sabato 27 gennaio 2018

Il tirannosauro nel corridoio


Oggi come dopo la Grande Guerra, squadracce fasciste si esibiscono sfacciatamente in intimidazioni a gruppi socialmente attivi e a giornali, e sono in tutto uguali a quelle di un secolo fa, con il solo costrutto fondativo dell'uso della forza contro la ragione.
In un'epoca nella quale gli stati nazionali non hanno più alcuna ragione di essere (se mai l'hanno avuta), in cui l'interesse nazionale è soltanto di ostacolo alla soluzione di problemi inevitabilmente di portata mondiale, assistiamo ad assurde espressioni di nazionalismo, tanto più becere quanto anacronistiche.
Uno degli esiti nefasti dei nazionalismi è la categorizzazione degli "altri", dei non omologati, da poter contrapporre ad un "noi" che altrimenti, se non per contrasto, non sarebbe definibile. Tale classificazione delle persone pretenderebbe di predire caratteri e comportamenti individuali in base alle categorie di appartenenza, in modo del tutto arbitrario.
La categorizzazione è funzionale all'esclusione, alla privazione di riconoscimento e di cittadinanza alle categorie più marginali, facili da additare come corpo estraneo infiltrato in quelle stesse ormai inutili entità nazionali, forse ostile, comunque causa di tutti i mali della società. Serve ad additare un nemico qualsiasi purchè marchiabile come tale.
In poche parole, si tratta della ricerca ossessiva di pretesti per punire gruppi di persone per quello che SONO, e non per quello che (eventualmente) FANNO.
Ogni istanza sociale viene semplificata e risolta aizzando i penultimi della società all'odio contro gli ultimi, come se questi fossero la causa delle disuguaglianze: che a nessuno venga in mente di toccare i privilegi e i privilegiati, che hanno così assicurata la perpetuazione.
Anzi, l' 1% che acquisisce l' 80% della ricchezza prodotta, si raffigura come una divinità generosa e munifica da ossequiare, che può, in cambio della rinuncia a dignità e diritti, opportune genuflessioni ed eventualmente sacrifici umani, concedere a sua discrezione i passaggi dalla casta degli ultimi a quella dei penultimi e, per i soggetti di provata fedeltà, persino a quella dei terzultimi.
Un uomo politico meschino candidato a un'importante carica istituzionale fa appello alla "difesa della razza bianca" e, nonostante la palese imbecillità dell'affermazione, non solo non si ritira dalla corsa elettorale ma, addirittura, vede migliorare la sua posizione nei sondaggi di opinione.

Ecco, se oggi non avessimo questo tirannosauro nel corridoio che ci sforziamo di non vedere, se tutti i fascismi del mondo non stessero spudoratamente rialzando la testa facendo leva proprio sulla rimozione della storia e sulla banalizzazione e lo svilimento del passato, se la strada che porta ai campi di sterminio non la stessimo ripercorrendo proprio ora, passo per passo, prepotenza per prepotenza e falsità per falsità, allora la giornata della memoria sarebbe una commemorazione ordinaria.
Oggi, giornata della memoria, non è una giornata ordinaria perchè la memoria, adesso, qui, oggi, ci occorre tutta.

venerdì 19 gennaio 2018

La conchiglia che resistette a Braccio di Ferro


Anche la scienza ha una sua aneddotica condita di elementi leggendari: storie di scoperte o di errori che si raccontano e si tramandano, di cui pochi (se non nessuno) sanno più quanto ci sia di autentico e quanto di romanzesco. Senza scomodare la quasi-anti-epica della mela di Newton o della tinozza da bagno di Archimede, un racconto ben più plausibile e modesto, ma della cui autenticità non si hanno (o io ignoro) riscontri, colloca nel decennio 1890-1900, quando i progressi tecnologici nella chimica analitica permisero tutto un fiorire di studi sulla composizione degli alimenti, uno svarione pubblicato in un articolo statunitense, che mostrava in una tabella, alla riga "Iron" e sotto la colonna "Spinach" un esorbitante valore di 30,0 mg / 100 g a causa di un errato posizionamento della virgola. Una postilla forse ancor più apocrifa aggiunge che del misfatto l'autore della pubblicazione incolpò la segretaria che aveva battuto a macchina il manoscritto, facendo scivolare la storia nel filone letterario ben più affollato delle immancabili e generalizzate colpevolezze delle segretarie.
Il dato fu definitivamente corretto e l'errore smentito solo negli anni trenta, riportando gli spinaci a un rispettabile, ma tutt'altro che eccezionale, contenuto in ferro di 3,00 mg / 100 g di peso fresco (parte dei quali milligrammi peraltro se la danno a gambe con la cottura). Ma ormai, dal 1933, erano apparsi i cartoni animati di Braccio di Ferro, e il luogo comune degli spinaci ricchi di ferro aveva solidamente preso piede. Come sempre, la diffusione di una notizia falsa è molto più rapida della sua correzione.
Vera o romanzata che sia questa vicenda, gli effetti concreti che essa ha avuto sulla nostra infanzia si sono materializzati in abbondanti porzioni di spinaci lessati che sapevano di niente, fattici ingurgitare di malavoglia nella vana illusione di fornirci ferro in abbondanza. Scoprimmo solo più tardi che era tutta una balla e che la nostra gioventù avrebbe potuto meritare contorni più sinceri.


Chi, a differenza di noi ingenui e futili primati, non avrebbe potuto lasciarsi trarre in inganno da simili false credenze, è un solido e pratico mollusco bivalve. Non c'è illusione né vana speranza che tenga sulla quantità di ferro assunto: tutto risulta, nitido e chiaro, dall'autobiografia scritta in bande di accrescimento sulla conchiglia: ogni fluttuazione nelle concentrazioni di calcio, ferro, magnesio, manganese, ecc. nei tempi e nei luoghi dello sviluppo di ogni individuo lascia la sua traccia, a differenza degli insipienti e ingannevoli spinaci che tendono un pò a sfumare nella nostra memoria.