martedì 9 febbraio 2010

Noi eterni bambinoni


Dei 300 saggi che Stephen Jay Gould ha pubblicato puntualmente ogni mese per 25 anni sulla rivista Natural History, uno di quelli che più volentieri si torna a rileggere è quello scritto nel 1978 in occasione dei cinquant'anni di Topolino (pubblicato in italiano con il titolo "Omaggio di un biologo a Topolino" nella raccolta "Il pollice del panda").
Non starò a riportarvi tutti i numeri e i rapporti di lunghezze e le percentuali che Gould trasse dalle sue misurazioni sull'immagine di Topolino nelle sue varie trasformazioni nel corso degli anni (con infinito divertimento, per sua ammissione); la sostanza del suo lavoro fu la dimostrazione numerica di ciò che si può vedere nell'immagine: la testa è diventata più grande in proporzione al corpo; gli occhi sono diventati più grandi in rapporto alla testa (anche grazie all'artificio di trasformare l'occhio originale in una pupilla); gli arti sono diventati apparentemente più corti, conferendo loro un aspetto più tozzo e grassoccio; anche il muso si è fatto meno sottile e appuntito per dargli un'apparenza meno prominente; poichè la testa è sempre rimasta rotonda, non è stato possibile rendere la fronte ancora più bulbosa; quindi si è fatto ricorso all'espediente di spostare all'indietro le orecchie, per dare l'idea di una fronte più arrotondata, e così via. Ma quale significato hanno tutte queste modifiche nell'aspetto fisico di Topolino ?
Nell'ontogenesi umana, la parte cefalica è la prima a svilupparsi nell'embrione e, nell'utero, la testa è la parte che cresce più velocemente; per cui il neonato ha una testa molto grande rispetto al corpo ed arti sproporzionatamente corti; queste differenze di velocità si capovolgono nelle fasi di crescita successive, e con l'avanzare dell'età del bambino gambe e piedi diventano le parti del corpo che crescono più velocemente. Inoltre, dopo i tre anni, il cervello cresce molto lentamente, e la testa bulbosa con la fronte arrotondata tipica della prima infanzia tende a squadrarsi, poichè invece le mascelle continuano a crescere; gli occhi quasi non crescono affatto, per cui appaiono molto grandi nel neonato e poi riducono via via le loro proporzioni relative; inoltre sembrano situati più in basso finchè il volume della scatola cranica è preponderante rispetto allo sviluppo della faccia; con la successiva crescita delle mascelle, la posizione degli occhi rispetto all'insieme della testa sembra spostarsi più in alto. Guardiamoci allo specchio e rassegnamoci: noi adulti assomigliamo alle scimmie antropomorfe molto più dei bambini.
Le modifiche subite dall'immagine di Topolino nel corso della sua lunga vita manifestano quindi la sua doppia fortuna: non solo egli non ha modificato in tutti questi anni la sua età cronologica, prerogativa peculiare dei personaggi dei fumetti; ma ha anche percorso la nostra via di sviluppo individuale in direzione inversa, assumendo via via un aspetto sempre più infantile. E' presumibile che i disegnatori di Walt Disney non abbiano messo in atto questa trasformazione consapevolmente; hanno poco per volta apportato al disegno quelle modifiche che conferivano tenerezza al personaggio. Nel suo primo cartone animato del 1928, Topolino era in effetti decisamente dispettoso e perfino un po' crudele; poi il successo ha aumentato le sue responsabilità nei confronti della gioventù degli Stati Uniti, costringendolo a rettitudine e buona educazione, e di conseguenza ad un aspetto esteriore più simpatico.
Tuttavia, nonostante questa inversione dell'ontogenesi, sotto un altro punto di vista l'eterna giovinezza di Topolino riproduce la nostra storia evolutiva: Homo è infatti un genere neotenico; vale a dire che mantiene nell'età adulta caratteristiche infantili dei propri antenati. Ho appena ammesso che noi umani adulti assomigliamo più dei bambini agli scimpanzè (i nostri parenti viventi più prossimi; come pure ad Australopithecus, nostro antenato diretto a livello di genere); possiamo prenderci una immediata (pur se modesta) rivincita osservando che da adulti assomigliamo di più ai cuccioli di scimpanzè che agli scimpanzè adulti. I crani di embrioni umani e di scimpanzè sono molto simili; poi i percorsi e le variazioni di ritmo di crescita sono quelli che ho enunciato sopra, ma procedono in modo molto più accentuato nelle scimmie. E' vero che il nostro cervello cresce molto poco dopo l'età di circa tre anni, ma in generale negli altri mammiferi tale rallentamento si verifica quasi subito dopo la nascita; in poche parole, noi abbiamo considerevolmente rallentato i nostri ritmi di crescita, prolungando la nostra infanzia. Questo ci ha permesso di allungare il tempo di crescita del nostro cervello, ed il periodo della nostra vita nel quale siamo in grado di apprendere facilmente. Lo sviluppo lento è una caratteristica generale dei Primati, che l'uomo ha amplificato al massimo: in rapporto alle nostre dimensioni, abbiamo una gestazione lunghissima, e un'infanzia enormemente prolungata. Inoltre, anche la durata media della vita è vagamente correlata con le dimensioni degli animali; se disponete gli altri mammiferi in una scala più o meno lineare per dimensioni e durata della vita, dall'anno e mezzo / due dei piccoli roditori, alla quindicina di anni dei nostri cani o gatti, ecc. troverete una relazione abbastanza precisa tra peso corporeo e tempo di vita, relazione in base alla quale molti di voi si accorgeranno che dovrebbero essere già morti da tempo. In realtà la durata della vita umana è circa tre volte quella predicibile in base a questo rapporto numerico; presumibilmente un effetto della nostra neotenia (mantenimento prolungato di caratteri giovanili) così esaperata.
Quando Gould scriveva quanto ho maldestramente riassunto qui sopra, ritenevamo che la piccolissima famiglia di scimmie antropomorfe a noi più strettamente imparentate, quella dei Pongidi, fosse composta di tre sole specie, suddivise in tre generi diversi (come testimonia il mio libro di testo di Zoologia, risalente, ahimè, più o meno alla stessa epoca): Pongo pygmaeus (orang-utan); Gorilla gorilla; e Pan troglodytes (scimpanzè). Ma in questo frattempo c'è stato un aggiornamento: sono state riconosciute come due specie distinte il vecchio caro scimpanzè, ed il cosiddetto scimpanzè di montagna, oggi ritenuto degno di un nome specifico tutto suo: Pan paniscus (bonobo).
Le due specie di scimpanzè sono difficilmente distinguibili morfologicamente, salvo il fatto che il bonobo possiede un cranio pedomorfico (di forma infantile), ma presentano alcune importanti differenze comportamentali, dimostrate sperimentalmente in un lavoro pubblicato pochi giorni fa da Victoria Wobber et al. su Current Biology (*).
La Wobber e i suoi colleghi hanno esaminato il comportamento, in condizioni sperimentali controllate, di alcune decine di scimpanzè e di bonobo di diverse età, utilizzando del cibo come motivatore, rilevando che tanto gli scimpanzè che i bonobo giovani accettano la presenza di coetanei; poi gli scimpanzè diventano più intolleranti con l'età, mentre i bonobo mantengono il comportamento giovanile; lo stesso avviene con la propensione a condividere il cibo, comportamento giovanile che gli scimpanzè tendono ad abbandonare con gli anni e i bonobo no (o comunque molto meno). D'altra parte i bonobo impiegano più tempo per imparare ad individuare la persona giusta a cui chiedere il cibo, e così via; emerge insomma una differenziazione comportamentale tra le due specie basata su un mantenimento nei bonobo adulti di comportamenti propri dei giovani della specie sorella che, associata ai tratti giovanili del cranio, fa supporre un prolungamento ed un ritardo cronologico delle fasi di sviluppo con conseguente soppressione della comparsa di alcuni caratteri propri degli adulti di scimpanzè.

La neotenia non ha nulla di eccezionale, è un meccanismo di variazione dei tempi di sviluppo molto diffuso in natura (che spesso ha il significato adattativo di un ritorno ad una maggiore plasticità e versatilità, rispetto a specializzazioni estreme delle specie ancestrali); ma mi sembra degna di riflessione la scoperta che questi cambiamenti dei ritmi di crescita si ripetano in generi così vicini e simili tra loro, come se nel nostro piccolo gruppo tassonomico ci fosse una particolare predisposizione alle variazioni della cronologia dell'ontogenesi nella diversificazione delle specie. Questo dato potrebbe essere particolarmente interessante per il minuscolo ramoscello degli Ominidi, che nella sua brevissima esistenza (presumibilmente non più di 8 milioni di anni) ha mostrato un tasso di speciazione decisamente elevato, con non meno di otto-nove specie documentate (emozionante,vero, la new entry del parente più antico Ardipithecus ramidus, per me uomo dell'anno 2009 ?), almeno quattro delle quali (due Australopithecus e due Homo) vissute contemporaneamente attorno a 2 milioni di anni fa.

E se, a differenza dei personaggi di fantasia, noi come individui diventiamo vecchi, guardando a noi stessi nella scala più ampia dell'evoluzione, possiamo fieramente dirci ringiovaniti a dispetto del tempo proprio come Topolino.

(*) Victoria Wobber, Richard Wrangham, Brian Hare (2010). Bonobos Exhibit Delayed Development of Social Behavior and Cognition Relatives to Chimpanzees. Current Biology 20 (3), pp. 226-230. January 28, 2010.

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