martedì 28 novembre 2017

Gouldiana: Il pollice del panda nella tecnologia

Qualche settimana fa mi è capitato di citare, in conviviale conversazione, un vecchio e memorabile saggio di Stephen Jay Gould. L'episodio mi ha invogliato a tornare a rileggerlo, e non ho potuto resistere alla tentazione di scriverne un breve sunto dei passaggi essenziali.

Da quando, oltre un secolo e mezzo fa, l'umanità ha raggiunto la conoscenza del fatto dell'evoluzione biologica, si è dovuta mettere faccia a faccia con una serie di verità sgradevoli (che rendono tale fatto tuttora inaccettabile per alcuni gruppi di svalvolati particolarmente ostinati): siamo il frutto di un percorso storico tortuoso e complesso e non del lungimirante disegno di un'entità superiore; non rappresentiamo l'esito ultimo e privilegiato dello svolgimento di una progressione predeterminata e ineluttabile verso la perfezione; non siamo l'apice di una scala lineare di progresso, ma semplicemente un ramo laterale qualsiasi di un fittissimo cespuglio di genealogie; né noi, né la natura che ci circonda siamo mai stati progettati da alcuno, e non siamo affatto costruiti in modo ottimale: siamo il risultato di adattamenti successivi di strutture ereditate da antenati che avevano vite diverse. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili, e anche ciò che ci sembra armonico e perfetto, è solo il prodotto contingente di una storia che avrebbe potuto benissimo svolgersi diversamente.
Perché mai indossiamo le scarpe ? Cosa ce ne facciamo di piedi così inutilmente sensibili per camminare sul terreno ? Non potremmo convenientemente disporre di cuscinetti o zoccoli come tanti altri animali che come noi corrono per terra, e lo fanno anche più efficacemente e velocemente ? Una storia di antenati che si arrampicavano sugli alberi ci ha regalato piedi che un tempo erano anche prensili, e sono tuttora troppo sensibili per l'uso che ne facciamo, e ci induce a proteggerli con calzature per muoverci con più agio al suolo.
Stephen Jay Gould chiama questo principio dell'imperfezione "principio del panda", in omaggio al suo esempio preferito, il falso pollice del panda: il simpatico e iconico panda gigante è un orso convertitosi a una dieta a base di bambù; il suo vero pollice anatomico fu destinato dalla storia dei suoi antenati carnivori ai movimenti limitati utili ad artigliare prede, ed è parallelo alle altre quattro dita. La nuova dieta erbivora richiede al panda maggiori capacità di manipolazione, per raccogliere e arrotolare a mò di sigaro i germogli di cui si ciba; ma non si può riprogettare all'improvviso un pollice ormai irreversibilmente da orso, e il panda ha sviluppato un surrogato rimediato alla bell'e meglio: un sesamoide radiale (un osso del polso) particolarmente ingrossato e sporgente, che funziona quasi come un pollice, pressoché rigido, non proprio opponibile: è una soluzione raffazzonata, ma funziona.

Immagine: http://pauldilleinsiam.blogspot.it

In conclusione, non sono le strutture ottimali, gli adattamenti perfetti, ma i rattoppi, gli aggiustamenti, le soluzioni approssimative, i tanti "pollici del panda" che la natura ci mette sotto gli occhi, a contenere i cartelli indicatori della storia.
Ma il "principio del panda" sottende forse qualche regola universale applicabile ai sistemi storici in generale ?
Ad esempio, oltre che all'evoluzione biologica, il principio del panda potrebbe essere applicato all'evoluzione culturale e tecnologica ? A prima vista, dovremmo dire di no, per una serie di buoni motivi: non solo le innovazioni culturali non si propagano solo per via ereditaria, ma si diffondono nelle popolazioni anche trasversalmente, mediante l'apprendimento (e quindi a una velocità enormemente maggiore); ma, soprattutto, cultura e tecnologia sono libere di produrre strutture completamente nuove, senza rimanere vincolate a quanto ereditato da predecessori esistiti in contesti diversi: le automobili hanno rimpiazzato d'un tratto le carrozze a cavalli, e la posta elettronica soppianta lettere e francobolli. L'evoluzione biologica, procedendo per via esclusivamente ereditaria, non può che produrre divergenze successive e progressive tra i diversi gruppi; al contrario, uno dei motori principali dell'evoluzione culturale è la trasmissione e lo scambio trasversale di innovazioni da un gruppo all'altro (checché ne dicano i cultori delle fantomatiche e immaginarie "identità"): abbiamo acquisito dagli amerindi le coltivazioni della patata e del mais, e abbiamo portato in cambio il vaiolo. Di fatto, ogni generazione "sceglie" cosa mantenere e cosa gettare via della cultura della generazione precedente. L'innovazione culturale non ha bisogno di attendere una casuale mutazione favorevole, né si deve accontentare di piccoli cambiamenti purché vantaggiosi, anche se indirizzati su vie diverse da quella ottimale: progetta e procede in modo più o meno mirato. Infine, le forme e la varietà che i sistemi biologici perdono per estinzione sono irreversibilmente irrecuperabili: i cetacei non avranno mai più mani e piedi, e non rivedremo mai né un trilobite né il virus del vaiolo; mentre architetti sopraffatti dal cattivo gusto possono invece, volendo, ritornare ad ornare città attuali con colonne in stile pseudoclassico (e magari in cemento).

Sembra proprio non possa esserci alcun parallelismo operante tra storia biologica e culturale. Eppure, io sto usando proprio in questo momento un esempio lampante del principio del panda in ambito tecnologico: la tastiera QWERTY del mio personal computer.
A nessuno sarà sfuggita l'evidente irrazionalità della disposizione delle lettere sulla tastiera, con molte di quelle maggiormente usate sparpagliate nelle posizioni più marginali e sfavorevoli, la A da battersi con il dito più debole, il mignolo sinistro, e nessun'altra vocale sulla fila centrale meglio accessibile.
Ovviamente, la tastiera del PC è la pedissequa traslazione su dispositivi elettronici della tastiera su cui generazioni di dattilografi hanno battuto a macchina; e il sistema QWERTY era quello in uso nei paesi anglofoni, poi diventato norma universale per chiunque usi l'alfabeto latino: chi ha ancora in casa una macchina per scrivere sufficientemente vecchia, può verificare che la tastiera destinata al mercato italiano era in realtà QZERTY (e vai a capire il perché). In inglese, più del 70% delle parole si scrivono con le sole lettere DIATHENSOR: di queste, solo la H è in posizione centrale sulla tastiera, e la maggior parte è destinata a dita della mano sinistra; la lettera più comune in inglese, la E, non si trova sulla fila centrale più comoda, ed è a sinistra.


Come ebbe origine una norma tanto disfunzionale, e soprattutto come ha potuto essere conservata ?
Chi, come il sottoscritto, è abbastanza vecchio da avere utilizzato una macchina per scrivere meccanica, ha constatato che uno degli inconvenienti più frequenti prodotti da ritmi di battitura troppo veloci o non costanti era l'accavallamento e l'incastro delle leve dei martelletti: in questi frangenti, qualsiasi nuova battuta spingeva di nuovo sulla carta il martelletto incastrato più in basso, riscrivendo sempre la stessa lettera. La disposizione delle lettere più comuni in punti marginali e sfavorevoli serviva proprio a RIDURRE la velocità massima di battitura, costringendo le dita a spostamenti (mediamente) più ampi. Dover intervenire manualmente per svincolare le leve dall'incastro in effetti annulla i vantaggi di aver battuto a una velocità maggiore; ma il problema era in realtà molto più importante sulle prime macchine per scrivere, dotate di una meccanica meno raffinata che l'età di nessuno di noi consente di aver incontrato (il primo brevetto di Sholes è del 1867): non c'era un rullo su cui avvolgere il foglio di carta; questo veniva fissato su un supporto piano e disposto a faccia in giù, con i martelletti che picchiavano dal basso in alto: non c'era modo di leggere ciò che si stava scrivendo, se non sollevando il supporto, e non ci si accorgeva degli incastri di leve. Solo al termine della vostra ispiratissima pagina di prosa avreste potuto constatare il risultato: "Quel ramo del lago di Comm mmm mmmmm m..."
La disposizione QWERTY emerse dunque come un soddisfacente compromesso per limitare i guai di una velocità di battitura eccessiva (e un racconto in bilico tra storia e leggenda attribuisce lo spostamento della R nella riga superiore al vantaggio per i venditori di poter fare bella figura nelle dimostrazioni scrivendo con fluidità ed eleganza il nome dell'apparecchio TYPE WRITER utilizzando tasti tutti sulla stessa riga).
Ma, almeno all'inizio, la posizione del sistema QWERTY non era affatto dominante, e molti altri tipi di macchine e tastiere si contendevano quel mercato ancora piccolo ma in rapida espansione. Fu una serie di circostanze ad incanalare il corso successivo della storia. La Remington iniziò a produrre una macchina di Sholes con la sua tastiera QWERTY; questa associazione con una grande industria aiutò la diffusione del sistema, ma non poté essere determinante: i concorrenti erano pur sempre numerosi ed agguerriti. La Remington iniziò a promuovere scuole di dattilografia che utilizzavano, ovviamente, il QWERTY, e altrettanto fecero le industrie concorrenti con altre tastiere; nel 1882 una certa Ms.Longley fondò una sua scuola di stenografia e dattilografia a Cincinnati, e scelse tastiere QWERTY: un'opzione tra le tante possibili, ma Ms.Longley fu la prima ad insegnare la battitura con otto dita ancora oggi usata dai dattilografi professionisti. Infine, avvenne un episodio particolare che fu probabilmente determinante. Nel 1888, la Longley e il suo metodo furono sfidati pubblicamente da un altro insegnante, Louis Taub, che usava macchine non-QWERTY con sei file di tasti, senza un tasto per le maiuscole e quindi due tasti per ciascuna lettera, e prediligeva l'uso di sole quattro dita. Le due scuole presentarono alla contesa il proprio migliore allievo, e l'evento ebbe ampia risonanza sui giornali. Il campione di Ms.Longley era un certo Frank McGurrin che, a quanto pare, fu il primo interprete di una tecnica innovativa: aveva imparato a memoria la tastiera e batteva senza dover guardare i tasti, come oggi fanno tutti i dattilografi esperti. Grazie a McGurrin, la scuola di Longley sbaragliò quella di Taub; agli occhi del pubblico (e delle scuole di dattilografia che continuavano a fiorire), il sistema QWERTY aveva dimostrato la sua superiorità, anche se abbiamo molti motivi per pensare che non fu il tipo di tastiera a determinare il successo di McGurrin: scuole e manuali adottarono la tastiera QWERTY, sebbene già dal 1890 comparissero le prime macchine con punto di battuta pienamente visibile, iniziando ad erodere i motivi per cui il QWERTY aveva avuto origine e i suoi eventuali vantaggi; i produttori di macchine per scrivere via via si adeguarono, e agli inizi del '900 una norma industriale sbagliata era ormai di uso generale. Il fatto che sia sbagliata non è solo un'opinione: nel 1932 fu proposta la DSK (Dvorak Simplified Keyboard), e da allora tutti i record di velocità in dattilografia sono stati stabiliti con DSK, non con QWERTY; ma ormai era troppo tardi, e la posizione dominante di QWERTY non fu più scalfita.
La storia della tastiera su cui sto scrivendo contiene quindi almeno due principi spesso fondamentali nella storia naturale e, forse, nei sistemi storici in generale: quello di posizione dominante (incumbency) - il fatto che una posizione dominante faciliti il proprio stesso mantenimento per emarginazione dei possibili concorrenti - e quello di contingenza (contingency), per cui la scelta di un'alternativa tra altre simili, apparentemente banale o di poco conto all'inizio di un processo complesso, porta conseguenze grandi e non prevedibili a priori negli esiti a lungo termine.
Se Sholes non si fosse accordato con la Remington, se Ms.Longley avesse insegnato il metodo con otto dita su un altro tipo di tastiera, se il primo dattilografo ad adottare la battitura cieca avesse imparato da qualche altra parte, se McGurrin quel giorno avesse avuto mal di pancia, se si fosse organizzato un vero campionato di dattilografia con sfide incrociate con tastiere e metodi diversi... non vuol dire che la storia si possa fare con i se e con i ma, né tantomeno che tutto avviene a caso; vuol dire semplicemente che i fatti si svolgono una volta soltanto, e ad ogni passaggio si è verificata una sola tra più alternative ugualmente possibili. Non possiamo riavvolgere indietro il film, e se potessimo farlo ripartire da capo, sarebbe ogni volta un pò, o del tutto, diverso.
Noi mammiferi abbiamo passato ben più di metà della nostra esistenza - più di 100 milioni di anni - come animaletti notturni delle dimensioni e aspetto di ratti, nella sola nicchia ecologica che i grandi rettili che allora dominavano l'ambiente terrestre ci permettevano di occupare; e tale occupazione di posizione dominante avrebbe potuto benissimo protrarsi indefinitamente, se un evento contingente che più occasionale non si può, la caduta di un grosso meteorite 65 milioni di anni fa, non avesse provocato un'estinzione di massa rimescolando le carte.
Possiamo non essere soddisfatti di essere discendenti di altri primati, di antichi mammiferi, di pesci lontani nel tempo, di qualche ignoto verme che strisciò attraverso il confine del Cambriano 540 milioni di anni fa, di ancor più remoti esseri unicellulari e di una lunga genìa di primordiali batteri, anziché prodotti del magniloquente impeto elettrizzante di una creazione una volta per sempre. Tante circostanze contingenti hanno tracciato il nostro passato, senza un progetto e non sempre per il meglio, e tante volte le cose avrebbero potuto andare diversamente. Ma, in fondo, sapere qualcosa di più della storia della natura aiuta forse a comprendere un pò più in profondità la natura della storia.

Tratto da: Stephen Jay Gould - Il pollice del panda nella tecnologia - In: Bravo Brontosauro - Feltrinelli, 1992 pp. 57-73.

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