stabilità delle tradizioni religiose la teoria dell'evoluzione esposta attorno al 1860 da Alfred Russel Wallace.
Gli uomini del Beagle sbarcarono vicino casa di Jemmy Button a fine 1832, cominciarono a costrure capanne per la missione cristiana, piantarono ortaggi inglesi probabilmente già assegnati ad un triste destino dal clima, ma che in un luogo ove non era mai esistito neanche il concetto di agricoltura, venivano regolarmente calpestati come qualsiasi altra erba. Pur nel pieno dell'estate australe, anche il Supremo conferì scarsa ispirazione al proprio portavoce: il reverendo Matthews resistette due settimane, poi si fece riportare a bordo per essere accompagnato presso un fratello in Nuova Zelanda. Figurarsi come avrebbe passato l'inverno.
Dopo una perlustrazione di studio delle coste del Sudamerica, la spedizione tornò alla Terra del Fuoco dopo poco più di un anno, all'inizio del 1834. Jemmy raccontò che Fuegia e York gli avevano portato via gli abiti e gli attrezzi e se ne erano tonati in canoa alla loro regione di origine, poco distante. Parlava ancora un buon inglese, ma era ritornato a vivere secondo i costumi dei suoi compaesani, si era sposato e non aveva il minimo desiderio di rivedere l'Inghilterra. Nulla della cultura e delle usanze britanniche, pur così ovviamente ed intrinsecamente superiori a quelle locali, si era diffuso tra i fuegini, chissà come mai; neanche la tradizione del tè delle cinque sembrava aver preso piede un gran che.
Jemmy pregò FitzRoy di portare alcuni doni ad amici particolari: tra le altre cose, un arco con frecce ed una faretra per il suo insegnante di inglese a Walthamstow, e "una punta di lancia fatta appositamente per il signor Darwin", con cui aveva tanto piacevolmente conversato durante il viaggio.
La sua fede incrollabile permise al capitano di vedere come mezzo pieno il bicchiere vuoto: "Forse, in futuro, un naufrago uomo di mare potrà ricevere un aiuto e un'accoglienza gentile dai figli di Jemmy Button ispirati, come non mancheranno di essere, dalle tradizioni che avranno appreso da uomini venuti da terre lontane; e da un senso,per quanto vago, di devozione a Dio e ai loro simili."

A ciò fece seguito la visita alle Isole Galàpagos, il laboratorio naturale dell'evoluzione. L'ironia finale sul religiosissimo FitzRoy è che il suo compagno di viaggio Darwin era partito creazionista, e ritornò in Inghilterra nel 1836 ancora creazionista convinto (sebbene già sfiorato da qualche tiepido dubbio, rapidamente represso). Tanto è vero che aveva raccolto i suoi esemplari secondo un criterio logico crezionista: ogni diversa specie era stata creata appositamente per la sua isola, non aveva molta importanza quale. Fu solo nei mesi successivi, nel rimettere ordine nei suoi appunti e nella sua collezione di reperti, che nella mente di Darwin si fece strada un pò alla volta quella "idea della vita": e allora, se le differenze fra specie affini rappresentavano una storia non di creazioni in serie, bensì di discendenze da un comune antenato colonizzatore, diversificatesi sotto la guida dei diversi ambienti locali, l'isola di origine di ciascun esemplare acquisiva tutta un'altra importanza. Darwin scrisse a FitzRoy, che aveva a sua volta raccolto una sua collezione di reperti, per ricostruire i siti di origine delle diverse specie, ed ottenne l'aiuto del capitano, che era stato molto più meticoloso di lui nell'etichettare i propri esemplari con il preciso sito di prelevamento. Non solo con il viaggio in sè, ma anche dopo il rientro in porto, FitzRoy contribuì a chiarire le idee a Darwin. In seguito non potè perdonargli la smentita della lettera della Bibbia sull'origine dei viventi, e forse nemmeno il maggior successo del suo diario di viaggio (in italiano Viaggio di un naturalista intorno al mondo) rispetto a quello scritto e pubblicato da FitzRoy stesso.

Quando era ragazzo, suo zio si era suicidato tagliandosi la gola. Rimase sempre assillato dall'idea che quel gesto potesse essere il sintomo di qualche tendenza ereditaria; e quando si sentì più solo e frustrato, sconfitto dal tempo storico, nella sua ortodossia religiosa ferita dal suo antico compagno di navigazione; e dal tempo meteorologico che rifiutava di piegarsi a previsioni ancora troppo imprecise e fallaci, quell'ossessione materializzò lo schema più tipico delle profezie che si autoavverano.

Molti anni dopo, nel 1934, Nora Barlow, la nipote di Darwin che si curava di ordinare e raccogliere la mole di scritti privati del nonno, lettere, appunti, quaderni, taccuini, andò ad incontrare Laura FitzRoy, anziana ultima figlia del viceammiraglio. Il dialogo fu cordiale e commovente. La FitzRoy lo concluse con un riconoscimento al vecchio compagno di viaggio del padre, senza voler rinunciare all'idea di un disegno superiore che governi le vicende del mondo: "Darwin fu un grande uomo, Signora, fu un genio, venuto al mondo per uno scopo speciale. Ma ha oltrepassato il segno. Sì, è andato oltre il segno per il quale era destinato."

giovedì 27 giugno 2013

L'occasione fa il Primate ladro


Il nostro meraviglioso cervello è diventato così meraviglioso per la nostra ancestrale abitudine a vivere in gruppi sociali numerosi, con conseguente necessità di capire e manipolare il comportamento degli altri ? E' una delle ipotesi sull'evoluzione dell'intelligenza nei Primati. Ma d'altra parte, più in generale, l'intelligenza (almeno quella che noi riconosciamo come tale) negli animali è correlata - non sempre e non rigorosamente - con la proporzione tra le dimensioni del cervello e quelle del corpo. Può essere quindi che l'aumento delle dimensioni del cervello sia una risposta alle necessità poste da complesse reti sociali (non solo nei Primati: anche elefanti o delfini, ad esmpio, hanno cervelli grandi in proporzione al corpo), che richiedono l'elaborazione di una gran varietà di stimoli ed informazioni provenienti dagli altri membri della nostra comunità; e che l'intelligenza sia un sottoprodotto occasionale e non necessario di questa capacità di elaborazione di informazioni sociali ? In altre parole, è la complessità della rete sociale il motore che ha favorito l'evoluzione di cervelli in grado di compiere associazioni e inibizioni via via più complesse, fino al nostro, capace di astrazione e immaginazione e di tutto un surplus di potenzialità accessorie che poi Aristotele, Bach, Einstein e Jack lo Squartatore hanno saputo mettere a frutto ciascuno secondo le proprie personali inclinazioni ?

Forse non chiariremo mai questi miti dell'origine, ma per provare a mettere un pò di ordine su alcuni punti, McLean ed altri hanno sottoposto ad un paio di esperimenti comportamentali dieci individui di ciascuna di sei specie di Lemuri, caratterizzate da diverse dimensioni dei gruppi sociali tipici (da 15-16 individui di Lemur catta, a 2-3 individui per Eulemur mongoz).

Il primo era una prova di "abilità sociale": i Lemuri dovevano scegliere di andare a "rubare" del cibo da uno di due piatti presidiati da sperimentatori, uno dei quali guardava (e toglieva il piatto all'avvicinarsi dell'animale), e l'altro era girato da un'altra parte. Tra le diverse specie, la capacità di scegliere il soggetto giusto a cui andare a sottrarre il cibo ha un'alta correlazione con il numero di individui con cui questi Primati sono abituati a convivere, confermando che esistono abilità mentali che si acquisiscono in relazione alla capacità di controllare gli altri membri di una comunità numerosa, o di sottrarsi al loro controllo.
Non si ha invece alcuna relazione con le dimensioni del cervello.

Il secondo era un test "non sociale": ai soggetti veniva presentato, di lato, dapprima un cilindro opaco, aperto solo alle estremità, all'interno del quale era nascosto del cibo. I lemuri dovevano quindi raggiungere una estremità per potere accedere al premio. Poi, la stessa prova si ripeteva con un cilindro identico ma trasparente. L'animale, avvicinandosi di lato, poteva vedere il cibo vicinissimo, ma doveva ricordarsi la soluzione del problema precedente ed allontanarsene momentaneamente per arrivare all'estremità del cilindro.
In questo caso, la capacità di superare la prova per le sei specie risulta del tutto indipendente dalle dimensioni dei loro gruppi sociali.
(E, anche in questo caso, indipendente anche dalle dimensioni del cervello).

Questi risultati sembrano dimostrare che la vastità delle relazioni sociali abbia davvero una relazione di causalità con alcune capacità mentali: ma solo alcune, legate alla comprensione dei comportamenti altrui, ivi compresa l'abilità nel furto. Ma altre forme di ragionamento "non-sociale" non sono influenzate dalla complessità e numerosità dei gruppi e delle relazioni interindividuali.

Si possono tirare le somme in varie maniere da questi risultati: quello che mi pare più interessante mettere in evidenza qui, è l'emergere di una evoluzione dell'intelligenza nel nostro Ordine come un mosaico complesso di capacità ed attitudini largamente indipendenti fra di loro: un intelletto costruito con "intelligenze multiple".
Una molteplicità di fattori contraria a quella intelligenza generale e misurabile (la famigerata g di Spearman) che sottenderebbe, come una maggiore o minore forza omnicomprensiva, tutte le diverse facoltà mentali, che dovrebbero essere quindi tutte in qualche modo legate tra loro e non potrebbero variare in modo indipendente, e che i test di Quoziente di Intelligenza pretenderebbero di quantificare.