martedì 30 aprile 2013

Si può essere più bugiardi ?



Stamattina: locandina de Il Centro - Quotidiano dell'Abruzzo.
Non so a quale cosca padronale appartenga, e ben poco m'interessa saperlo.
Incurante del fatto che, con uno pseudogoverno che ha appena giurato, ha avuto la fiducia della Camera e deve ancora avere quella del Senato, sarebbe certo non impossibile, ma obiettivamente difficile abolire alcunchè; sulla base di un solo discorso di proclamazione di buone intenzioni, che promette di SOSPENDERE il pagamento di giugno, in attesa di un accordo su come rimodellare la tassa, sempre ammesso che si trovino i soldi per poterlo fare, ecco qua che il prestigioso organo di stampa si inventa di punto in bianco la sua miracolosa abolizione.
E se io fossi un fedele lettore e ci credessi ?
Mi piacerebbe essere una mosca per poter essere presente alle riunioni di redazione e cercare di capire come i giornalisti interpretano il proprio mestiere.
Per il momento non mi capacito.

mercoledì 24 aprile 2013

L'Isola che c'è



Avevo letto la notizia a suo tempo, un paio di settimane fa, ma come al solito non si trova mai modo di mettersi sul pezzo tempestivamente; il "sollecito" è arrivato con un articolo, pubblicato oggi su il manifesto, della stessa Maria Cristina Finucci, artista e architetto toscana, che l' 11 aprile scorso ha organizzato presso la sede dell'Unesco la proclamazione fittizia, con tanto di bandiera e Costituzione, dello Stato Federale degli Ammassi di Spazzatura.
L'Unesco certifica il valore di patrimonio dell'umanità dei luoghi, e parimenti ne sottolinea la miseria.
Il Garbage Patch State consta di cinque aggregati galleggianti di rifiuti, principalmente plastica, due nell'Oceano Atlantico, due nel Pacifico, e uno nell'Oceano Indiano. Il più grande dovrebbe essere quello del Pacifico settentrionale, a nord delle Hawaii, esteso il doppio dell'Italia, con una profondità (pare) di trenta metri.



Rifiuti plastici che galleggiano negli Oceani e che pian piano, dove le correnti girano, si aggregano in ammassi sempre più grandi e più fitti, fino a formare isole di spazzatura alla deriva.
La plastica si degrada lentamente alla luce, ed i sacchetti, le bottiglie, i tappi, i contenitori, gli imballaggi, piano piano si frammentano a dimensioni sempre più microscopiche, mentre rifiuti sempre nuovi arrivano ad ingrossare questi quasi-territori fluttuanti, che qualsiasi Atlante Geografico Metodico che si rispetti ignora.
I frammenti di plastica finiscono per raggiungere dimensioni simili ai piccoli organismi che costituiscono il plancton, la base della catena alimentare dei mari, e in alcune aree raggiungono con esso rapporti di densità di sei a uno (6 : 1, non uno a sei: pastica 6 : plancton 1). Li mangiano i pesci, li mangiano le meduse, i loro prodotti di degradazione entrano nella catena alimentare, e nel nostro sforzo di massima produttività nello sfruttare le risorse del nostro pianeta, ce ne alimenteremo e li offriremo ai nostri ospiti come inconsapevole ripieno della nostra pietanza di pesce di cui vanteremo il pregio, direttamente proporzionale alla vicinanza all'estinzione. Gli amanti del sushi avranno il privilegio di consumare plastica cruda anzichè cotta, con qualche dubitabile beneficio per la propria salute; e poichè tale modo di mangiare è tanto trendy, ma decuplica gli scarti (il sushi mica si può fare col pesce congelato: il pescato si consuma o si butta via), avranno il merito di riciclare ulteriormente il rifiuto in chissà quante altre catene alimentari acquatiche e terrestri.



Possiamo permettercelo ? Evidentemente no. Deve fare qualcosa la società, è colpa del sistema ?
Certamente, avere legislazioni oculate e regolamenti ferrei che limtino gli abusi di imballaggi privi di qualsiasi utilità reale, se non quella di ospitare un marchio pubblicitario, potrebbe aiutare a limitare i danni. Ma ciascuno degli innumerevoli piccoli elementi che compongono quegli ammassi galleggianti di milioni e milioni di tonnellate, è entrato in mare portando su di sè le improte digitali di una mano di un singolo individuo, una persona che lo ha buttato via.
Poche questioni come quelle legate alla salvaguardia più elementare del nostro habitat (o almeno alcune di esse) sono, in fondo, tanto semplici da poter essere abbastanza facilmente riducibili ad una banale sommatoria di piccole azioni individuali.

http://www.garbagepatchstate.org

venerdì 5 aprile 2013

Unite con un tratto di penna i puntini dall'1 al 2.

Epimenide di Creta (VI secolo a.C.):
"I cretesi sono bugiardi."

L'affermazione del cretese Epimenide è vera o falsa ? Non si sa se l'intento originale della frase fosse quello di costruire un paradosso, ma a tale scopo essa fu perfezionata da

Ebulide di Mileto (IV secolo a.C.):
"Io sto dicendo il falso."

La frase così costruita diventa esplicitamente autonegante, ovviando alle possibili scappatoie offerte dal caso precedente, nel quale non si specificava se TUTTI i cretesi fossero SEMPRE bugiardi.

Aristotele, che era sempre il solito palloso, rielaborò l'insolubilità di queste frasi formulandole come problemi:
"E' possibile giurare di rompere il proprio giuramento ?"
o
"E' possibile ordinare di disobbedire all'ordine che si sta impartendo ?"

Nei quali si comincia ad intravedere che il nocciolo del paradosso non consiste nell'autorefenzialità, cioè nel fare un'affermazione su se stessi; come fu dimostrato poi nel XIV secolo da Buridano (Jean Buridan) nelle due affermazioni di
Socrate: "Quello che dice Platone è falso." E
Platone: "Quello che dice Socrate è vero."

Il che non è diverso dallo scrivere nelle prossime due righe:
"L'affermazione successiva è falsa."
"L'affermazione precedente è vera."

Miguel de Cervantes, nel Don Chisciotte (1615), mette Sancho Panza di fronte allo stesso tipo di dilemma quando, diventato Governatore di Barataria, deve giudicare un soldato che era stato messo di guardia ad un ponte con l'ordine di fare impiccare chiunque avesse mentito sul motivo per cui voleva attraversare il ponte stesso. Si presentò un tale che disse: "Voglio passare il ponte appositamente per essere impiccato." Se fosse stato lasciato andare, avrebbe mentito e avrebbe dovuto essere impiccato; ma se fosse stato impiccato la sua motivazione sarebbe diventata autentica e avrebbe dovuto essere lasciato libero.

Da qui allo sviluppo di giochini logici e di rompicapo, il passo è breve.

(1) Entrando in un bar frequentato esclusivamente da politici, che mentono sempre, da avvocati, che alternano una menzogna ad una verità, non necessariamente in quest'ordine, e da matematici, che dicono sempre la verità, ci si presentano Aldo, Beppe e Carlo: Aldo dice : "Io sono avvocato, Beppe è matematico"; Beppe afferma : "Io sono matematico, Carlo è un politico"; Carlo dice : "Io sono politico, Aldo è avvocato". Che professione esercitano i tre amici ?
(La risposta è a pagina 46 - Eh eh !)

I più classici sono i giochi analoghi sull'antropologo alle prese con le due tribù di indigeni dallo stesso aspetto, quella dei Mentitori, che mentono sempre, e quella dei Sinceri che dicono sempre la verità, con tutte le combinazioni e varianti possibili.

(2) L'antropologo sta cercando la strada per il villaggio e giunge a un bivio. E' sicuro che una delle due strade porti al villaggio mentre l'altra si perde nella foresta, ma non c'è nessun cartello indicatore.
Il bivio è sorvegliato da due guardiani, un Sincero ed un Mentitore; ma l'antropologo non ha la minima idea di quale sia il guardiano sincero e quale il bugiardo.
Invece, ovviamente, i due guardiani sanno chi è il Sincero e chi è il Mentitore.
Ponendo una sola domanda a uno solo dei guardiani, come fa l'antropologo a individuare la strada per il villaggio?
(La risposta è a pagina 46 - non ci credete ?)

(3) La situazione è simile a quella del problema precedente, con un'unica differenza: questa volta c'è un solo guardiano sul bivio, che potrebbe essere Sincero o Mentitore, ma l'antropologo non sa a quale tribù appartenga.
Sempre con una sola domanda, come può individuare la strada per il villaggio ?
(Risposta a pagina 46 - perchè no ?)

Eccetera eccetera, se posssono congegnare un'infinità.

Ebbene, se quell'antropologo avesse deciso di visitare le selvagge tribù che popolano lo Sprofondo Nord dell'Italia, alle quali la colonizzazione televisiva ha spazzato via qualsiasi traccia di cultura, avrebbe potuto capitare in un luogo, chiamato Palazzo di Giustizia di Milano, che è un pò una specie di speaker's corner, dove ciascuno mette su il suo banchetto e dice ai passanti tutto quello che vuole. Ci passano cori di carampane più o meno plastificate che intonano "Meno male che Silvio c'è", oppure, e qui la logica dell'esploratore sarebbe stata messa davvero a dura prova, qualche donna più giovane che declama un testo che dimostra subito, al primo ascolto, di essere stato scritto proprio da lei di suo pugno e di sua ispirazione, si riconosce perfettamente lo stile che è inequivocabilmente il suo, sicuro sicuro sicuro, farina del suo sacco al 100%, e che afferma: "Io sono una bugiarda; non sono una prostituta."
Che mestiere esercita dunque la giovane donna ?
(La risposta a pagina 46 non c'è. Non si può avere tutto.)



Pagina 46
(malfidenti...)

Risposte

(1): Aldo e Carlo avvocati, Beppe politico.

(2): E' chiaro che non può chiedere semplicemente: "Qual è la strada per il villaggio?" oppure, indicando una delle due strade, "E' questa la strada per il villaggio?". Non saprebbe mai se la risposta è vera o falsa.

Si rivolge a uno qualsiasi dei due guardiani e gli chiede, indicando una qualsiasi delle due strade (ad esempio quella di sinistra):

"Se io chiedessi al tuo compagno se la strada di sinistra porta al villaggio, lui che cosa mi risponderebbe?"

La risposta sarà un "SI" oppure un "NO" e sarà certamente FALSA. Quindi basterà prendere la strada opposta a quella risultante da tale risposta.

Consideriamo tutte le situazioni possibili:

•La strada di sinistra potrebbe portare o non portare al villaggio.
•Il guardiano a cui hai rivolto la domanda potrebbe essere Sincero o Mentitore.
Ci sono 4 casi:

a. La strada porta al villaggio e il guardiano è sincero.
Il compagno del guardiano è bugiardo e risponderebbe "NO".
Il guardiano a cui ha fatto la domanda è sincero, perciò riferisce fedelmente la risposta del suo compagno, cioè risponde "NO", che è FALSO.

b. La strada porta al villaggio e il guardiano è bugiardo.
Il compagno del guardiano è sincero e risponderebbe "SI".
Il guardiano a cui ha fatto la domanda è bugiardo, perciò riferisce il contrario della risposta del suo compagno, cioè risponde "NO", che è FALSO.

c. La strada non porta al villaggio e il guardiano è sincero.
Il compagno del guardiano è bugiardo e risponderebbe "SI".
Il guardiano a cui ha fatto la domanda è sincero, perciò riferisce fedelmente la risposta del suo compagno, cioè risponde "SI", che è FALSO.

d. La strada non porta al villaggio e il guardiano è bugiardo.
Il compagno del guardiano è sincero e risponderebbe "NO".
Il guardiano a cui ha fatto la domanda è bugiardo, perciò riferisce il contrario della risposta del suo compagno, cioè risponde "SI", che è FALSO.

(3) Gli chiede, indicando una qualsiasi delle due strade (ad esempio quella di sinistra):

"Se io ti chiedessi se la strada di sinistra porta al villaggio, tu che cosa mi risponderesti?"

La risposta sarà un "SI" oppure un "NO" e sarà certamente VERA.

•il Mentitore risponde l'opposto di ciò che egli stesso risponderebbe, cioè il VERO;
•il Sincero risponde fedelmente ciò che egli stesso risponderebbe, cioè il VERO.

mercoledì 3 aprile 2013

Si alzarono e camminarono


Alcuni anni fa ho avidamente letto un prestigioso libro prodotto dai Testimoni di Geova, con una elegante copertina azzurro cielo, tutto imperniato su una serie di arrampicate sugli specchi e sulla distorsione sistematica delle informazioni nel tentativo di smentire l'evoluzione come fatto biologico.
L'edizione risaliva all'inizio degli anni '80, e quindi era ancora piuttosto fresca la scoperta di Australopithecus afarensis (la celebre "Lucy"), che fu, a metà dei '70, il punto di svolta della paleoantropologia.
Fino ad allora si era raggiunta una conoscenza abbastanza completa dell'Uomo di Neanderthal, era stato scoperto con grandi clamori il "Pitecantropo" di Giava (un Homo erectus), ma per quanto riguarda altri ominini più antichi, i nostri saperi erano ridotti a qualche dente, pezzi di mandibola e frammenti di cranio.
La scoperta di Lucy (1973), uno scheletro completo al 40%, con parti cruciali come bacino, femore, entrambe le superfici articolari del ginocchio, proiettava indietro la conoscenza degli ominini fino al traguardo di oltre 3 milioni di anni fa, un milione di anni prima dell'altro Australopiteco (A. africanus) fino allora scoperto in Sudafrica.
Altri e più numerosi reperti della stessa specie erano poi stati portati alla luce nel giro di pochissimi anni, tra il 1974 e il 1979.
Un tale salto indietro nella ricostruzione delle specie antecedenti alla nostra diventava ancora più significativo perchè, più o meno nello stesso periodo, gli studi genetici sulle divergenze basati sul ritmo di accumulo delle mutazioni permettevano di mettere a fuoco l'epoca del nostro ultimo antenato in comune con gli attuali scimpanzè, attorno a soli 6 milioni di anni fa; si era immaginato fino ad allora un tempo molto superiore.
Ebbene, in tale epoca di entusiasmo in tutto il consesso scientifico per le nuove conoscenze acquisite, la descrizione di quella antica australopitecina da parte dei Testimoni di Geova era, per quel che ricordo, quasi corretta, pur se limitata a poche righe. Poi si sosteneva che era in tutto e per tutto una scimmia, e che nessuno, guardandola, avrebbe mai potuto riconoscervi dei tratti umani, e quindi non dimostrava alcunchè riguardo all'evoluzione.
Potrei sbagliarmi, ma mi pare che persino sulla datazione fossero stati piuttosto onesti: quella setta riconosce che i sei giorni della creazione non vadano intesi in senso letterale come periodi di ventiquattro ore, ma che "giorno" possa essere interpretato anche come periodo di tempo non determinato, e quindi una volta qualificato il reperto come animale, e non come umano, una antichità anche notevole risulterebbe ammissibile (è dalla creazione di Adamo in avanti che i tempi della Bibbia sono piuttosto ben definiti, e non consentono una storia umana di durata superiore ad alcune migliaia di anni: è l'antichità dei reperti umani che fa venire l'orticaria ai fondamentalisti biblici, su quelli animali riescono ancora ad aggirare il problema).
In più, lo sforzo di mantenere quanto più aperto possibile il divario tra "umano" e "animale", consentiva di aggrapparsi ancora disperatamente all'antica metafora dell' "anello mancante".
Nel complesso, gli estensori del testo (anonimi) avrebbero fatto quasi la figura degli esperti pressochè obbiettivi e ben informati, se non avessero trascurato, per fatale dimenticanza, proprio il particolare più interessante.
Avevano sbadatamente tralasciato di scrivere che quella scimmietta, che nulla lasciava intravedere di umano, stava dritta in piedi proprio come noi.
Lo si era già chiaramente dedotto dalla conformazione della pelvi, del femore e del ginocchio, ma il "fossile indiretto" trovato nel 1976 in Tanzania era stato definitivo.
Ho avuto il piacere (e quale piacere è più sottilmente pervasivo di trovarsi di fronte ai segni concreti della Storia...) di vedere qualche settimana fa il calco della "camminata di Laetoli" nella pregevole mostra "Homo sapiens", a cura di Telmo Pievani e fondata in buona parte sui lavori di Luigi Luca Cavalli Sforza (il quale, novantunenne, non ha voluto rinuciare ad essere presente all'inaugurazione).
A Laetoli, in Tanzania, 1500 km più a sud del primo ritrovamento in Etiopia (afarensis = del territorio degli Afar), era successo che due (o forse tre) esemplari di A. afarensis avessero camminato sulle ceneri sparse da un'eruzione del vulcano Sadiman, di lì distante 20 km, impastate dalla pioggia. La cenere vulcanica, appena asciugata ha solidificato rapidamente ed è stata poi ricoperta da altri sedimenti, conservando così le impronte per 3,7 milioni di anni a beneficio della nostra ammirazione.
Un conto è dedurre la posizione eretta dalla conformazione delle ossa, ma la vista ha un ruolo del tutto speciale nella nostra percezione, e tutt'altra emozione, ve lo assicuro, procura il trovarsi di fronte alla più antica traccia direttamente osservabile di camminata bipede (e con la ricostruzione dello scheletro di Lucy messa, come a testimoniare, lì accanto).
E' l'immagine che dà letteralità concreta al concetto di "inizio di un lungo cammino".

Ma, come si è detto sopra, le scoperte degli anni '70 hanno segnato una svolta; da allora le nostre conoscenze si sono arricchite a ritmo crescente: un decennio fa la breve storia degli ominini contava già una dozzina di specie o poco più; oggi sono più di venti, tre delle quali presso la fatidica soglia dei 6 milioni di anni fa (e almeno cinque ancora coesistenti appena poche decine di migliaia di anni fa: altro che regale e dominante unicità !);

e la descrizione, nel 2009, di uno scheletro sufficientemente completo di Ardipithecus ramidus ha spostato le evidenze di bipedismo ancora più indietro, a 4,4 milioni di anni fa ("Ardi" aveva postura eretta ma l'alluce divergente, e non parallelo alle altre dita, non proprio l'ideale per un buon camminatore, con presumibile mantenimento della prensilità del piede); anche se è dubbio se questo genere possa essere un nostro diretto antenato o, più probabilmente, un ramo collaterale, senza discendenti, del nostro ormai folto albero genealogico.

Insomma, in pochi decenni abbiamo collezionato tanti "anelli mancanti" che quasi non sappiamo più dove collocarli, e abbiamo felicemente messo in soffitta la visione semplificata (e fuorviante) di una successione lineare di specie, in favore di un ben più ragionevole "cespuglio" fittamente ramificato di discendenze, non tutte (anzi, una sola) dal destino fortunato.
Il passaggio dalla scala lineare alle ramificazioni molteplici non è stato l'unico rovesciamento di prospettiva che la ricostruzione della nostra storia evolutiva ha dovuto affrontare in questi quarant'anni esplosivi: finchè abbiamo potuto contare più sulle nostre aspettative che sui fossili in ...carne ed ossa, cercavamo segni di progressivi incrementi di dimensioni del cervello, l'organo sul quale riponiamo la più orgogliosa enfasi nel focalizzare la nostra peculiarità umana, a guidare la nostra evoluzione.
Speravamo un una storia gloriosa di scimmioni sempre più intelligenti in progressiva sfilata.
Ma il bipede Australopithecus afarensis non aveva il cranio più grande di quello di uno scimpanzè (400 cc o poco più); poco maggiore (600-800 cc) il volume endocranico di Homo abilis, che pure già adoperava strumenti, e certamente non era stato il primo a farlo (i primi utensili saranno stati presumibilmente bastoni, e il legno non fossilizza; ed è probabile che - almeno - alcuni australopitechi fossero già "tecnologizzati"; d'altronde anche gli scimpanzè sono del tutto in grado di usare bastoni e stecchini per raggiungere oggetti lontani o per estrarre leccornie dai termitai).
Per farla breve: il bipedismo ha preceduto di molto l'inizio dello sviluppo di un encefalo di grandi dimensioni; e probabilmente l'avere le mani libere è stata la spinta decisiva a favore di capacità cerebrali sempre più elaborate; ma non solo: un'ipotesi di studio che si va facendo strada tra i paleoantropologi, è che anche l'uso di strumenti sia stato un fattore preliminare all'aumento delle capacità cerebrali. In altre parole: non abbiamo iniziato a costruire utensili perchè eravamo intelligenti, ma viceversa la disponibilità di attrezzi ha creato una pressione selettiva in favore di chi era in grado di adoperarli meglio: uno strumento mi permette di agire direttamente su uno spazio più esteso di quello fisicamente occupato dal mio corpo, quindi devo apprendere un controllo spaziale più articolato, e riesco meglio se ho più ampie capacità di elaborazione.

Il punto veramente cruciale dell'evoluzione dell'uomo fu quell'alzarsi in piedi (a guardare sopra l'erba alta in un'Africa orientale che si andava inaridendo, dove le foreste lasciavano il posto a praterie sempre più povere di alberi; e con una minore sezione corporea esposta al sole, che consentiva di limitare il surriscaldamento); un passaggio "difficile", perchè richiede un cospicuo riarrangiamento anatomico, in particolare di di anca e piede; una nuova architettura inevitabilmente imperfetta: mal di schiena ed ernie del disco sono lì a ricordarcelo.
E chissà quali difficoltà e quanti problemi quelle prime scimmie bipedi avranno incontrato, quante volte i nostri antenati si saranno trovati sull'orlo dell'estinzione, e quante volte la storia avrebbe potuto prendere una piega del tutto diversa, in direzione di un oggi che avrebbe potuto benissimo fare a meno di noi.
Abbiamo tutte le migliori ragioni perchè il nostro straordinario cervello ci piaccia da matti, per le prestazioni davvero uniche in natura che esso ci consente, ma il fondamento anatomico di tale meraviglia è in fondo una "semplice" duplicazione e moltiplicazione di strutture già esistenti. Il primo vero passo dell'evoluzione umana è stato un passo in senso letterale, non una speciale elaborazione intellettuale, e non è un caso che l'elegante libercolo dei creazionisti abbia dovuto proprio far sparire le tracce di quel camminare, per poter occultare la continuità storica tra "Lucy" e noi.
Ma qual'è, infine, quella forza che ci permette di stare in piedi, al di là degli adattamenti delle architetture di ossa ed articolazioni ? E' quella di un muscolo, altrettanto fondamentale, che trattiene bacino e tronco dal piegarsi in avanti: gli altri mammiferi lo adoperano solo sporadicamente, quando devono alzarsi sulle zampe posteriori, mentre noi lo teniamo in azione costantemente, per mantenere l'angolo di 180°C tra femore e colonna vertebrale, il grande gluteo.
Ed ecco che in definitiva, il vero fondamento essenziale del nostro essere umani è tutta una questione di sedere.
Se riuscite a spiegarlo al vostro cane, che è tutta lì la ragione ultima per cui noi abbiamo addomesticato lui e non viceversa, forse vi morderà (indovinate dove).

Vi inviterei ad avviarvi alle prossime passeggiate primaverili, aggiungendo al piacere del camminare all'aria aperta, anche una sottile punta di orgoglio.