domenica 24 marzo 2013

Picasso, la scimmia e la vitamina A - seconda parte


Eravamo rimasti, nella nostra piccola ricostruzione storica della visione cromatica, ad una condizione originaria di Vertebrato con quattro tipi di coni nella retina, e quindi a quattro "dimensioni" nella capacità di discriminare colori, e ad una situazione derivata, nella generalità dei Mammiferi, di riduzione a due soli tipi di coni, una perdita di funzioni presumibilmente legata alla nostra lunga esistenza come animali notturni.
E dunque come abbiamo acquisito, noi Homo, la nostra attuale situazione intermedia di visione tricromatica ?
Da venti o trent'anni si stanno accumulando informazioni sui geni che codificano le opsine, le proteine legate alla molecola fotosensibile 11-cis-retinale, e che ne possono fare "slittare" in qua o in là le lunghezze d'onda di massima sensibilità. E dalle loro somiglianze o differenze negli animali attuali si possono ricostruire le loro antiche parentele.
E la storia è tortuosa, vi avevo avvisato.
Quindi, ragazzi, massima attenzione.

I gusti crepuscolari dei primi Mammiferi devono aver conferito un certo vantaggio alla riduzione della originaria ricchezza di colori nella visione dei loro antenati rettiliani, poichè tale tendenza alla perdita di funzioni si è manifestata presto e ripetutamente: delle quattro famiglie di geni codificanti opsine presenti negli altri Vertebrati, due spariscono nei Monotremi (Ornitorinco ed Echidna), che hanno separato il loro cammino dagli altri Mammiferi già oltre 160 milioni di anni fa; ma non sono le stesse (una sì ed una no) di cui hanno fatto a meno gli Euterii, cioè noi con la maggior parte degli altri Mammiferi, ad eccezione dei Marsupiali (dai quali ci siamo separati 140-150 milioni di anni fa) nei quali la situazione è più variegata ed intermedia. Inoltre, come abbiamo già detto nella puntata precedente, qua e là in Ordini diversi, specie spiccatamente notturne hanno ulteriormente ridotto la dotazione di rodopsine nei propri coni ad un solo tipo. Quindi sembrerebbe che queste perdite siano state guidate da una certa pressione selettiva.
Ma a partire da un 65 milioni di anni fa, parecchi gruppi di Mammiferi hanno cominciato a prendere familiarità con la luce del giorno, incoraggiati dalla contingenza storica che, manifestatasi sotto forma di meteorite, ha sfoltito buona parte della concorrenza.
Ed eccoci infine all'intricata vicenda dei Primati.
I gruppi da cui la nostra linea di discendenza si è separata più precocemente (Strepsirrine), come i Lemuri, consevano l'impianto visivo mammaliano standard, con due tipi di coni; nelle scimmie si presenta un caso piuttosto curioso.
Noi, come tutte (per quel che ne sappiamo finora) le scimmie Catarrine, cioè quelle africane ed asiatiche (babbuini, amadriadi, mandrilli, gibboni, ecc., e naturalmente i nostri parenti ancor più prossimi orang-utan, gorilla e scimpanzè) disponiamo di tre tipi di opsine, e quindi di coni, che però risalgono alle due famiglie di geni superstiti comuni a tutti gli altri mammiferi Euterii; uno, quello per le corte lunghezze d'onda (blu-violetto) si trova sul cromosoma 7; gli altri due geni si trovano uno vicino all'altro sul cromosoma sessuale X, e sono pressochè identici, poichè le due opsine che modificano la sensibilità dei nostri coni per il verde e per il rosso differiscono per solo 3 aminoacidi in una catena di 364. Quindi c'è tutta l'evidenza di un fortunato evento di scambio diseguale tra due cromosomi X che, ad un certo momento della storia, in qualche parte dell'Africa, in una antica scimmia, ha lasciato una doppia copia dello stesso gene su uno dei due e nessuna sull'altro.
Non si tratta di un evento eccezionale: a volte capita quando, durante la meiosi, cioè il processo di "preparazione" delle cellule riproduttive, le due copie dei cromosomi ricombinano scambiandosi delle parti, che tale scambio non sia del tutto preciso e piccole parti di cromosoma rimangano in doppia copia da una parte ed assenti dall'altra.
Questo evento si dev'essere verificato in una femmina, poichè solo le femmine hanno due cromosomi X che possono scambiarsi segmenti; al termine della meiosi la cellula uovo risultante ha avuto in dotazione la copia "fortunata" del cromosoma X e non quella "povera", ed infine quell'uovo è stato fecondato, e la discendenza ha avuto fortuna, e presumibilmente notevoli vantaggi (in animali ormai diventati diurni !), poichè quel cromosoma X con quel piccolo pezzettino in più è diventato infine l'unico presente in tutte le scimmie catarrine attuali fino a noi.
Il fatto che i geni che codificano le proteine dei recettori per il verde e per il rosso si trovino sul cromosoma X, rende conto del fatto che quasi tutti i daltonici siano maschi.
Mutazioni che rendono inefficiente uno dei due recettori determinano l'incapacità di distinguere i colori di quella zona dello spettro, e sono relativamente rare. I maschi hanno un solo cromosoma X, e quindi chi ha in sorte un cromosoma difettoso, è daltonico. Le femmine ne hanno due copie, ed è estremamente meno probabile che possano capitare loro due copie mutate (rare) nello stesso gene (anche due cromosomi "difettosi" a geni alterni lascerebbero comunque una copia funzionale di ciascuno di essi).
Avere due copie dello stesso gene è una situazione particolarmente favorevole allo sviluppo di nuove potenzialità, una vera pacchia per il cambiamento evolutivo: la selezione naturale tende a punire le alterazioni funzionali, se quella funzione è importante per la sopravvivenza, ma lascerà almeno una delle due copie "libera" di mutare a caso ed eventualmente arrivare ad aggiungere una nuova funzionalità senza perdite per quella preesistente. Figuriamoci nel caso dei recettori visivi, ove bastano poche modificazioni per avere uno scostamento di sensibilità, ed un recettore diverso in più è di per sè una capacità sensoriale aggiuntiva.
Questa sarebbe già una casistica fortunosa e da manuale di genetica classica, ma non abbiamo ancora preso in considerazione le scimmie Platirrine, cioè quelle sudamericane. La fratturazione tra le placche tettoniche sudamericana e africana dovrebbe essere iniziata circa 140 milioni di anni fa, ed i due continenti hanno finito per essere completamente separati, e con essi chi ci abitava sopra, intorno a 40 milioni di anni fa.
Quindi diventa una bella domanda interessante: come stanno, a vista di colori, le scimmie sudamericane ?
La risposta è "così così".
In generale hanno la canonica visione dicromatica standard dei mammiferi, salvo, ancora una volta, alcune specie notturne che hanno perso un tipo di recettore. Però... in generale, nelle diverse specie dicromatiche, esiste una certa percentuale di individui dotati di visione tricromatica.
E sono tutte femmine. Vi dice niente ?
Il gene per l'opsina del "rosso-verde", quello sul cromosoma X, è uno solo, ma polimorfico, cioè può avere più alleli diversi, e quindi le femmine eterozigoti sono tricromatiche. Ne dobbiamo dedurre che la duplicazione in tandem sul cromosoma X deve essere avvenuta in Africa dopo che il continente sudamericano se n'era andato per i fatti suoi, lasciando un pò di Atlantico nel mezzo. Ma non è tutto: tra le Platirrine il gruppetto dei tre aminoacidi che diversificano le proteine dei due pigmenti per "verde" e "rosso", è proprio lo stesso rispetto alle nostre opsine. E poichè è estremamente improbabile che le stesse mutazioni si accumulino pari pari in due linee di discendenza separate (e molte altre sostituzioni di aminoacidi potrebbero analogamente differenziare gli spettri di sensibilità dei recettori), dobbiamo concludere che l'insorgenza delle mutazioni, e l'origine di alleli alternativi per lo stesso gene, sia stato il primo passo verso la visione tricromatica; e in un secondo tempo, in una antica popolazione di scimmie africane nella quale soltanto le femmine eterozigoti godevano di una migliore capacità di distinguere i colori, si sia verificata, in una di esse, quella fortunata duplicazione di geni che ha conferito la visione tricromatica a suoi figli, maschi e femmine, e si è poi propagata di generazione in generazione agli individui della sua specie, e delle specie discendenti.
Infine, lo stesso evento di duplicazione si dev'essere verificato almeno una volta anche in America, perchè le scimmie Platirrine del genere Alouatta, le scimmie urlatrici (molti Homo sapiens considerano di avere in casa almeno un esemplare di scimmia urlatrice, ma queste sono leggermente diverse), a differenza delle loro parenti, presentano tre tipi di coni in tutti gli individui, maschi e femmine, con due geni per opsine sul cromosoma X disposti in modo simile alle Catarrine.

E per concludere, veniamo alla pralina di tutto il discorso. Chissà quali adattamenti neurologici devono avere accompagnato questa amplificazione delle capacità sensoriali. Come fa il cervello a sapere se un imulso nervoso è originato da (dico per dire) 100 fotoni della lunghezza d'onda a cui un cono ha massima sensibilità, oppure da 1000 fotoni di una lunghezza d'onda a cui lo stesso recettore è 10 volte meno sensibile ? Confronterà gli stimoli che provengono dalle cellule vicine, uguali o diverse, disposte, come abbiamo detto, a caso nella retina. Ma allora il cervello ha bisogno di "sapere" che quel certo segnale arriva da quel certo tipo di cono ? E quindi, se si aggiunge un nuovo tipo di cellula sensoriale, c'è bisogno anche che il cervello acquisisca a sua volta una predisposizione a ricevere ed interpretare quel nuovo segnale ?
I topi di laboratorio ormai fanno qualsiasi cosa. Anche ricevere un cromosoma X modificato in modo da avere due opsine funzionanti come quelle delle scimmie, e quindi una possibilità di visione tricromatica, che ovviamente un Roditore non può mai avere avuto.
Ebbene i topi così attrezzati diventano capaci di distinguere pannelli verdi, arancioni e rossi che a tutti gli altri topi appaiono identici.
Non c'è bisogno di nessun "cablaggio" nervoso particolare, la semplice presenza di un nuovo tipo di cellula sensoriale accresce le capacità di distinguere lunghezze d'onda diverse. Il cervello, siccome è intelligente, si arrangia da sè ad interpretare i segnali diversi che arrivano dalla stessa area della retina come colori diversi.

L'occhio è forse l'organo più invocato dai creazionisti per affermare l'impossibilità dell'evoluzione, con l'argomento che un organo così complesso ed integrato non avrebbe mai potuto originarsi "per caso". In realtà pochi sono gli organi che meglio dell'occhio si prestano ad essere spiegati per accumulo di piccole modificazioni successive selettivamente vantaggiose; e ben altre difficoltà di comprensione ci pongono semmai altre strutture anatomiche.
Per un qualsiasi animale pluricellulare primordiale che nuotasse nei mari del Precambriano, possedere su qualche parte del corpo qualche chiazza di cellule anche a malapena sensibili alle differenze di luce ed ombra, sarebbe stato certamente vantaggioso per rilevare l'avvicinamento dall'alto di qualche predatore. E di lì in avanti, qualsiasi perfezionamento che consentisse una visione via via più nitida e particolareggiata avrebbe offerto vantaggi ulteriori, così come la protezione della struttura con una lente, eccetera eccetera...
E a quanto pare, anche la percezione del segnale visivo da parte del sistema nervoso è più elastica, plastica e meno complessa di quanto potremmo pensare. Anche nella interpretazione della visione, il cervello (quello di un topo, mica il nostro iper-glorificato) è in grado di improvvisare il quadro come un artista di talento.

Principali fonti bibliografiche:
- Jacobs G.H. e Nathan J. - Color Vision: How Our Eyes Reflect Primate Evolution - Scientific American Magazine - 16 marzo 2009.
- Jacobs G.H. - Evolution of colour vision in mammals - Philosophical Transactions of The Royal Society B (2009) Vol. 364; pagg. 2957-2967.

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