lunedì 28 gennaio 2013

Breve riassunto del mondo - Quarta parte

(...segue)


Ma se il gioco è a somma zero, come siamo andati avanti finora ? Da dove sono arrivati profitti e ricchezza fino adesso ?

Mi terrò lontano dalle questioni metafisiche poste dai meccanismi esoterici della finanza, attraverso i quali ciascuno può acquistare un debito di qualcun altro e farlo diventare una ricchezza e trarne guadagno, fino a dare al capitalismo finanziario un volume migliaia di volte superiore al capitalismo produttivo: una gigantesca bolla della quale è finora esploso soltanto qualche marginale foruncolo minore. So solo che quando arriveremo al dunque ci sarà da ridere.

Ma esiste un meccanismo molto evidente e palese attraverso il quale si può fare aumentare fittiziamente il potere d'acquisto collettivo, e quindi alimentare i profitti delle imprese: è il debito pubblico.
I debiti pubblici degli Stati SONO, in buona parte, i profitti d'impresa, attraverso due meccanismi fondamentali: il più ovvio è quello di spendere più di quando consentirebbero le entrate fiscali, permettendo alla vasta corte delle imprese appaltanti di vendere merci e servizi al di sopra delle possibilità del potere d'acquisto della collettività dei contribuenti; il secondo è finanziare la massa complessiva del potere d'acquisto attraverso gli stipendi dei dipendenti pubblici; ma attenzione: se i servizi da essi prodotti fossero pari al valore della loro retribuzione, il gioco tornerebbe ad essera a somma zero. Quindi E'NECESSARIO, ai fini del sostegno all'economia di mercato ed ai profitti d'impresa, che i dipendenti pubblici abbiano qualche soldo da spendere per acquistare merci, ma che il loro lavoro sia mantenuto scarsamente produttivo.
Se le Poste fossero efficienti, diminuirebbe lo spazio per i profitti dei corrieri privati.
Se i trasporti pubblici fossero effcienti, si venderebbero meno automobili.
Se il Servizio Sanitario Nazionale funzionasse a dovere, addio guadagni per lo sterminato esercito di parassiti e faccendieri che operano nel campo della sanità privata.
Se poi la scuola fosse in condizione di esercitare appieno la propria funzione, avremmo giovani generazioni esercitate all'uso del proprio senso critico, e questo sarebbe definitivamente intollerabile.

Ma non si può vivere a debito all'infinito, e ad un certo punto i nodi devono pur venire al pettine. Il debito pubblico deve necessariamente essere ridotto.
Tutti considerano questa operazione una virtuosa necessità, ma occorrerebbe pure sapere che con il debito pubblico si riduce una, forse la principale, fonte di profitto per l'insieme delle imprese.
E quindi, quale fantasmatica ripresa economica si può mai prospettare ?

Avendo vissuto finora nello spreco e nella dissipazione di risorse al di sopra delle possibilità del nostro habitat, andiamo incontro ad una necessaria recessione permanente, finchè non troveremo un nuovo punto di equilibrio ad un livello di consumi molto più basso dell'attuale.

Il compito della politica in questo frangente dovrebbe essere quello di attutire l'impatto sociale di tale recessione: redistribuire fra tutti il minor lavoro per i minori consumi, azzerare le diseguaglianze sociali con la redistribuzione della (poca) ricchezza prodotta: altro che liberismo e competitività.
Avremmo bisogno di un organismo internazionale per il controllo e la pianificazione dell'utilizzazione delle risorse, per indirizzare il loro uso solo verso le produzioni indispensabili senza sprechi: altro che libero mercato.
E invece tutti volgono sguardi inutilmente speranzosi nella direzione opposta. Si pretende di curare i mali del liberismo con ricette sempre più liberiste; con il risultato prevedibile di inasprire sempre di più i conflitti sociali.


Esempio: oggi tutti piangono al capezzale del moribondo mercato dell'automobile, un mezzo di trasporto individuale che produce, quando va molto ma molto bene, 150 grammi di anidride carbonica per kilometro percorso; ma contestualmente aumentano le vendite di biciclette. E perchè mai dovrebbe essere un male ? Non è forse l'automobile un prodotto ormai superato, concepito sull'onda del concetto ottocentesco del progresso inarrestabile di cui si diceva nella puntata precedente, senza tenere conto del costo in termini di risorse dissipate, come se le disponibilità del nostro pianeta fossero illimitate ?
Cosa ci sarebbe di strano nell'abbandonarlo ? Perchè mai dovremmo rilanciare questo genere di consumi ? Poniamoci la questione di redistribuire il lavoro, non di fabbricare qualsiasi cosa.

(Chissà se continua... potrebbe anche bastare così, per ora.)

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