martedì 23 novembre 2010

Uso e abuso dei test Q.I. - parte 5 - Delle Cose Irreali

I motivi per cui questa quinta puntata arriva ben due mesi dopo la pubblicazione della quarta sono vari e molteplici, e per la maggior parte personali; però almeno una di tali ragioni è, invece, intrinseca all'argomento trattato: avrei voluto riassumere i tratti caratterizzanti del determinismo biologico applicato allo studio dell'intelligenza, propri dell'epoca che inizia grossomodo con gli anni '30, e le nuove forme concettuali che sarebbero emerse in particolare con gli impetuosi sviluppi della genetica e della statistica in quegli anni. Ho letto e riletto, ed ebbene: non sono riuscito a trovare nulla. Nessuna nuova elaborazione concettuale, nessuna particolare innovazione teorica... si è sempre continuato a ripetere gli stessi errori commessi ad inizio secolo da Goddard e sodali, "perfezionandoli" alla luce delle nuove conoscenze genetiche, e trattandoli con tecniche statistiche più raffinate. Ma i concetti e gli errori logici sottostanti non si modificano mai.
In Intelligenza e pregiudizio, S. J. Gould fa iniziare questa fase storica con l'invenzione della tecnica statistica dell'analisi fattoriale, la quale permette di riassumere in poche componenti principali delle matrici molto vaste di correlazioni tra misure diverse. Charles Spearman, psicologo e statistico londinese, mise a punto questa tecnica appositamente per lo studio dei reattivi mentali. Trovò che tutti i test (ad es. spaziali, verbali, numerici, ecc.) hanno una certa correlazione positiva (cioè che chi riesce bene in un tipo di test tende, in generale, ad ottenere buoni risultati anche in altri). L'asse su cui si proiettano tutte le correlazioni positive (cerco di scivolare nel modo più sintetico possibile sulla trattazione matematica) è la prima componente principale, che Spearman chiamò g, o intelligenza generale. Ritenne così di avere individuato la vera e reale misura dell'intelligenza, una sorta di "energia", misurabile e graduabile, che alimentava tutte le attività mentali, e dava finalmente una base teorica al Quoziente di Intelligenza, una misurazione fino ad allora guidata solo da cieco empirismo: i test Q.I. sono validi in quanto misurano g, la nuova pietra filosofale della psicologia. Non mi dilungherò nei dettagli tecnici, e vi dirò solo che uno psicologo statunitense, L. L. Thurstone, a partire dal 1935, rase al suolo la g di Spearman semplicemente distribuendo le stesse matrici di correlazioni in gruppi il più possibile omogenei, su più assi diversi equivalenti fra loro, rappresentanti, nel nostro esempio, le distinte capacità spaziali, verbali, numeriche, ecc. La modifica statistica introdotta da Thurstone spiegava esattamente la stessa quantità di informazione, con l'effetto sorprendente che la prima componente principale, la preziosissima ed "oggettiva" g di Spearman, la misura della "vera" intelligenza, semplicemente... spariva.
Il motto che guida la preziosa attività degli statistici, al cui lavoro tutti dobbiamo riconoscenza, è che se qualcosa esiste, deve essere in qualche modo misurabile. Bisogna solo stare attenti a non farsi prendere la mano e far valere arbitrariamente la proprietà transitiva: quello che produce un valore statistico, non necessariamente è un'entità reale. Il dibattito tra Thurstone e Spearman fu infuocato, ma riassumibile, in estrema sintesi, nella reciproca accusa di avere preso per una concreta proprietà della nostra mente ciò che era soltanto un'astrazione matematica. Entrambe le accuse ebbero facilmente il sopravvento sulle difese.
Per quanto viziata dell'errore di reificazione (il trattare un concetto astratto come un'entità concreta) in modo del tutto analogo a quella di Spearman, l'interpretazione di Thurstone potrebbe considerarsi oggi premiata da una rivincita postuma, con la concezione delle intelligenze multiple di Gardner attualmente in voga.
Ma la g di Spearman imperversò a lungo, ed in quanto singola, innata, e classificabile, fornì un comodo strumento per la misurazione delle persone con un singolo numero, e la loro disposizione lungo una scala unitaria di valore.
Spearman era convinto che l'intelligenza fosse ereditaria, senza alcuna dimostrazione, ma per il solo fatto che fosse variabile tra gli individui (esattamente come Goddard); condivideva le concezioni razziste convenzionali dell'epoca (tuttavia sottolineò che le variazioni individuali di intelligenza entro le razze sovrastavano largamente le piccole differenze medie tra razze), e fu un sostenitore dell'Immigration Restriction Act americano del 1924 (vedi parte 4); tuttavia, nell'infuriare delle contese sulle implicazioni sociali e politiche delle sue pubblicazioni, si tenne tutto sommato in disparte; rimaneva uno psicologo, ed il suo interesse primario era la comprensione dei meccanismi dell'intelligenza.
Il suo più fedele allievo, e suo successore, nel 1932, alla cattedra di psicologia dello University College di Londra, Sir Cyril Burt, fu invece sempre ossessionato dall'idea dell'innatismo, che rimase il suo chiodo fisso dalla sua prima pubblicazione (1909) fino alla morte (1971). Inizialmente, adottò l'idea di un'intelligenza unitaria, innata ed ereditabile (così come l'aveva... ereditata dal suo maestro Spearman), semplicemente come puro e semplice dogma immune da discussioni; poi la difese con un fervore sempre più concitato, e sempre più frustrato dalla mancanza di dati certi a supporto. Per far capire cosa intendo, basti sapere che tentò di organizzare esperimenti su campioni di ragazzi, nel primo dei quali confrontò un gruppo di figli di piccoli commercianti di una scuola elementare con i ragazzi di classi agiate di una scuola di prestigio. Ne ricavò la dimostrazione che i rampolli di buona famiglia erano più intelligenti di quelli della classe media. A parte il campione pateticamente piccolo (43 ragazzi in tutto), la sua "dimostrazione" che tale differenza era ereditaria e non dovuta alle condizioni ambientali si ridusse: 1) ad una serie di argomentazioni, speciose fino al ridicolo, sul fatto che le condizioni ambientali in cui i ragazzi avevano vissuto non avrebbero dovuto influire troppo sui risultati del test; 2) al fatto che l'intelligenza dei ragazzi si correlava con quella dei genitori. E questo potrebbe essere un'argomento già interessante, se non fosse che l'intelligenza dei genitori... non fu mai misurata: Burt la stimò in base alla loro professione e reddito. La circolarità dell'argomento è perfino sorprendente per la sua sciatteria: si intende dimostrare che l'intelligenza è ereditaria e non dipende dalle condizioni socioculturali, e per far questo si usano le condizioni socioculturali come misura dell'intelligenza.
Nel prosieguo della sua carriera, l'esperienza non lo aiutò affatto ad eliminare i pregiudizi dalle sue conclusioni. Nel 1937, pubblicò un'accurata statistica sui ragazzi che avevano perso anni a scuola (che considerò come misura indiretta di -scarsa- intelligenza). Nei vari sobborghi di Londra, trovò correlazioni fortissime tra la percentuale dei ragazzi in ritardo scolastico e fattori quali: numero di famiglie sotto il livello di povertà; sovraffollamento; disoccupazione; mortalità giovanile. Le influenze ambientali dovrebbero risultare evidenti, ma la conclusione a cui Burt giunse fu bizzarra: i gruppi sociali meno intelligenti creano i sobborghi peggiori, e bambini poveri sono ottusi perchè figli di genitori rimasti poveri perchè ottusi.
E qui ci sono da fare un paio di osservazioni interessanti. La prima: Cyril Burt era uno scienziato famoso e rispettato, e in altri campi realizzò lavori pregevoli; quando trattava di intelligenza ed ereditarietà gli scendevano i paraocchi e le sue conclusioni erano di una inaccuratezza indisponente. Eppure pochi dei suoi contemporanei lo attaccarono e lo criticarono, nonostante gli errori logici fossero del tutto evidenti. Questo ci insegna qualcosa su come la società reagisce quando l'errore è utile a dare una patina di oggettività ad un dogma comunemente condiviso ?
La seconda: Burt non si interessò mai troppo delle differenze di intelligenza fra razze, che considerò sempre trascurabili; la sua vera missione fu quella di dimostrare che le stratificazioni sociali erano giustificate in base a differenze biologiche innate.
Negli Stati Uniti le torie ereditarie dell'intelligenza fecero da supporto alla suddivisione della società in gruppi razziali, ed alla discriminazione degli immigranti; in Inghilterra, nel cuore capitalista di un'Europa turbata dalla Rivoluzione d'Ottobre, Burt utilizza lo stesso strumento per giustificare la disuguaglianza tra le classi sociali: sarà un caso ?
E l'ereditarietà dell'intellgenza deve servire a giustificare la ridotta mobilità sociale; i figli dei ricchi saranno ricchi perchè più intelligenti dei poveri.
Ma ormai Burt si era reso conto benissimo dell'irrisolvibilità della combinazione di eredità biologica ed eredità culturale, per cui qualsiasi forte correlazione tra i valori di Q.I. di genitori e figli poteva sostenere in modo identico le due interpretazioni più estreme: fattori esclusivamente ambientali o fattori esclusivamente genetici, oltre ovviamente a tutta la infinita gamma intermedia.
Un solo caso potrebbe permettere una risoluzione tra cause genetiche ed ambientali: gemelli monozigotici, cioè geneticamente identici, separati poco dopo la nascita ed allevati in ambienti diversi. Il problema, ovvio, è la scarsità dei casi. Esistono pochi studi pubblicati: uno su soltanto 12 coppie di gemelli, uno su 19, un altro, di Shields, contempla ben 44 coppie di gemelli, ed è l'unico a fornire dettagli sulla vita di queste persone: sono di solito allevati da parenti stretti, o da amici, o da vicini di casa; si conoscono e si frequentano, in alcuni casi abitano nella stessa via. E' difficile dire che si tratti di gemelli "separati", e che vivano in ambienti realmente diversi.
Cyril Burt stupì il mondo pubblicando una serie di studi su ben 53 coppie di gemelli separati in tenera età, che confermavano pienamente l'erditabilità del quoziente di intelligenza. Anche lontani, i gemelli di Burt avevano Q.I. sempre molto simili. Burt non pubblicò i dettagli sulle loro vite; anzi, nessuno ha mai visto i dati grezzi originali, andati distrutti in un piccolo incendio in laboratorio. L'unica fonte primaria delle pubblicazioni erano carte con dati già parzialmente elaborati, che Burt conservò gelosamente nel cassetto fino alla sua morte.
Quando Burt morì, nel 1971, e le sue carte vennero esaminate, emerse la più clamorosa frode scientifica della storia: le 53 coppie di gemelli erano inventate, i loro Q.I. erano inventati, le loro perfette correlazioni predisposte a tavolino, ed erano inventati anche i collaboratori che avevano raccolto i dati in giro per il mondo.
Il prestigioso e stimato Sir Cyril Burt, sconfitto e frustrato, aveva spinto la sua disperata difesa dell'ereditabilità dell'intelligenza oltre il lecito.

domenica 14 novembre 2010

Che fortunelli che siamo

Un membro del Congresso degli Stati Uniti, John Shimkus, del Partito Repubblicano, aspira a presiedere il Comitato Nazionale per l'Energia, mica bau bau micio micio.
Ebbene, questo signore afferma con ostentazione di salda certezza che noi non dobbiamo preoccuparci affatto del cambiamento climatico e del riscaldamento globale.
Ohibò ! Che bella notizia, vista la posizione istituzionale a cui punta, avrà certamente studiato in modo approfondito le informazioni più recenti ed avrà trovato che...

l'accumulo di anidride carbonica nell'atmosfera è già in regressione perchè siamo diventati bravissimi e abbiamo incominciato a consumare meno ?
Acqua.
Finora abbiamo sbagliato tutti i conti ed abbiamo maldestramente sopravvalutato il fenomeno ?
Niente affatto.
Si sono scoperti meccanismi di compensazione finora sconosciuti che impediscono che la temperatura della Terra aumenti oltre un certo limite ?
Macchè.

Il dato incontrovertibile su cui l'Onorevole Shimkus poggia la sua sicurezza è...

...che nella Bibbia (Genesi, cap. 8, 21-22) Dio ha promesso a Noè che dopo il Diluvio non avrebbe mai più distrutto la Terra un'altra volta.

Quindi, siamo a postissimo. Siamo in ottime mani.

Per mia incapacità, non riesco a fornire un link diretto per la fonte originale. Ci arrivate, spulciando un pò, attraverso "Rationally Speaking" tra i miei preferiti qui a destra.

martedì 9 novembre 2010

D'ora in poi, il nostro motto



"Chi ama la cultura ama TUTTE le culture; quindi è contro il razzismo."

Claudio Abbado, "Vieni via con me", RaiTre, lunedi 8 novembre

giovedì 4 novembre 2010

A favore delle fonti rinnovabili di energia

Da Lavocetta, prelevo, rilancio e diffondo volentieri:

http://lavocetta.blogspot.com/2010/11/firma-la-legge-per-le-rinnovabili.html

Ai miei lettori: non sono (ancora) morto; non sto scrivendo nulla perchè gli ultimi tempi sono stati massacranti per gli impegni lavorativi e quelli accessori ad essi connessi. Adesso non ho tempo quasi neanche per respirare, presto spero di tornare a dilettarvi con nuove cattiverie.