martedì 29 maggio 2012

Anniversari - 29 maggio 1953



"Perché voglio scalare l'Everest? Perché è là."
George Leigh Mallory

La risposta è tanto ovvia quanto autentica: il salire in alto, l'arrampicarsi, è una fatica gratificante e quasi istintiva; il solo guardare una montagna fa sorgere il desiderio di arrivare in cima anche a un qualsiasi zombie di città uso a deambulare solo per le corsie degli ipermercati.
Andare in su cambia il nostro atteggiamento, ogni passo faticato in salita è come un pezzettino di un nuovo incontro, un pò semplicemente con noi stessi, e un pò con le infinite varietà di osservazioni che la natura ci offre: ad ogni nuova altezza raggiunta un orizzonte diverso del mondo in cui viviamo si apre, e racconta qualcosa, almeno a chi ha sensi per percepirlo.
Dall'alto tutto si vede meglio.
Le cime delle montagne non sono mai particolarmente belle. La cosa più straordinaria che si incontra lassù è la propria soddisfazione.

Il 29 maggio 1953 lo sherpa nepalese Tenzing Norgay ed il neozelandese Edmund Hillary raggiunsero il punto più alto della Terra.
Non sappiamo se furono i primi ad arrivare sulla cima dell'Everest; furono i primi a tornare indietro.
Tra le tante spedizioni non riuscite, quasi trent'anni prima, nel giugno 1924, avevano tentato gli inglesi George Mallory ed Andrew Irvine, che furono visti per l'ultima volta circa 250 metri sotto la vetta. Il corpo di Mallory fu ritrovato, conservato dal ghiaccio, nel 1999; non è mai stata recuperata la loro macchina fotografica, quindi probabilmente non sapremo mai se caddero durante la salita o durante la discesa.

Nel 1978 Reinhold Messner fu il primo a raggiungere quegli insuperabili 8848 metri senza bombole di ossigeno; nel 1980 fu il primo senza ossigeno e in solitaria, aggiungendo ulteriore nudità alle capacità dell'uomo di rapportarsi con quelle altitudini per noi terrestri estreme.

Ma le gesta quasi eroiche si deteriorano quando diventano accessibili a troppi. Come avere l'autoadesivo di Capo Nord sulla Renault 4, arrivare in cima all'Everest è diventato un prodotto turistico da esibire; se non proprio di massa, in qualche modo acquistabile per ascensionisti sufficientemente capaci.
Tra le sensazioni non descrivibili che Messner certamente provò nella sua salita, ce ne fu una perfettamente esprimibile che non potè fare a meno di raccontare a noialtri delle terre basse: il percorso per l'Everest è disseminato di rifiuti.
Dopo Hillary e Tenzing molti altri erano arrivati e, salvo una piccola minoranza di sfortunati, tornati indietro; ma con gli ascensionisti erano arrivate tende, bombole, resti di accampamenti, lattine, corde, che non tornano indietro poichè trattasi di peso inutile dopo l'uso.
In questi quasi 60 anni, sono circa 4000 le persone che possono andare giustamente orgogliose di avere scalato l'Everest, avendo realizzato un'impresa straordinaria che probabilmente era il sogno della loro vita. Ma sono ormai tonnellate e tonnellate i rifiuti disseminati in quello che è probabilmente l'unico vero luogo mistico del pianeta, lasciati da coloro che dovrebbero esserne i sacerdoti.

"Bandiere sulle montagne non ne porto: sulle cime io non lascio mai niente se non, per brevissimo tempo, le mie orme che il vento ben presto cancella."
Reinhold Messner

domenica 20 maggio 2012

Anniversari - 20 maggio 2002



La geniale candidatura di Rutelli nelle elezioni politiche del 2001 riuscì nell'impresa di spalancare la strada, contro ogni pronostico, al secondo Governo Berlusconi (2001 - 2006).
Il periodo pre - elettorale era stato rallegrato dalla prima comparsa televisiva di Marco Travaglio, ospite di una trasmissione di Daniele Luttazzi per presentare il suo primo libro, L'odore dei soldi. Quindi il ricco panorama filosofico e politico del nuovo Governo si arricchì di un secondo punto programmatico: Mediasetizzare la Rai, dato che le tre reti televisive di proprietà del socio di Dell'Utri rischiavano di non bastare più a rimbecillire a sufficienza la maggioranza degli elettori. Ci volle più di un annetto, perchè il punto prioritario del programma politico, evitare con qualsiasi mezzo la galera al Capo, risultò piuttosto impegnativo e richiese la promulgazione di diverse leggi apposite.
Tra nomine di piatti e soffici zerbini a Direttori di Telegiornali e cancellazioni di programmi e personaggi, a fare le spese dell'omologazione della Televisione di Stato alle necessità personali del proprietario dell'azienda concorrente, ci fu anche il programma radiofonico di Radio3 con il quale mi davo la sveglia alle 6:45 nelle giornate lavorative. Si intitolava, se non ricordo male, "Lucifero", o qualcosa del genere, e non aveva caratteristiche particolarmente sovversive: illustrava storie, raccontava immagini, svelava personaggi. Lo trovavo gradevole, ed era niente più che una trasmissione seplicemente intelligente, quindi insopportabile ai berlusconiani.
Poco tempo prima di sparire dal palinsesto per essere sostituito da un programma di musichette assortite, il 21 maggio 2002 quella trasmissione intristì l'avvio della mia giornata con la voce del conduttore che annunciò: "E' morto ieri a New York a 61 anni il celebre paleontologo e biologo Stephen Jay Gould."

Non era una notizia del tutto inaspettata; tutti i suoi lettori sapevano che aveva contratto vent'anni prima un mesotelioma, un tumore dello stesso tipo di quelli provocati dall'amianto.
Dopo la prima operazione, lo spirito dello studioso lo spinse subito a chiedere alla sua dottoressa qualcosa da leggere per documentarsi su una malattia che non aveva mai sentito nominare prima. Lei cercò di sviarlo dicendo che non c'era un gran che di interessante in bibliografia. Detto ad un professore che ha accesso a tutte le biblioteche dell'Università, fu un paravento quantomeno caduco.
Gould apprese subito che il mesotelioma ha una mortalità mediana di otto mesi dopo la diagnosi. Ma, altrettanto istantaneamente, capì anche perchè veniva utilizzata la mediana e non la media come valore indicativo della tendenza principale.
La media, come tutti sappiamo, è la somma dei valori diviso il numero dei valori osservati.
La mediana è il valore tale che il 50% dei valori osservati è inferiore ad essa, e l'altro 50% è superiore.
In una distribuzione casuale simmetrica, media e mediana coincidono. Ha senso usare la mediana anzichè la media nei casi in cui la distribuzione è fortemente asimmetrica, cioè pochi valori molto elevati trascinano in alto la media rendendola poco indicativa (avrebbe più senso usare la mediana anche per indicare la tendenza centrale dei redditi di una popolazione, ad esempio).
Nel caso del mesotelioma, la mediana informa che la metà dei malati muore entro otto mesi dalla diagnosi. Se nell'altra metà dei casi, ce ne sono alcuni le cui sopravvivenze possono essere anche molto prolungate, la media ne risulterebbe distorta verso l'alto. Gould capì di avere buone possibilità di essere in questa coda fortunata della distribuzione: era giovane, la diagnosi era stata abbastanza precoce, e viveva in un luogo dove poteva accedere alle cure migliori.
Questo racconto serve per dire che anni dopo, da questa vicenda personale prese spunto per scrivere un libro sull'interpretazione della variazione, dei suoi limiti e le nostre fallacie nel ricavarne tendenze (1), perchè era un divulgatore così: da qualsiasi dettaglio si può risalire a concetti generali.

Considero Gould uno dei miei eroi intellettuali. Sono rare le letture che fanno provare un senso di apertura mentale o, per usare un'espressione sua, "quella deliziosa sensazione di paraocchi che cadono" come quella che mi diede la prima lettura de "Il pollice del Panda", quando era ancora immerso nell'ortodossia scolastica.
Sarebbe sciocco tentare di riassumere qui in poco spazio il suo contributo all'estensione in senso non gradualista della teoria dell'evoluzione (e il fatto che lo amareggiò di più fu lo rovesciamento, in perfetta malafede, delle sue innovazioni concettuali da parte di alcune sette religiose, per sostenere che gli scienziati mettevano in dubbio l'evoluzione come fatto).
Non credo di poter fare nulla di più ragionevole che invitare a leggere. Credo che il meglio che si possa fare sia un invito alla lettura: al piacere della sua prosa gradevolissima che rende l'evoluzione, filo conduttore di ogni suo scritto, del tutto accessibile a qualsiasi profano, pur nelle interpretazioni meno banali, e lontane dagli stereotipi più usuali.

(1) Gould S. J. - Gli alberi non crescono fino in cielo - Mondadori 1997

mercoledì 16 maggio 2012

Obesi nel deserto


Quante volte ci siamo sentiti raccontare la favoletta che se si lascia ciascuno perseguire liberamente il proprio profitto ed il proprio benessere, ne conseguirà il massimo del benessere e la massima ricchezza per la collettività, che il libero mercato riesce a regolarsi da sè, ed attraverso la concorrenza elimina le attività che nuociono alla società, e che l'egoismo generale giova complessivamente all'interesse di tutti ? Sono due secoli e mezzo che questa sciocchezza gode di immeritato ed interessato credito, alimentato dal potere della borghesia imprenditoriale. Molti ci hanno creduto o hanno fatto finta di crederci; I Governanti dell'Occidente hanno fatto finta di crederci tutti in blocco e ciecamente.

Ricapitoliamo, come piccolo esempio non particolarmente rilevante, qualche aspetto pittoresco della nostra Storia:

1) Concentriamo le persone nelle città; con l'industrializzazione grandi masse si spostano dalle campagne nelle aree urbane in cerca di un lavoro meno duro o più redditizio. E' il mercato. Bene. Corollario: le aree vicine agli impianti industriali diventano densamente popolate. Ma le industrie puzzano, fanno rumore, fuliggine, sporcano, attirano grossi mezzi di trasporto altrettanto fastidiosi, e quindi i residenti chiedono di allontanarle dalle aree abitate. Appena un grande impianto industriale si sposta fuori città, l'area circostante diventa appetibile per costruire alloggi comodamente prossimi al luogo di lavoro e ridiventa residenziale, dopodichè i residenti protestano per puzze e rumori e chiedono che l'impianto venga spostato lontano dalle case, in un gioco dell'oca infinito.
Totale: le masse di lavoratori che si erano trasferite in città per essere vicine al lavoro, devono spostarsi per andare a lavorare lontano da dove abitano.
E nascono dal nulla tanti nuovi paesini: quelli che sessant'anni fa non esistevano si riconoscono per l'annuale rievocazione storica in costume medioevale.

2) La produzione di cibo rimane dislocata nelle aree agricole, fuori dalle città; quindi bisogna trasportare il cibo dalla campagna nelle zone urbane per nutrire la popolazione.
Si organizzano tutte le reti di passaggi intemedi tra la mucca e la latteria, tra il maiale e il macellaio, tra il campo e il fruttarolo. Bene. Mercato e commerci floridi. Ogni quartiere, ogni isolato ha il suo corredo completo di negozietti di approvvigionamento, mentre bambini nati e cresciuti in città credono che le mucche siano animali vagamente mitologici, con qualche dubbio che esistano veramente, e che le patate si raccolgano dagli alberi, ma il traffico tra chi produce cibo lontano dalla vista e dalla conoscenza di chi a distanza lo consuma funziona ed è profittevole.
Estremizzazione del concetto: le cartine geografiche qui di seguito riprodotte comprendono ancora una vastità di aree agricole, ma nella vecchia e ricca Europa il gioco dell'oca dell'urbanizzazione si sta mangiando tutto il territorio. Si ritiene più semplice e conveniente lasciar produrre cibo dall'altra parte del mondo, dove costa meno, ed importarlo, e destinare il nostro suolo alla ben più remunerativa edilizia. Spero che prima che sia troppo tardi, persino gli economisti, che da quel che si capisce in questi mesi mi paiono i più tardi nel capire le cose, si rendano conto che questa è una trappola mortale.

3) La distribuzione al dettaglio costa. Con la motorizzazione di massa, diventa molto più remunerativo concentrare il commercio in pochi grandi punti di vendita. E' un modello redditizio, e quindi è vincente e si afferma. E' il mercato. I piccoli negozi di quartiere si concentrano e si conglomerano in pochi appositi grandi centri commerciali ai margini delle città, raggiungibili con i mezzi a motore da clienti che esauriscono i loro veri e falsi bisogni di consumo in un'unica grande azione catartica del portafoglio, officiata da una sola sacerdotessa cassiera.
E' un modello redditizio e premiato dall'economia di mercato, ma tende al benessere collettivo ? Quanto consumano migliaia di automobili di clienti che vanno dalla città al supermercato ?
Senza ipotizzare il ritorno del giro a piedi tra i dettaglianti attorno a casa, quanto consumerebbero di meno pochi furgoni che distribuiscono a domicilio la spesa ordinata con uno dei mille mezzi di comunicazione immediata oggi disponibili ?
Qualcuno ha tentato, e forse qualcuno ancora pratica questa via alternativa e più sana, ma la legge del mercato non è premiante: si perdono i profitti generati dalla scienza, sviluppatasi rapidamente, dell'induzione all'acquisto inutile attraverso la accurata ed accattivante elaborazione della disposizione delle merci nelle corsie a stuzzicare sfizi e desideri.



Ho trovato questo piccolo articoletto su Scientific American, il cui punto cruciale sono queste colorate cartine degli U.S.A. (cliccare per ingrandire), che però vanno ben spiegate.
Le due a sinistra sono indicative solo di gruppi familiari che abitano a più di un kilometro e mezzo da un grande supermercato, e rappresentano le frequenze percentuali, indicate come intensità di colore: di redditi bassi (azzurro, in alto); e di famiglie che non possiedono un'automobile (giallo-marrone, in basso).
Le due a destra mostrano, con evidenti coincidenze, la frequenza dell'obesità (rosso, in alto), e del diabete (verde, in basso).
Qual è il nesso ? Bisogna tenere conto della pressochè totale scomparsa dei piccoli negozi di alimentari, e della distribuzione molto più fitta dei fast-food e dei negozi a basso costo che smerciano cibi pronti (tipo rivendite di hot-dog, friggitorie e simili).
Quindi, negli Stati Uniti, ove il modello che abbiamo rappresentato sopra è portato all'estremo, il cibo che costa meno è ormai quello più capillarmente diffuso, mentre i "veri" generi alimentari sono disponibili quasi solo in grandi centri commerciali (e costano pure cari). Quindi, chi abita lontano dai supermercati e non piò permettersi di spendere molto, o non dispone di un'automobile per gli spostamenti, si riduce a mangiare schifezze. E il fatto che le macchie di amaranto più scuro indichino luoghi dove più di una persona su tre è obesa fa piuttosto impressione.
Abbiamo ridotto i nostri spazi urbani a strutture funzionali alle automobili; viceversa, le persone rivestono un ruolo di tale sudditanza, che chi non si pone, o non può porsi, ai servigi di un veicolo a motore, si ritrova in una specie di deserto alimentare dove è costretto a cibarsi degli scarti a basso costo delle nostre produzioni di proteine e grassi.

martedì 8 maggio 2012

E' partita la campagna elettorale


30-40 anni fa la Democrazia Cristiana era ormai avviata a putrescenza, sommersa da scandali di corruzione che oggi equipareremmo a frodi nella riffa del Centro Anziani, e ritrovò come d'incanto nuova forza elettorale nella paura del terrorismo, nel ricompattamento nazionale sotto la minaccia delle pallottole che insanguinavano le strade.
Ed ecco che oggi i partiti, quanto più sono conservatori, tanto più fragorosamente franano sotto il peso della propria stessa insopportabilità, e guarda un pò chi si rivede: ritornano le gambizzazioni.

Io prevedo che ci saranno ancora altri attentati.
Io prevedo che questa destra italiana ormai liquefatta dopo aver dato tutte le prove possibili del proprio lordume, chiamerà a raccolta attorno a sè tutte le forze sedicenti moderate sotto la parola d'ordine della fermezza contro il terrorismo, per riprendersi un ruolo di guida e baluardo della democrazia minacciata.

E' fin troppo facile, è un film già visto.

Qualcuno può credere davvero che, con l'ampiezza attuale della frazione di società spinta ai margini e potenzialmente disponibile per un forte conflitto sociale, un VERO movimento eversivo possa ritenere tatticamente sensata la via dell'azione armata dimostrativa ?
Conoscendo per di più gli esiti di quanto sperimentato allora ?

Si tornerà a seminare la paura e l'informazione batterà la grancassa. E il popolo dei benpensanti tornerà a turarsi il naso ed accettare di sottomettersi al marcio di sempre.
Non c'è più guerra fredda, non è più il Partito Comunista tentacolo pedofago dell'allora Unione Sovietica mummificata da Breznev la minaccia da arginare; oggi sono i pericolosi risvegli di coscienza civile, i troppi movimenti che producono consapevolezza e partecipazione che dovranno essere soffocati nella culla; ma i metodi saranno gli stessi.

Dai resti di fascismo mai del tutto eradicati e pienamente operativi nelle Forze Armate e nei Servizi Segreti per quarant'anni dopo la fine della guerra, a Licio Gelli e ai suoi discepoli e seguaci, l'Occulto Ministero della Paura non ha mai smesso di vigilare su di noi, e a far tuonare polvere da sparo e tritolo appena necessario.

martedì 1 maggio 2012

Lewis Carroll e i batteri



"It takes all the running you can do, to keep in the same place."


The Red Queen, in Lewis Carroll's Through the Looking Glass



Avviso importante agli appassionati di evoluzionismo: non bisogna confondere, come spesso capita, la Regina di Cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie con la Regina Rossa (che è una Regina degli scacchi) del meno noto sequel Attraverso lo specchio (titolo completo: Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, per la precisione).

Oggi parleremo di soggetti probabilmente non del tutto affascinanti, delle loro interrelazioni, e della fondamentale importanza di quei grigi e anonimi sconosciuti che conducono la loro "vita da mediano" fuori dalla luce dei riflettori.

Pelagibacter ubique è uno dei più piccoli esseri che conducono esistenza libera e forse il più abbondante tra tutti i viventi. E' un batterio di meno di 1 micron (millesimo di millimetro) di lunghezza e 1/5 di micron di larghezza, e se volete farvi un'idea della sua popolazione mondiale, dovreste scrivere una cifra pari a circa 2 seguita da 28 zeri.
Costituisce grossomodo il 25 % del microplancton dei mari del mondo (lui e i suoi eventuali parenti stretti: per ora viene riconosciuta un'unica specie). Ebbene, nonostante tale successo al botteghino ecologico, è stato scoperto solo nel 1990, ed isolato e descritto compiutamente nel 2002. Dovrebbe essere chiamato, tecnicamente, Candidatus Pelagibacter ubique, perchè l'uso degli avverbi non è previsto nella nomenclatura, ed i signori dell'ICNB (International Code of Nomenclature of Bacteria), pallosi ed amanti della banalità quanto gli editorialisti del Corriere della Sera, non hanno ancora convalidato il nome proposto; ma il pur colorito "Batterio-dei-mari dappertutto" non è forse adeguato a rendere l'idea ?
E cosa fa nel mare il piccolo Pelagibacter ? Quello che tanti altri batteri fanno nel terreno: degrada sostanza organica, e dato il suo pullulare è un pilastro del ciclo del carbonio sul nostro pianeta. Certo, in mare i composti organici da decomporre non sono così abbondanti (o meglio, sono estremamente diluiti), e quindi il Nostro prospera su risorse ubiquitarie sì, ma molto povere come concentrazione.
Perciò è tutto un adattamento al risparmio energetico: anche il suo genoma, sequenziato nel 2005, è il più piccolo tra tutti gli organismi che vivono liberi (poco più di 1300000 paia di basi di DNA); un apparato genetico ridotto è invece piuttosto frequente in batteri endoparassiti o endosimbionti, poichè questi possono facilmente perdere alcune funzioni, svolte per loro dall'ospite.

Prochlorococcus, per parte sua, è un Cianobatterio fotosintetico (anche per esso è stata definita finora una sola specie, P. marinus, ed anche in questo caso il nome spiega dove trovarlo), abbondantissimo soprattutto nella fascia tropicale, dove raggiunge densità di 100000 cellule per centimetro cubo di acqua superficiale; è quindi un produttore primario, piano di base delle piramidi alimentari: sfrutta l'energia della luce per convertire anidride carbonica in zuccheri e rilasciare ossigeno come scarto: potrebbe essere responsabile del 20 % dell'ossigeno nell'atmosfera, ed è il più abbondante organismo fotosintetico della Terra.
Che cos'ha in comune con Pelagibacter ?
a) E' un batterio comunissimo (stavolta vi possono bastare solo 27 zeri per scrivere l'entità della sua popolazione); b) ha una cellula di dimensioni ridottissime; c) ha un corredo genetico altrettanto ridotto: appena 2000 geni; d) è stato scoperto solo recentemente (1986), ed è un pò deprimente osservare che due organismi così importanti per l'ecosistema Terra non "esistevano" quando ho sostenuto i miei esami di Botanica (anche se questo potrebbe fornirmi qualche alibi per eventuali castronerie qui scritte), e oltre a non averli notati per tanto tempo, ad uno dei due abbiamo pure assegnato un nome farlocco.
Ma soprattutto, e) condividono lo stesso habitat povero di risorse nutritive (Prochlorococcus si produce da sè gli zuccheri grazie alla fotosintesi, ma dipende pur sempre dalle concentrazioni locali di azoto, fosforo, eccetera).

Inoltre, il più diffuso batterio fotosintetico ed il più diffuso batterio decompositore sono molto più suscettibili agli stress ossidativi (come ad esempio l'esposizione all'acqua ossigenata) rispetto alle specie ed essi più simili. Infatti, nei loro genomi ridotti all'osso, mancano entrambi di un enzima chiamato catalasi, che riduce l'acqua ossigenata (HOOH) ad acqua (HOH). Il fatto che la prima venga usata comunemente come disinfettante vi dà qualche indizio di quanto sia fastidiosa per i batteri in generale.
Come si spiega che questi microrganismi di tale successo riproduttivo abbiano perso una funzione non del tutto indispensabile, ma molto importante come fattore di resistenza ? Sembra che tale resistenza non fornisse ai loro antenati alcun beneficio netto; eppure l'acqua ossigenata si forma facilmente sulla superficie marina per effetto della radiazione solare, tanto più negli immediati dintorni di un produttore di ossigeno come Prochlorococcus; e le circostanze in cui raggiunge livelli elevati dovrebbero fornire una ovvia pressione di selezione naturale pro-catalasi.
Infatti, in acqua di mare sterilizzata ed esposta al sole, la concentrazione di acqua ossigenata raggiunge in poche ore una concentrazione letale per una coltura pura di Prochlorococcus (1).
Ma in natura l'acqua di mare non è sterile e Prochlorococcus non si trova in coltura pura: pur essendo quantitativamente preponderanti, Prochlorococcus e Pelagibacter vivono pur sempre assieme ad altri microrganismi "minoritari" che producono catalasi e riducono la concentrazione di HOOH nell'ambiente in misura sufficiente da permettere anche ai non-produttori di vivere tranquillamente.

E qui il quadro si fa interessante: i batteri numericamente dominanti prosperano avendo il vantaggio di non svolgere una funzione energeticamente costosa (la produzione di un enzima), diventando così dipendenti da altri componenti della microflora del proprio habitat.

L'interessante sta nel trovarci di fronte ad un modello di coevoluzione "a perdere", ove si trae vantaggio dal rinunciare a parte del proprio arsenale funzionale. Siamo molto distanti dal modello forse più conosciuto di coevoluzione, proposto negli anni '70 da Van Valen (2), detto della "Regina Rossa": una perenne corsa agli armamenti in cui specie diverse in competizione per le stesse risorse o legate da rapporti di predazione o di parassitismo sviluppano continuamente nuovi e più efficaci adattamenti che devono essere continuamente compensati da ulteriori adattamenti rivaleggianti, pena il soccombere. Il nome deriva dalla spiegazione che la Regina Rossa fa ad Alice, in Attraverso lo specchio, in una scena di assurda ed inutile corsa continua: "Devi sempre correre più forte che puoi, per potere continuare a stare nello stesso posto", in un mondo che corre a sua volta. In estrema sintesi, Van Valen spiegava l'ampia prevalenza delle estinzioni nella storia della vita (Maynard Smith amava iniziare le sue conferenze dicendo: "Approssimativamente, tutte le specie viventi sono estinte") con il fatto che ogni specie si trova esposta ad un ambiente sempre più ostile, a cusa dei progressivi adattamenti dei suoi competitori.

Ma dove le risorse sono scarse, attrezzarsi per reggere la corsa costa molto caro. Per queste situazioni, Morris e colleghi, pur incorrendo nel testo nella confusione rispetto alla quale vi ho messo in guardia in apertura, propongono in questo recentissimo articolo un modello di coevoluzione che chiamano, non senza qualche ironia, della "Regina Nera", prendendo spunto da un noto gioco di carte in cui vince chi fa meno punti, e la donna di picche vale tanti punti quanti tutte la altre carte (dis)valide messe insieme: quindi, buona parte della strategia punta ad appioppare a qualcun altro la regina di picche, per poter poi giocare molto più sereni e sollevati.

Proviamo a mettere un pò di ordine: quali funzioni possono essere soggette al modello della Regina Nera ? a) Funzioni fisiologicamente costose, e b) il cui prodotto possa essere condiviso dagli altri membri della comunità biotica. Questo secondo punto limita l'applicabiltà del modello quasi esclusivamente ai microrganismi, il che non rende il discorso meno rilevante ai fini dei meccanismi dell'evoluzione, poichè si tratta pur sempre della gran maggioranza dei viventi attuali, e della gran parte della storia della vita.
Partiamo da uno scenario estremamente semplificato: una sola specie di microrganismo. Ad un certo punto, compare un mutante che ha perso, ad esempio, un gene, al cui prodotto il mutante può comunque attingere attraverso l'attività dei suoi conspecifici. Il mutante sarà avvantaggiato nella riproduzione perchè potrà dirottare un pochino di carbonio ed altri nutrienti limitanti, non utilizzati per la sintesi - diciamo - di un enzima, nella produzione di una nuova cellula; quindi, pian pianino, il mutante diventerà sempre più abbondante nella popolazione microbica.
Il limite si raggiunge quando il prodotto di quella funzione che il mutante ha perduto non sarà più sufficiente alle necessità dell'intera popolazione; a quel punto solo il "tipo selvatico" (non mutato) avrà la possibilità di aumentare di numero. Si raggiunge infine un equilibrio, con una propoporzione tra "mutanti" e "selvatici" tale da garnatire la quantità minima indispensabile di quella particolare funzionalità.
Ma cosa succede se ci sono molte specie di microrganismi che occupano lo stesso habitat, e molti prodotti del loro metabolismo vengono messi in comune nell'ambiente ? Il mutante avvantaggiato (nella velocità di riproduzione) dalla perdita di una funzione potrà sfruttare il prodotto disperso da altri microrganismi, e quindi condurrà il suo conspecifico "selvatico" all'estinzione, soppiantandolo definitivamente; e quindi quella funzione rimarrà definitivamente una (costosa) prerogativa di alcune specie, e non di altre. Qualcuno si è preso la Regina Nera.


Morris e colleghi presentano diversi possibili esempi di situazioni di questo tipo, oltre alla detossificazione dell'acqua ossigenata:
- la fissazione in molecole organiche dell'azoto atmosferico, una funzione basilare per tutti gli ecosistemi, svolta da un numero molto ristretto di batteri;
- la "cattura" del ferro mediante molecole (extracellulari) chiamate siderofori;
- la produzione di biofilm, matrici di polisaccaridi a cui contribuiscono in misura diversa alghe e batteri, che contribuiscono a concentrare le risorse nutritive sulla superficie marina e di cui beneficiano tutti i micorganismi in esse inglobati.
Potremmo anche ipotizzare scenari ulteriori e vieppiù interessanti: se un batterio acquisisse resistenza ad un antibiotico, non attraverso meccanismi passivi di tolleranza, ma con la capacità di detossificare, cioè degradare attivamente il farmaco, diventerebbe capace di abbassare localmente la concentrazione di antibiotico, a beneficio di tutti gli altri batteri che si giocano le loro carte sullo stesso tavolo: si sarebbe preso la donna di picche. Non è detto che questo non sia già avvenuto, nella pluridecennale storia partita dalla prima penicillina, caratterizzata da continue insorgenze di resistenze e conseguenti sostituzioni di vecchi farmaci con antibiotici nuovi, questa sì una vera corsa della Regina Rossa.
E potremmo anche spiegarci come mai la maggior parte dei batteri non sono coltivabili isolatamente in vitro, per quanti tentativi si facciano per individuare un mezzo nutritivo adeguato.

Infine, i microrganismi che si "alleggeriscono" di qualche funzione sono dei profittatori che sfruttano il lavoro altrui ? La definizione non ha molto senso in natura, e comunque potremmo rispondere "non necessariamente". Nel caso in cui specie diverse siano limitate da fattori diversi, cioè non siano in competizione per le stesse risorse fondamentali, il "produttore" può benissimo non subire alcun danno dalla presenza di "beneficiari". Anzi, nel nostro esempio originario della detossificazione dell'acqua ossigenata, un batterio decompositore che proteggesse con la sua catalasi la proliferazione del Prochlorococcus fotosintetico, potrebbe anche trarre vantaggio dal surplus di sostanza organica da quest'ultimo prodotta.
Inoltre, se i microrganismi di maggior successo dipendono da funzioni fondamentali svolte da altre specie meno frequenti, potremmo aspettarci che insorgano anche degli adattamenti tendenti a prevenire l'estinzione di queste ultime.

Ma il punto più istruttivo di tutto questo discorso riguarda la nostra visione dell'evoluzione: l'iconografia canonica non fa che presentarci la storia della vita come una scala crescente di complessità. In realtà questo non è che un errore di prospettiva dovuto al fatto di trovarci a quell'estremità della gamma di variazione dal semplice al complesso che conferisce il privilegio di poter riflettere su questi argomenti.
Non c'è dubbio che in 3,5 miliardi di anni la complessità MEDIA delle forme di vita sia aumentata; ma questo è un mero artefatto statistico. La vita ha avuto origine, necessariamente, dalle forme più semplici possibili capaci di esistenza libera. Da tale punto di partenza (ricordate la passeggiata dell'ubriaco ? Da quel lato c'è un muro) semplicemente l'AUMENTO DI DIVERSITA' ha prodotto forme più complesse, non una qualche tendenza intrinseca. E ancora oggi, come alle origini, i batteri (semplifico per i profani, accorpando abusivamente gli Archaea) sono la forma canonica del vivente; noi siamo solo una coda estrema, recente e accidentale, della ondeggiante passeggiata dell'ubriaco verso la variazione.
La semplificazione e la riduzione si verificano, quando possibile, tanto quanto gli aumenti di complessità: non ci sono tendenze intrinseche, nè leggi: sono le contingenze che fanno la storia.


(1) Morris JJ, Johnson ZI, Szul MJ, Keller M, Zinser ER. 2011. Dependence of the cyanobacterium Prochlorococcus on hydrogen peroxide scavenging microbes for growth at the ocean’s surface. PLoS One 6:e16805

(2) Van Valen L. 1973. A new evolutionary law. Evol. Theory 1:1–30.