martedì 14 ottobre 2014

Illiberale

Dunque, allo scopo di prolungare l'inesorabile agonia dell'economia di mercato, si pretenderebbe che tutti continuassimo a consumare sempre di più, acquistando tutte le zozzerie possibili, estraendo dal fondo delle tasche fino all'ultimo spicciolo, per mantenere alti i livelli di produzione e quindi di occupazione, inseguendo un illusorio miraggio di continuo sviluppo e crescente benessere. Ma l'economia non può andare contro le leggi della fisica.

Già oggi consumiamo ogni anno tutte le risorse che la Terra è in grado di rigenerare in un anno e cinque mesi, figurarsi se si può pensare di aumentare ancora: per sostenere a lungo termine i livelli di consumo attuali avremmo bisogno di una Terra e mezza. Non ce l'abbiamo.
Qualsiasi sistema che operi trasformazioni di materia ed energia, dal più semplice al più complesso, non può accrescersi indefinitamente all'interno di un contenitore chiuso. Per sostenere un'economia che richiede consumi costantemente crescenti avremmo bisogno di un mondo illimitato, con possibilità illimitate di utilizzazione delle risorse. Non ce l'abbiamo.
A meno che i geni del "Made in Italy" non pensino di vendere le cravattine firmate o altre similari sciocchezze inutili ai marziani, per quanto riguarda i flussi di ricchezza la Terra è un sistema chiuso.
Se si esclude il trascurabile apporto del pulviscolo residuale del sistema solare che continuamente cade nel nostro campo gravitazionale, per quanto riguarda i flussi di materia la Terra è un sistema chiuso.
Per quanto riguarda i flussi di energia, la Terra è un sistema aperto, poichè riceve una quantità, fissa e costante (che quindi pone comunque un limite fisico), di radiazione solare. Di tale afflusso di energia dall'esterno, ce n'è una quota, potenzialmente fissa e costante, ma che può essere astutamente diminuita con un uso dissennato del territorio, che viene catturata dalle piante e dalle alghe con la fotosintesi clorofilliana ed è la base che sostiene (quasi) tutte le catene alimentari e quindi i molti milioni di specie che popolano il pianeta, tra cui noi. Questa quota di energia per unità di tempo che viene immagazzinata dalla comunità vivente è chiamata produttività primaria e costituisce a sua volta, evidentemente, un limite fisico.
Al netto dell'energia consumata dalle cellule vegetali stesse per il proprio metabolismo, la produttività primaria può essere quantificata come l'aumento di biomassa vegetale per unità di tempo (che, in un ecosistema in equilibrio, sarà bilanciata dal suo consumo da parte di altri organismi).
Se dunque, oggi consumiamo risorse in quantità largamente superiore a quanto la Terra riesce a produrre, attingiamo ad energia accumulata dalle piante negli anni precedenti, una possibilità che non può prolungarsi indefinitamente.
Inoltre, consumando terreno per edilizia e infrastrutture, ed abbattendo foreste per fare più spazio all'agricoltura, che ha un'efficienza fotosintetica molto inferiore a quella di una foresta, riduciamo continuamente la produttività primaria.

Sapendo di trovarci dentro un sistema con disponibilità non illimitata di risorse, come potremmo dunque classificare la pretesa di rilanciare l'economia e il favoleggiare una prossima ripresa da intendersi come incremento di produzioni e consumi ? Stregoneria ? Incompetenza ? Cialtroneria ? Mistificazione ?
Economisti e politici ad essi asserviti sono consapevoli delle fondamenta su cui si regge il sistema Terra o sono proprio del tutto ignoranti ? Credono davvero che l'economia possa essere estranea e indipendente dalle leggi della fisica o semplicemente non possiedono la minima cognizione di queste ultime ?

Qual è il modello di "sviluppo" che dovremmo metterci davanti ? Se abbiamo di fronte un limite fisico, quello sarà il punto fermo, l'invariante da cui far dipendere tutto il resto.
Le risorse non sono illimitate: si pianifica e si limita la loro utilizzazione; altro che libero mercato.
Le risorse disponibili andranno usate per le finalità più strettamente indispensabili: produzione di cibo, salute, conoscenza e poco altro; non possiamo permetterci di dissiparle per fabbricare fesserie inutili; altro che cravattine firmate e mode frivole; altro che libero mercato.
Altro che crescita economica: il lavoro necessario per produrre quel che serve andrà ripartito più equamente possibile. Sarà poco ? Allora si lavorerà poco e si guadagnerà poco, e probabilmente, consumando poco si starà meglio e si avrà più tempo per sviluppare le proprie conoscenze; altro che libera imprenditoria; libertà di tempo e di pensiero.

E un simile cambio di modello, dal liberalismo sfrenato all'economia di conservazione e sussistenza, potrà mai realizzarsi su scala nazionale ? Ovvio che no; proprio la globalizzazione del commercio e della speculazione finanziaria ha privato di qualsiasi significato gli antichi Stati nazionali di concezione post-feudale. La programmazione nell'utilizzazione delle risorse va operata su scala mondiale; se è stato così facile liberalizzare i traffici di merci e di denari, non dovrebbe essere difficile la globalizzazione dei limiti e dei vincoli. Basta volerlo

sabato 11 ottobre 2014

Liberale

1) Si fa di tutto per facilitare e promuovere la libera circolazione delle merci. Non intendo discutere se sia giusto, bello o etico. Constato come dato di fatto che il mondo santifica la libera circolazione delle merci. Lo si fa con grande impegno, e ci sono fior di organizzazioni, WTO, OCSE, oltre agli accordi commerciali tra singole nazioni, che si dedicano a tempo pieno alla ricerca di accordi internazionali che consentano ad un qualsiasi produttore di merci di qualsiasi parte del mondo di venderle in qualsiasi altra parte del mondo con la minor quantità possibile di ostacoli e dazi.

2) Si fa di tutto per facilitare e promuovere la libera circolazione dei capitali. Non intendo discutere se sia giusto, bello o etico. Constato come dato di fatto che il mondo santifica la libera circolazione dei capitali. E' infatti unanimemente considerato un grande progresso del liberalismo che io possa spostare il mio denaro (se ne avessi) in qualsiasi altra parte del mondo, ed investirlo in attività economiche in altre nazioni. Le nazioni, anzi, sarebbero disposte a prostrarsi senza alcuna decenza pur di attirare investitori stranieri, che sarebbe un pò l'equivalente di vendere se stesse e quindi pregiarsi di un notevole successo commerciale. Quindi diamolo per ottimo.

3) Seguendo lo stesso paradigma, si dovrebbe fare di tutto per facilitare e promuovere la libera circolazione delle persone. La libera circolazione delle merci e dei capitali genera una redistribuzione geografica delle risorse e delle ricchezze ed è del tutto naturale che flussi di migrazione di persone si muovano al seguito di tali redistribuzioni. Non intendo discutere se sia giusto, bello o etico; ma è logicamente conseguente ai punti 1) e 2). Se si consente alle merci e al denaro di circolare liberamente su e giù per il mondo, è ovvio che anche le persone possano spostarsi in cerca di condizioni idonee alla propria sussistenza. Ma non si fa di tutto per favorire la libera circolazione dei migranti, e non c'è nessuna organizzazione sovranazionale che si dedichi a tale scopo; anzi: se solamente ci si azzardasse ad esporre l'idea di favorire e facilitare i flussi migratori si verrebbe prontamente azzannati alla gola da nugoli di razzisti assortiti, padaniformi e non, terrorizzati a puntino dall'apposita propaganda sull'incombente "invasione" degli "altri". No, di direbbe che il mondo non santifichi un gran che la libera circolazione delle persone.

4) E merci e capitali che felicemente e liberamente circolano e si muovono per il mondo, e liberamente si contendono acquirenti e mercati, non presuppongono pure, come logica premessa, che i modi per produrre le merci e accumulare i capitali siano più o meno omogenei dovunque ? Se no che libero mercato è, se si fanno concorrenza merci prodotte da lavoratori più o meno tutelati e da lavoratori iper-sfruttati, e i capitali accumulati dai rispettivi padroni ? Nei giovani Stati Uniti ri-divisi dalla Guerra di Secessione, i Nordisti vincenti erano quelli protezionisti; il libero mercato era il faro illuminante dei Sudisti, che tanto avevano gli schiavi e ci mettevano poco a produrre merci a costi competitivi.
Non intendo discutere se sia bello o etico, ma è, come minimo, giusto che la libera circolazione dei diritti e delle tutele nel lavoro si accompagni, come condizione necessaria, alla libera circolazione delle merci e dei capitali.
Ma il mondo non santifica affatto la libera circolazione dei diritti e delle tutele per chi opera nella produzione delle merci che circolano liberamente al fine dell'accumulazione di capitali che circolano altrettanto liberamente.

E qui casca l'asino. Se si lascia questo processo alla provvidenziale "mano invisibile" favoleggiata nelle vacue superstizioni di Adam Smith e dei suoi innumerevoli, preponderanti, prepotenti ed orbi seguaci moderni, grazie alla quale il massimo profitto liberamente perseguito da ciascuno produrrebbe inevitabilmente il massimo beneficio per tutta la collettività, l'equilibratura procede, viceversa, al ribasso. I lavoratori meglio tutelati sono messi in concorrenza con quelli che lavorano in condizioni di sfruttamento e, di fronte all'alternativa della disoccupazione, sono costretti ad accettare condizioni di lavoro sempre peggiori. La versione realistica della bella favola del liberismo economico è che il perseguimento del massimo profitto da parte di chi detiene i mezzi di produzione determina inevitabilmente il massimo deterioramento delle condizioni di vita per tutta la collettività. Il migliore dei mondi possibili risultante dalla cieca applicazione delle non-regole del liberismo sarebbe grossomodo uno schiavismo gerneralizzato (con conseguente crollo del potere d'acquisto complessivo, crollo della domanda e quindi delle produzioni, collasso finale del sistema e addio che t'amavo all'accumulazione di capitali: nessuno aumenterà mai le paghe dei propri dipendenti allo scopo di aumentare il potere d'acquisto complessivo di cui beneficeranno anche tutti gli altri).
Di per sè, nisciun' è fess'; ma messi tutti insieme, un pò lo si è

domenica 5 ottobre 2014

Lucy e lo SmartPhone


Cinque milioni di anni di evoluzione, dall'Africa Orientale che si stava inaridendo, e la foresta cedeva posto alla savana, per imparare a stare in piedi su due zampe, e poter guardare sora l'erba alta; e imparare a sopravvivere mangiando insetti, lucertole e carcasse di animali morti; e imparare a camminare su due soli appoggi; e a correre per inseguire, faticando in gruppo, prede più sostanziose; e cammina cammina, uscire per la prima volta dall'Africa e arrivare nel Medio Oriente; e da lì, cammina cammina, attraversare tutta l'Asia meridionale fino all'Australia; e cammina cammina dall'altra parte, fino in Europa; e intanto, con le mani libere dal doversi poggiare a terra, imparare a manipolare oggetti e costruire strumenti; e sviluppare capacità di elaborazione intellettuale sempre più raffinate, per progettare congegni sempre più sofisticati; tutto per arrivare a mettersi in mano un telefonino e, cammina cammina, rimirare quel versatile oggettino, e tutti i giorni infastidirsi e urtarsi a vicenda o addirittura rischiare di morire perchè non si guarda più dove si mettono i piedi.