giovedì 13 agosto 2009

C'è da fare una democrazia

Dare ragione a Berlusconi è grossomodo l'ultima cosa che vorrei mai fare nella vita, specialmente su un tema (per lui) scottante come quello dei rapporti e degli equilibri tra i poteri istituzionali.
Però mi sto domandando già da un pò di anni se una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare, sistema di origine ottocentesca, sia davvero in grado di funzionare correttamente nell'epoca attuale, e se non sia il caso di pensare a qualcosa di più funzionale (e di più realmente democratico, tanto per sottolineare le cruciali differenze tra me e il Cainano).
Abbozzerò una lista di motivi di scetticismo nei confronti dell'atuale democrazia rappresentativa, con il timore che diventi pericolosamente lunga.

- si suppone che il voto che i cittadini esprimono verso il tale o il tal altro partito o candidato sia frutto di un consenso informato. Da quando gli editori di giornali non fanno più solo gli editori, ma sono impegnati in molte altre attività imprenditoriali, tendono ad alterare le proporzioni relative di diversi livelli di problemi che la società deve affrontare (ad esempio, i problemi di salvaguardia dell'ambiente saranno sempre minimizzati da un editore che ha anche un'attività industriale che inquina e dissipa risorse); ma soprattutto da quando è la televisione, sia essa pubblica o commerciale, la principale fonte di informazioni per la maggior parte degli elettori, le possibilità di un consenso realmente informato si riducono di molto a causa dei diversi tipi di condizionamento (governativo da una parte, necessità di raccolta pubblicitaria dall'altra) a cui il mezzo di informazione è sottoposto. Quello del controllo politico dei mezzi di informazione in tutti i paesi del mondo è un problema molto serio; in Italia è un problema mostruoso.

- molti (forse la maggior parte) degli elettori ignorano completamente il funzionamento delle istituzioni che eleggono. Provate ad intervistare un cittadino qualunque sulla struttura e le funzioni degli organi dello Stato. Se proprio va molto bene, confonde il Parlamento con il Governo.

- da ormai parecchi anni il reale potere decisionale dei governi nazionali viene eroso e limitato da direttive emanate da organismi internazionali (organizzazione mondiale del commercio, banca mondiale, fondo monetario internazionale, ecc.), che sono di fatto fuori da qualsiasi controllo democratico. Controllo democratico che sarebbe come minimo auspicabile, trattandosi dei principali strumenti di coercizione attraverso i quali i paesi ricchi estorcono risorse a basso prezzo dai paesi poveri (sempre grazie all'idolatria dovuta al totem del Libero Mercato). La foglia di fico delle agenzie di emanazione governativa che intervengono nella strutturazione di tali organismi internazionali non riesce a coprire le pudenda dell'azione delle lobbies industriali nell'interesse delle quali quegli organismi agiscono: a due secoli di lotte per far acqusire ai popoli la possibilità di controllare ed indirizzare la gestione della cosa pubblica, i poteri forti del capitalismo (suona antiquato questo discorso ? Bè, non lo è affatto) hanno risposto sottraendosi a tale gestione per controllarla dall'esterno. Prova ne sia che gli unici organismi internazionali dotati di tale potere di indirizzo e condizionamento sull'azione dei governi nazionali, cioè quelli citati sopra con poche aggiunte, sono dediti alla tutela dei diritti delle merci e delle finanze, non delle persone o del benessere collettivo. Una "Agenzia Mondiale per la Pianificazione dell'Utilizzo Sostenibile delle Risorse" che a me piacerebbe tanto, e che mi permetto di considerare come minimo indispensabile, non esiste e se esistesse avrebbe un peso politico molto vicino a zero allo stato attuale delle cose.

- il fatto che il sano esercizio democratico del voto rinnovi ogni quattro, cinque o sei o sette anni i vari organi di governo, induce i governi stessi (locali o nazionali) ad operare solo in funzione della prossima scadenza elettorale. Il mondo deve affrontare problemi di sopravvivenza, e deve ri-progettare il suo futuro in modo drastico, complessivo e a lungo respiro: abbiamo bisogno di pianificare demografia, produzione di cibo e disponibilità di acqua potabile, utilizzo dell'energia, modalità e ritmi di sfruttamento delle risorse (e soprattutto equità nella loro distribuzione) per le prossime centinaia di anni: se sbagliamo queste programmazioni adesso, non avremo un secondo tentativo a disposizione.
Che cosa me ne faccio di un organo di governo, democraticamente eletto, che opera in funzione del consenso da ottenere alla prossima tornata elettorale, semplicemente gestendo l'esistente, e gira la testa dall'altra parte per non affrontare i problemi di programmazione del futuro per le prossime generazioni, che richiederebbero a volte scelte impopolari ma necessarie, ma soprattutto impostazioni difficili e faticose di programmi a lungo termine ? Corrisponde all'interesse della collettività ? Decisamente no: è piuttosto un sistema di non-governo.

Bisogna certamente partire dall'assunto che la democrazia rappresentativa è solo il minore dei mali, e non la soluzione dei problemi; ma come se ne esce (in meglio) ? Vincoliamo la consegna della tessera elettorale al superamento di un esamino di educazione civica su ruolo e funzionamento delle istituzioni perchè il cittadino dimostri almeno di sapere per che cosa sta andando a votare ?
Come fare in modo che i cittadini esercitino un reale e doveroso controllo sugli organi di governo ?
Sicuramente bisgnerà fare in modo che assumano un ruolo più decisivo i comitati spontanei di cittadini informati e attivi su argomenti specifici; ma come fare ad istituzionalizzare una forma democratica partecipativa di questo tipo evitando ulteriori storture e condizionamenti è un problema tutt'altro che semplice.

Non riesco ad intravedere risposte realmente risolutive, so solo che le domande sono cruciali per il futuro. Credo che per il momento, come cura sintomatica, possiamo solo lavorare sul livello culturale degli elettori; migliori coscienza e consapevolezza da parte di chi andrà a votare potrebbero già migliorare un pò il quadro. Intanto, una cultura generale non limitata alle formazioni delle squadre di calcio aiuterà l'elettore a difendersi un pochino meglio anche dalla disinformazione; cercare di far comprendere a tutti la reale portata dei problemi che il mondo deve affrontare, per combattere la piaga del voto (come si potrebbe definire ?) "illusoriamente utilitaristico" ("voto per il nano tricointermittente perchè mi toglie l'ICI" - e l'hai mai letto il bilancio del tuo Comune, pistolone che non sei altro ?); combattere l'ignoranza più devastante e più profonda aiuterà ad attenuare le patologie sociali che solo dall'ignoranza derivano: dalla più grave di tutte, il razzismo, alle più banali e diffuse come il qualunquismo (i "tanto sono tutti uguali...", "tanto è tutto un magna-magna..." tipici di chi non sa un tubo nello specifico). La guerra contro l'ignoranza dovrà essere la nostra sfida quotidiana. Una scuola dell'obbligo funzionante aiuterebbe, se non altro con dei corsi di educazione civica (chi ha incontrato, nella sua carriera scolastica, insegnanti che abbiano affrontato questa materia, ed abbiano spiegato la Costituzione, le istituzioni, come si "fa" una legge, ecc., alzi la mano. Io mi considero fortunato), ma credo che lo smantellamento della scuola pubblica faccia parte del piano: l'ignoranza degli elettori è troppo redditizia politicamente e va coltivata con cura. Quindi è una guerra da combattere quotidianamente in trincea, parlando, discutendo, spiegando e cercando di capire, con i nostri vicini, con il coraggio e la pazienza che (insieme ad argomenti validi) alla fine possono dare i loro piccoli buoni risultati anche sulle teste di granito più inaffrontabili, posto di lavoro per posto di lavoro, tram per tram, bar per bar, condominio per condominio, ed anche blog per blog, per quel poco che si può fare...

martedì 11 agosto 2009

Ingabbiature

Nel paese dell'Europa occidentale con la più forte disparità tra retribuzioni alte e retribuzioni basse, e la più forte disomogeneità nella distribuzione del reddito, con anche il ceto medio sempre più impoverito a beneficio della ristretta elite di super-ricchi, è possibile che non venga in mente a nessuno che le "gabbie" reddituali debbano essere costruite in senso "verticale", per ridurre le disparità e rendere più equa la distribuzione della ricchezza (ad esempio con limiti al rapporto tra le retribuzioni dei manager e quelle dei dipendenti di livello più basso, tanto per dire la cosa più ovvia), e non in senso "orizzontale", geografico (una fesseria che poteva sgorgare solo da un cervello dall'irrorazione strozzata da una cravatta verde) ?
No, non è possibile che non venga in mente. Quindi, si tratta di un volontario e deliberato rifiuto di compiere qualsiasi passo, pur minimo, nella direzione di una maggiore equità sociale.

"Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società."
(Pier Paolo Pasolini)

domenica 9 agosto 2009

Criminalità leghista

Dal 1994 ad oggi, i tre governi fascisti che si sono succeduti in Italia, costituiti dalla loggia P2, rappresentata da Silvio Berlusconi, + gli ex-fascisti-DOC + il partito nazi-razzista della Lega Nord, hanno fedelmente messo in atto il programma politico di Licio Gelli, che muove dalla premessa di azzerare la democrazia non con la repressione fisica, ma con la manipolazione dell'opinione pubblica attraverso il controllo dell'informazione.
Regolarmente, questo potente fronte antidemocratico punta molta della sua propaganda sul tema della sicurezza dei cittadini e sulla presunta "emergenza criminalità", poichè questo argomento porta due evidenti vantaggi:
1) è una scorciatoia molto comoda per provvedimenti repressivi tendenti a limitare le libertà individuali e restringere gli spazi di democrazia;
2) permette di associare, in modo del tutto arbitrario e senza fondamento, criminalità ed immigrazione, permettendo al fronte razzista di battere la grancassa della propaganda, ed aizzare i ceti popolari, ignoranti e quindi molto vulnerabili alla disinformazione, all'odio veso gli stranieri. Come ho già detto altre volte, incitando i penultimi della società all'odio verso gli ultimi, il potere si costruisce la sua assicurazione sulla vita.

Ieri, la commemorazione del disastro di Marcinelle, nei pressi di Charleroi, in Belgio, dove l' 8 agosto 1956, in una miniera di carbone morirono 262 lavoratori di dodici diverse nazionalità, ma in maggioranza (ben 136) migranti italiani (tra gli italiani, prevalenza di abruzzesi, con rappresentanza tragicamente alta del piccolo comune di Manoppello (PE) - 23 morti -, ma anche siciliani, friulani, veneti, lombardi, piemontesi, ecc.).

Oggi, il sig. Bossi Umberto, pregiudicato, con una condanna definitiva a 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito (200 milioni incassati da Carlo Sama della Montedison come fetta spettante alla Lega Nord della maxi-tangente Enimont), e un'ulteriore condanna definitiva a un anno e quattro mesi per vilipendio della bandiera italiana, libero per la sospensione condizionale della pena, il quale non disdegna di percepire il suo lauto stipendio da deputato da "Roma ladrona", dichiara alla stampa: "Noi andavamo in giro a lavorare, mica ad ammazzare la gente."
Non so se con "Noi" intenda gli emigrati italiani in genere o soltanto quelli provenienti da quello sfacelo di ingoranza e di arretratezza culturale che è la cosiddetta "padania"; e credo di non essere neanche interessato a saperlo. Ma mi pare di capire che quelli che, secondo lui, andrebbero in giro ad ammazzare la gente dovrebbero essere gli immigrati stranieri attualmente presenti in Italia.

Bene, allora andiamo a vedere i numeri, anzichè ascoltare le fanfaronate di un povero pazzo, e vediamo chi è che "va in giro ad ammazzare la gente".

Numero di omicidi in Italia:

Anno Omicidi
1992 : 1441
1993 : 1065
1994 : 958
1995 : 1004
1996 : 945
1997 : 864
1998 : 879
1999 : 810
2000 : 749
2001 : 707
2002 : 642
2003 : 719
2004 : 711
2005 : 601
2006 : 621
2007 : 593

La tabella è tratta da www.artaut.splinder.com, ma si tratta di dati facilmente reperibili un pò dovunque. Nei sedici anni qui in esame la presenza di immgrati stranieri in Italia è sicuramente aumentata (e sennò contro che cosa si agiterebbe la propaganda razzista del pregiudicato Bossi ?), ed il numero di omicidi si è più che dimezzato.
La famosa "emergenza criminalità" su cui si fonda la propaganda del regime berlusconiano, semplicemente non esiste. O meglio, esiste soltanto nei giornali e telegiornali che hanno il compito di fare il lavaggio del cervello agli elettori.
E se quella della criminalità in Italia fosse un'emergenza, che cosa si dovrebbe dire degli Stati Uniti ? Ho trovato (senza fare sforzi eroici per la verità) un raffronto tra la frequenza degli omicidi negli USA e in Italia nel periodo 1992-1999. Poichè questo smentisce la propaganda degli organi di disinformazione del nostro regime, si può dare per scontato che la fonte di questi dati sia un'organizzazione notoriamente stalinista: l'Interpol.
Ebbene, i 1441 omicidi in Italia nel 1992 corrispondono a 2,54 omicidi ogni 100000 abitanti; nello stesso anno, negli Stati Uniti gli omicidi sono stati 23760, che significa 9,37 ogni 100000 abitanti: una frequenza 3,68 volte più alta di quella italiana (utile, vero, come deterrente, la pena di morte ?); negli anni fino al 1999, come in Italia, anche negli Stati Uniti la frequenza dgli omicidi è fortemente diminuita; gli 810 delitti italiani portano la frequenza per 100000 abitanti a 1,40 nel 1999; i 15533 degli Stati Uniti sono 5,72 ogni 100000 abitanti nello stesso anno, cioè 4,08 volte la frequenza italiana: vale a dire che il tasso di criminalità rappresentabile con la frequenza degli omicidi in Italia diminuisce più velocemente che negli Stati Uniti.
E se solo i numeri, esprimendo tendenze generali, hanno la legittimità necessaria per poter ricacciare in gola al pregiudicato Umberto Bossi le sue infami menzogne, nulla supera per efficacia il racconto di qualche singolo caso particolare:
chi si ricorda di una famiglia massacrata a Novi Ligure (AL), e la figliola adolescente superstite, la dolce Erika, che dichiara alla stampa: "sono stati dei rapinatori tunisini" ?
Tutti sono stati prontissimi a crederle come se non aspettassero nient'altro, e il tempestivo Gianfranco Fini, che oggi tenta goffamente una inverosimile ricostruzione di verginità, aveva già prontamente mobilitato la sue falangi squadriste in una grande manifestazione di protesta "contro i tunisini", sventata dal rapido esito delle indagini che identificarono nella stessa dolce padana Erika e nel suo fidanzatino Omar (strano che la propaganda leghista non si sia aggrappata almeno al nome orientaleggiante) gli autori della strage. Non riesco a ricordare nè Fini nè altri, prostrati a chiedere scusa ai cittadini tunisini come sarebbe stato almeno doveroso.
E chi si ricorda del benzinaio di Lecco G.E. Maver, militante della Lega Nord, ucciso il 25 novembre 2004, per il quale Roberto Calderoli minacciò il mondo: "Guai a chi tocca un padano !" ? Calderoli pose pure una taglia sulla testa del colpevole, pur senza avere alcun titolo per poterlo fare, e pregustava già pubbliche esecuzioni con rito celtico nella piazza cittadina, indeciso solo se augurarsi un assassino maghrebino o calabrese. Gli assassini erano in realtà due, e quindi l'eminenza grigia della Lega avrebbe potuto essere accontentata in pieno; ma, sfortuna delle sfortune, erano due giovani balordi (17 e 18 anni, rei confessi) del posto, e per di più anche loro simpatizzanti della Lega Nord.
Non si è mai visto un uomo politico meno contento per l'identificazione di un assassino.
Ma i troppi pensieri e i troppi impegni per tutelare la nostra sicurezza dalle orde di criminali che ci minacciano, fecero prontamente dimenticare al rubizzo ministro sia il suo tronfio proclama, sia la taglia.

sabato 8 agosto 2009

Negro a chi ?

Una mia anziana zia, uno o due anni fa, lamentava che le cose peggiori della vita ricicciano sempre come la gramigna, e richiedono molto tempo, molta fatica e molta pazienza per essere debellate completamente. In quel tempo, ella associava: i banchetti appostati all'uscita dei supermercati, finalizzati a raccogliere firme per petizioni dai propositi inconfessabili, dai quali vengono adescate le massaie con l'invito ad apporre una firma "contro la droga", i quali parevano definitivamente scomparsi ed invece mia zia aveva visto ricicciare sotto i suoi occhi; ed i primi precoci tentativi di ricicciamento di Clemente Mastella. D'altra parte ora tenta ripetutamente di ricicciare Luciano Moggi, e leggo in giro in questi giorni che ha felicemente ricicciato anche Paolo Cirino Pomicino, quindi non c'è limite alle capacità degli aspetti più deteriori della società di riemergere dopo le prime effimere bonifiche.
In effetti se, alcuni giorni fa, ho definito morto e sepolto da oltre trent'anni il concetto di classificazione razziale dell'umanità, intendevo questo al netto dei successivi ingiustificati ricicciamenti.
Molti ricorderanno il rumore suscitato, negli anni novanta del secolo appena trascorso, dalla pubblicazione di The Bell Curve di R.J. Herrnstein e C. Murray, che pretendeva di dimostrare l'inferiorità intellettuale innata dei negri americani rispetto ai bianchi.
Quando idee così vecchie e del tutto screditate vengono ripresentate con tanta enfasi, ci si aspetterebbe che sia emerso qualche dato di fatto completamente nuovo, o nuove capacità interpretative dei dati esistenti. Niente di tutto ciò. Herrnstein e Murray basavano tutta la loro ricerca sui valori di QI (Quoziente di Intelligenza); rilevavano che i negri americani mostravano valori mediamente più bassi dei bianchi (niente di nuovo rispetto all'analogo tentativo di Terman ampiamente confutato all'inizio del novecento), e si limitavano a dimostrare che le misure di QI non erano soggette a distorsioni statistiche operative (cioè che il test era eseguito correttamente: e ci mancherebbe altro !). Da tutto ciò concludevano che era inutile che la collettività spendesse soldi per l'istruzione di bambini che tanto non avrebbero mai potuto raggiungere livelli di eccellenza (e quello dell'indirizzo dei fondi pubblici era, infine, il vero nocciolo della questione).
Per poter saltare da quelle premesse a queste conclusioni, è necessaro che:
1) l'intelligenza sia rappresentabile da un solo numero (cioè che sia una grandezza,
come una dimensione, un peso o un'intensità di corrente elettrica), idoneo a classificare le persone in un ordine lineare,
2) che tale valore sia fondato su basi genetiche,
3) che sia immodificabile.
Se solo una di queste condizioni fosse falsa, tutto l'impianto di The Bell Curve crollerebbe. Personalmente, io sono convinto che siano false tutte e tre, ma la cosa più impressionante è che Herrnstein e Murray, in circa ottocento pagine, ponevano questi tre fatti come asserzioni, senza prendersi la briga di dimostrarli (salvo dimostrare una più che discreta ereditabilità ENTRO gruppi, utilizzata in modo fallace per spiegare le differenze TRA gruppi: un errore logico che si ripete in modo troppo sistematico nella pseudoscienza razzista per non avanzare sospetti di malafede pura e semplice) e quasi senza nemmeno discuterli.
Ammesso e niente affatto concesso che l'intelligenza sia un'entità lineare misurabile con un numero, e non un complesso di attitudini molteplici e diverse (logica, intuizione, associazione, ecc.), se pure essa fosse in parte erditabile geneticamente, ma in parte anche il risultato degli stimoli che ogni bambino riceve nel proprio ambiente, i quali dipendono in gran parte dalle condizioni sociali e culturali della famiglia, dagli schemi logici che si acquisiscono attraverso l'apprendimento e l'imitazione delle persone che il bambino frequenta ? Quando The Bell Curve è stato scritto, Martin Luther King era stato ucciso da meno di trent'anni, e nessuno può sostenere che le condizioni sociali e culturali degli statunitensi di colore siano diventate nel frattempo identiche a quelle dei bianchi, anche per quanto riguarda le possibilità di accesso alle scuole migliori. Ecco una sorgente causale di variazione TRA gruppi che non ha niente a che vedere con l'ereditabilità ENTRO gruppi, che può essere alta finchè si vuole. E se il risultato individuale di QI non fosse affatto immodificabile, come spesso accade ai caratteri complessi, ma programmi educativi precoci innalzassero tale risultato come un paio di occhiali corregge un difetto della vista ? Ecco che, non dimostrato per non dimostrato, gli stessi dati usati da Herrnstein e Murray per auspicare tagli nei finanziamenti all'istruzione pubblica, visti da premesse diverse, ma (mi pare) del tutto plausibili, possono benissimo diventare un atto di accusa all'amministrazione degli Stati Uniti per le insufficienti risorse destinate all'istruzione delle classi sociali svantaggiate.
Chiudo il discorso con solo alcune delle informazioni che erano perfettamente disponibili, e che Herrnstein e Murray hanno ignorato, ritengo volutamente: a) un precedente studio aveva ricercato differenze nelle capacità cognitive dei figli illegittimi che i soldati statunitensi avevano disseminato in Germania durante la seconda guerra mondiale, senza rilevare alcuna diversità tra figli di soldati neri e bianchi, cresciuti in famiglie tedesche di condizioni socioeconomiche omogenee; b) in diverse nazioni europee, con il miglioramento dell'istruzione e delle condizioni sociali dopo la seconda guerra mondiale, il QI medio è aumentato, guarda caso, di quindici punti, giusto la differenza che The Bell Curve rilevava tra bianchi e neri negli Stati Uniti (1).
Più recentemente, il concetto di razza ha ricicciato in versione soft nella forma di un articolo di Armand Marie Leroi pubblicato su The New York Times il 14 marzo 2005.
Leroi, in sintesi, sostiene che il concetto di razza è imperfetto, ma utile a suddividere le persone in gruppi abbastanza riconoscibili, e poichè tra tali gruppi possono esserci differenze medie nella frequenza di certe malattie, e anche nella risposta a certi tipi di farmaci, identificare le persone in base alla razza, per quanto essa sia mal definita, può essere utile a fini medici. Tuttavia la sua idea di razza è piuttosto ondivaga, e oscilla, a seconda delle convenienze del momento, dai grandi gruppi continentali "alla Blumenbach" alle piccole popolazioni locali come i Baschi o i Negritos delle Isole Andamane, a conferma della indefinitezza del concetto (2). In sostanza, Leroi fa una gran confusione fra razze e biodiversità. Se un tipo di predisposizione genetica ad una malattia è più diffusa in una certa popolazione (ad esempio il morbo di Tai-Sachs tra gli ebrei ashkenaziti, o l'anemia falciforme tra gli africani occidentali, o talassemie che sono rare nella maggior parte dell'Asia, ma raggiungono la più alta frequenza conosciuta -80%- tra i nepalesi), sarà più utile domandare al paziente fin dove può risalire all'origine dei suoi antenati piuttosto che guardare se è negro o bianco (tra l'altro: poichè, tra i molti geni che contribuiscono a determinare il colore della pelle, gli alleli che inducono pelle più scura tendono, in generale, ad essere dominanti, in un paese di grandi mescolamenti come gli Stati Uniti, uno che a colpo d'occhio viene considerato negro può benissimo avere tra i suoi antenati una prevalenza di bianchi). E se i negri americani rispondono MEDIAMENTE meno bene dei bianchi ad un certo tipo di farmaco, osservare il colore della pelle non mi dirà comunque nulla su come reagirà QUEL particolare paziente. E qui si ritorna al classico lavoro di Lewontin: la grandissima maggioranza della variabilità genetica è variazione individuale, non legata nè alla popolazione nè alla razza [ritorno volentieri su questo studio, poichè nel precedente post "Caucasico a chi ?", nel citarlo a memoria, ho commesso due errori (ed evitando il primo avrei potuto comodamente risparmiarmi il secondo): uno metodologico, grave: non ho riportato il riferimento bibliografico; ed uno fattuale, veniale: ho sbagliato l'anno della pubblicazione. Rimedierò tardivamente qui in fondo (3)].
E lo studio della distribuzione della variazione genetica, che ha acquisito una grande mole di dati negli ultimi decenni, ci porta ora alla pralina finale con cui intendo concludere questo lungo discorso. E' oggi chiaro che la maggiore quantità di variabiltà genetica si trova in Africa. Questo è del tutto comprensibile: poichè l'accumulo di mutazioni è, in una certa misura, funzione del tempo, la maggior quantità di diversità si troverà nel luogo in cui la specie ha avuto origine e nel quale ha prosperato per il tempo più lungo. Poi, non prima di circa 100000 anni fa, solo un piccolo sottoinsieme della popolazione africana è uscito dal continente ed è andato a colonizzare il Medio Oriente, e da lì l'Asia e l'Australia, l'Europa, ed infine, dall'Asia, l'America. Il resto della popolazione mondiale non è che un solo ramo, rigoglioso ma singolo, di un albero genealogico che è del tutto africano. Quindi, in un certo senso, è come se gli africani fossero il mazzo di carte, e noi europei solo il fante di coppe. Il fante di coppe non ha alcuna possibilità di definire il mazzo di carte come un qualche cosa di omogeneo, uniforme, e distinto da sè. E se le persone classificate come "negri" non formano un gruppo genealogicamente distinto, ovviamente non possiamo attribuire loro alcuna caratteristica esclusiva ed innata per eredità.


(1) "Critica a The Bell Curve" in: Stephen Jay Gould - Intelligenza e pregiudizio - Il Saggiatore, 1998.

(2) Sia l'articolo di Leroi che molte risposte da esso suscitate, sia favorevoli che contrarie (tra le quali quella dello stesso Lewontin), sono disponibili (ovviamente in inglese) su: http://raceandgenomics.ssrc.org

(3) Lewontin, R.C. (1972). The Apportionment of Human Diversity. Evolutionary Biology, vol. 6, pp. 381-398.

domenica 2 agosto 2009

Alfabetizzazione

Un ricordo di una cittadina cubana, Griselda Aguilera:
"I miei genitori insegnavano a leggere e a scrivere qui a L'Avana; anch'io sapevo leggere e scrivere e potevo insegnare, ma loro non mi lasciavano andare. Ogni mattina presto se ne andavano entrambi, e io restavo a casa, fino a notte. Un giorno, dopo tanto chiedere e ancora chiedere, mi diedero il permesso. Li accompagnai. Carlos Pèrez Isla, si chiamava il mio primo alunno. Aveva cinquantotto anni. Io, sette."

Nel 1961, due anni dopo la Rivoluzione, un milione di cubani imparò a leggere e a scrivere, e migliaia di volontari come Griselda e suoi genitori fecero morire i sorrisetti beffardi e gli sguardi compassionevoli che avevano ricevuto quando avevano annunciato che l'avrebbero fatto in un anno.

Da "Specchi" di Eduardo Galeano, Sperling & Kupfer, 2008

Zerbino di Stato

A Bologna, il 2 agosto è una data che fa sanguinare le anime. Tutte le coscienze si rivoltano, tutte le budella si torcono.
Un aereo caduto ad Ustica 35 giorni prima, 81 morti. Oggi sappiamo, un effetto collaterale di un tentativo della NATO di fare fuori Gheddafi. Gli aerei militari hanno abbattuto un aereo civile anzichè quello su cui si supponeva essere il Presidente libico.
I giornali parlano, ne parlano troppo; cominciano ad arrivare un pò troppo vicini alla verità. Malfatta e di regime, ma a quell'epoca, in Italia, l'informazione esiste ancora, Berlusconi non l'ha ancora cancellata.
Bisogna far sparire Ustica dai giornali: per farla sparire, occorre qualcosa di più grosso.
La stazione ferroviaria più trafficata d'Italia nel primo fine settimana di agosto.
I servizi segreti dispongono, i fascisti (cioè la stessa cosa) eseguono. 85 morti per fare sparire altri morti dalle prime pagine dei giornali.
L'orchestrazione dell'informazione è provata: Il Grande Servo, Bruno Vespa, svolge il suo compitino all'apertura del TG1 delle 13.30 del 2 agosto 1980, con diligente sicurezza e senza ombra di dubbio: "E' scoppiata una caldaia nella stazione di Bologna."
I fascisti Fioravanti e Mambro sono stati condannati per l'esecuzione dell'attentato, ma sono liberi per benefici detentivi dei quali nessuno si lamenta mai (voglio dire, di quelli che insorgono contro la magistratura tutte le volte che un ladro di polli viene colto in recidiva: TG2, il Giornale, Vittorio Feltri, Mediaset, ecc.). I mandanti sono al sicuro, coperti dal segreto di Stato che impedisce di far entrare le indagini nel cuore istituzionale della vicenda.
Prima i governi democristiani, complici e mandanti, poi, da quindici anni a questa parte, i governi fascisti berlusconiani (idem), si divertono a spargere sale sulla ferita della città e ad irridere le vittime, inviando i soggetti più insulsi a rappresentarli di fronte ad una piazza che esigerebbe risposte.
E tutti gli anni, Bologna risponde all'umiliazione perpetua come può, a fischi e insulti.
Due anni fa "il simpatico Tremonti / che non sa fare i conti", l'anno scorso tal neo-democristiano Rotondi, di cui nessuno sa se esista ancora, e quest'anno è toccato al mite poeta "Bondi che scrive versi belli, / la cui musa ispiratrice / non è Laura nè Beatrice / ma il soldà di Licio Gelli" (a questi livelli posso permettermi di competere anch'io).
Sandro Bondi, uomo privo di qualsiasi parvenza di dignità, professione zerbino di Berlusconi, nominato ministro per i meriti acquisiti come zerbino, e dei Beni Culturali presumibilmente per i sublimi versi dedicati al suo padrone, ha avuto la faccia di bronzo di affermare di fronte ai bolognesi che "l'accertamento della verità è stato rallentato dalle polemiche..." DALLE POLEMICHE ???? Da quando in qua le polemiche interferiscono con le indagini ? ...e poi da un'altra stronzata che non ricordo: l'ho visto e sentito solo una volta nel telegiornale di LA7, il passaggio contenente questa idiozia è stato oscurato da tutti gli altri telegiornali (sto cercando da ore il testo integrale del discorso, ma temo che non sarà mai pubblicato), ed infine, come terza ed ultima istanza, bontà sua "...e perfino dai depistaggi."
E dal segreto di Stato no, testa di berlusconide ?
Ora Bondi si lamenta perchè "c'è gente che contesta senza neanche ascoltare quello che viene detto" (questa sua frase invece era in ottima evidenza in tutti i telegiornali).
Ma su Youtube esiste qualche filmato che testimonia come la piazza si sia veramente scatenata quando l'incapace ministro ha invocato i morti della Resistenza, ed ha voluto affermare: "...io so che cos'è la democrazia e la libertà !" E' stato esattamente a queste parole che è esploso un florilegio di inviti ad andare a puttane a Villa Certosa e simili.
No, mite poeta Bondi: la gente ti contesta proprio perchè ascolta le fesserie che dici (se non altro, democrazia e libertà sono due soggetti, e pertanto richiedono il verbo al plurale: "io so cosa sono...").