venerdì 14 novembre 2014

Viva la Musica


Ho scattato questa fotografia un paio di anni fa: raffigura due reperti davvero notevoli della mostra Homo sapiens, curata da Telmo Pievani.
L'oggetto di destra è un osso (un omero) di avvoltoio grifone, su cui, ad intervalli regolari, sono stati aperti dei forellini ruotando uno strumento tagliente, che ha lasciato le sue tracce sui bordi. Viene dal sito di Hohle Fels, in Germania, e risale a ben 35000 anni fa. Ne è stato ricavato un calco, su cui sono state ricostruite le estremità mancanti, che ha confermato che è proprio ciò che sembra: suona. E' un flauto: il più antico strumento musicale accertato.
Nella sala veniva diffuso in sottofondo il suono prodotto con la ricostruzione dello strumento. Non era precisamente armonico, ma tutto sommato si trattava di musica non sgradevole.
Quello a sinistra è un osso di orso, anche questo forato volontariamente utilizzando uno strumento, ed è ancora più antico, 50000 anni fa. E' stato rinvenuto in Slovenia, in un sito (Divje Babe) che contiene esclusivamente resti di Homo neanderthalensis. In questo caso non è possibile stabilire con sicurezza che si tratti di un flauto, poichè il reperto è molto incompleto, uno dei due fori è passante e l'altro no, ed è più difficile ricostruirne la funzione, ma non si può fare a meno di pensarlo.
Non ne abbiamo quindi la certezza, ma è possibile che lo strumento musicale più antico di cui abbiamo, ad oggi, conoscenza sia stato prodotto da una specie diversa dalla nostra: un "flauto di Neanderthal".
Homo neanderthalensis era comunque capace di rappresentazioni simboliche e realizzava manufatti con funzioni puramente estetiche e decorative. Non siamo certi delle sue capacità verbali e di elaborazione di un linguaggio, e trovare in questi nostri parenti stretti la produzione di forme di musica ha certamente qualche cosa di straordinario, ma tutto sommato non appare del tutto estraneo alle espressioni culturali proprie di questa specie.
Ma la condivisione di qualche forma di cultura musicale con specie extraumane può portarci molto più lontano.
Difficilmente ad un uomo può capitare di trovare moglie solo grazie alle armoniose melodie del proprio canto; anzi, se l'esibizione di vocalizzi sotto la doccia risultasse insistentemente cacofonica, potrebbe risultare più probabile un esito di tipo contrario.
Tuttavia, che si sia abili o meno abili esecutori, il nostro orecchio sa riconoscere come gradevoli scale di note e accordi armonici. E' un'arbitraria questione di gusti l'attribuzione delle etichette "armonica" o "disarmonica" ad una sequenza di note musicali ? No: è legata al fatto che le frequenze dei diversi suoni siano in rapporti numerici semplici, cioè tra numeri interi piccoli.
Ogni nota di un'ottava più acuta ha frequenza doppia della stessa nota dell'ottava più bassa; nel più canonico degli intervalli, quello di quinta (Do-Sol, per esempio) il rapporto delle frequenze delle due note è 2:3; significa che se le due note vengono eseguite in successione, le sollecitazioni percepite dal nostro orecchio ogni tre oscillazioni della più acuta riproducono la stessa frequenza di due oscillazioni della più grave; in un semplice accordo maggiore (ad es. Do-Mi-Sol), le frequenze delle tre note sono nel semplice rapporto 4:5:6, e se suonate assieme, le tre vibrazioni giungono al nostro orecchio in sincrono ogni quattro oscillazioni della nota grave, e così via. Noi riconosciamo come gradevoli queste regolarità di frequenze; rapporti definiti da numeri via via più alti rendono invece sempre più rare le vibrazioni "in fase", e sottopongono l'orecchio ad una continuità di sollecitazioni tra loro sfasate, che percepiamo come fastidiose. Differenti tradizioni culturali hanno elaborato canoni di armonia leggermente differenti da quelli occidentali, ma che non si discostano da questo fondamento fisico universale. Poi, un'educazione musicale più affinata permette di apprezzare anche la funzione delle dissonanze all'interno di un tessuto sonoro più complesso.
Uno studio pubblicato recentemente ha rilevato gli spettrogrammi delle frequenze nel canto del tordo eremita (Catharus guttatus), un comune e rinomato uccello canoro del Nordamerica, ed ha dimostrato che su 71 "canzoni" di più di 10 note, 57 seguono gli stessi tipi di rapporti numerici semplici, che li avvicinano molto alle serie armoniche delle convenzioni musicali umane. E' il primo studio di questo tipo, e non è da escludere che altri uccelli utilizzino, nei loro canti, schemi armonici analoghi.
Ma se è così, è possibile affermare che i canoni delle armonie musicali non sono convenzioni culturali elaborate dalla specie umana grazie alle sue peculiari capacità di concettualizzazione ed astrazione, ma preferenze che hanno una base biologica, che hanno il loro fondamento in un principio fisico.
E quindi, dovremmo concludere che persino una elaborazione estetica che siamo abituati a qualificare come prodotto culturale "alto" per eccellenza, come la musica, ha origine da meccanismi basilari di percezione ben presenti al di fuori della specie umana attuale; è poi la ridondanza di capacità elaborativa del nostro cervello che ci permette di sfruttare tali meccanismi per portarne il valore estetico a livelli di maggiore complessità e gradevolezza.
Le pur condivisibili scelte melodiche del tordo eremita non lo renderanno mai in grado di comporre la sinfonia "Pastorale"; ma dovranno comunque essere sufficientemente perfezionate da permettergli di affrontare con successo la critica musicale più spietata: la femmina di tordo eremita.

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