giovedì 24 gennaio 2013

Secondo intermezzo

"Col permesso di trasmettere
e il divieto di parlare
...
Com'è che non riesci più a volare ?"
(F. De Andrè - 1975)


Uno dei dogmi più fondamentali e universalmente professati della religione del Libero Mercato è che l'utente/consumatore trae vantaggio dalla libera concorrenza tra produttori/venditori, poichè questi ultimi saranno forzati dalla competizione ad offrire prodotti di maggiore qualità a minor prezzo.

La storia della televisione negli ultimi trent'anni è la dimostrazione più lampante che tale mistero della fede non funziona affatto.
La fine del monopolio e l'ascesa delle telvisioni private ha scatenato sì una competizione, ma solo per la valorizzazione degli spazi pubblicitari, non certo per la qualità del prodotto; vale solo l'essere visti, attirare l'attenzione, non quello che si dice.

La concorrenza per la ricerca del maggiore ascolto ha generalizzato la rincorsa alla produzione di programmi di facile impatto, popolati da macchiette appariscenti e rivolti ad un pubblico di minus habens (minus habentes, se il mio plurale maccheronico fosse, per puro gioco della sorte, indovinato), ed alla pressochè totale emarginazione di qualsiasi prodotto di valore intellettivo minimamente complesso.

L'affermazione delle telvisioni private, e lo scadimento di quella pubblica nella competizione per gli ascolti, è stato uno dei fattori fondamentali della profonda decadenza culturale innescatasi negli anni '80, della perdita di qualsiasi forma di senso critico, dalla scomparsa di ogni tendenza all'approfondimento, e quindi del generale impecorimento dell'opinione pubblica. Ed io un progetto politico funzionante fin dagli albori di questo processo, e poi realizzato, lo riconosco in pieno.

La libera concorrenza tra pubblico e privato, ben lungi dal migliorare la qualità dell'offerta, ha trasformato la televisione, dal potente mezzo di diffusione di istruzione e cultura delle origini (pur se solo parzialmente utilizzato, soprattutto nell'informazione, a causa del bigottissimo controllo censorio), al luogo degradato e degradante, nel quale la parrucca rossa ha più valore dell'argomentazione razionale, che oggi è (e nel quale il controllo censorio della politica permane comunque più forte che mai).

"La Televisiùn
la g'ha paura de nissùn
La Televisiùn
la g'ha 'na forsa de leùn
La Televisiùn
la te indurmenta 'me 'n cujun."
(E. Jannacci)

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