martedì 1 maggio 2012
Lewis Carroll e i batteri
"It takes all the running you can do, to keep in the same place."
The Red Queen, in Lewis Carroll's Through the Looking Glass
Avviso importante agli appassionati di evoluzionismo: non bisogna confondere, come spesso capita, la Regina di Cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie con la Regina Rossa (che è una Regina degli scacchi) del meno noto sequel Attraverso lo specchio (titolo completo: Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, per la precisione).
Oggi parleremo di soggetti probabilmente non del tutto affascinanti, delle loro interrelazioni, e della fondamentale importanza di quei grigi e anonimi sconosciuti che conducono la loro "vita da mediano" fuori dalla luce dei riflettori.
Pelagibacter ubique è uno dei più piccoli esseri che conducono esistenza libera e forse il più abbondante tra tutti i viventi. E' un batterio di meno di 1 micron (millesimo di millimetro) di lunghezza e 1/5 di micron di larghezza, e se volete farvi un'idea della sua popolazione mondiale, dovreste scrivere una cifra pari a circa 2 seguita da 28 zeri.
Costituisce grossomodo il 25 % del microplancton dei mari del mondo (lui e i suoi eventuali parenti stretti: per ora viene riconosciuta un'unica specie). Ebbene, nonostante tale successo al botteghino ecologico, è stato scoperto solo nel 1990, ed isolato e descritto compiutamente nel 2002. Dovrebbe essere chiamato, tecnicamente, Candidatus Pelagibacter ubique, perchè l'uso degli avverbi non è previsto nella nomenclatura, ed i signori dell'ICNB (International Code of Nomenclature of Bacteria), pallosi ed amanti della banalità quanto gli editorialisti del Corriere della Sera, non hanno ancora convalidato il nome proposto; ma il pur colorito "Batterio-dei-mari dappertutto" non è forse adeguato a rendere l'idea ?
E cosa fa nel mare il piccolo Pelagibacter ? Quello che tanti altri batteri fanno nel terreno: degrada sostanza organica, e dato il suo pullulare è un pilastro del ciclo del carbonio sul nostro pianeta. Certo, in mare i composti organici da decomporre non sono così abbondanti (o meglio, sono estremamente diluiti), e quindi il Nostro prospera su risorse ubiquitarie sì, ma molto povere come concentrazione.
Perciò è tutto un adattamento al risparmio energetico: anche il suo genoma, sequenziato nel 2005, è il più piccolo tra tutti gli organismi che vivono liberi (poco più di 1300000 paia di basi di DNA); un apparato genetico ridotto è invece piuttosto frequente in batteri endoparassiti o endosimbionti, poichè questi possono facilmente perdere alcune funzioni, svolte per loro dall'ospite.
Prochlorococcus, per parte sua, è un Cianobatterio fotosintetico (anche per esso è stata definita finora una sola specie, P. marinus, ed anche in questo caso il nome spiega dove trovarlo), abbondantissimo soprattutto nella fascia tropicale, dove raggiunge densità di 100000 cellule per centimetro cubo di acqua superficiale; è quindi un produttore primario, piano di base delle piramidi alimentari: sfrutta l'energia della luce per convertire anidride carbonica in zuccheri e rilasciare ossigeno come scarto: potrebbe essere responsabile del 20 % dell'ossigeno nell'atmosfera, ed è il più abbondante organismo fotosintetico della Terra.
Che cos'ha in comune con Pelagibacter ?
a) E' un batterio comunissimo (stavolta vi possono bastare solo 27 zeri per scrivere l'entità della sua popolazione); b) ha una cellula di dimensioni ridottissime; c) ha un corredo genetico altrettanto ridotto: appena 2000 geni; d) è stato scoperto solo recentemente (1986), ed è un pò deprimente osservare che due organismi così importanti per l'ecosistema Terra non "esistevano" quando ho sostenuto i miei esami di Botanica (anche se questo potrebbe fornirmi qualche alibi per eventuali castronerie qui scritte), e oltre a non averli notati per tanto tempo, ad uno dei due abbiamo pure assegnato un nome farlocco.
Ma soprattutto, e) condividono lo stesso habitat povero di risorse nutritive (Prochlorococcus si produce da sè gli zuccheri grazie alla fotosintesi, ma dipende pur sempre dalle concentrazioni locali di azoto, fosforo, eccetera).
Inoltre, il più diffuso batterio fotosintetico ed il più diffuso batterio decompositore sono molto più suscettibili agli stress ossidativi (come ad esempio l'esposizione all'acqua ossigenata) rispetto alle specie ed essi più simili. Infatti, nei loro genomi ridotti all'osso, mancano entrambi di un enzima chiamato catalasi, che riduce l'acqua ossigenata (HOOH) ad acqua (HOH). Il fatto che la prima venga usata comunemente come disinfettante vi dà qualche indizio di quanto sia fastidiosa per i batteri in generale.
Come si spiega che questi microrganismi di tale successo riproduttivo abbiano perso una funzione non del tutto indispensabile, ma molto importante come fattore di resistenza ? Sembra che tale resistenza non fornisse ai loro antenati alcun beneficio netto; eppure l'acqua ossigenata si forma facilmente sulla superficie marina per effetto della radiazione solare, tanto più negli immediati dintorni di un produttore di ossigeno come Prochlorococcus; e le circostanze in cui raggiunge livelli elevati dovrebbero fornire una ovvia pressione di selezione naturale pro-catalasi.
Infatti, in acqua di mare sterilizzata ed esposta al sole, la concentrazione di acqua ossigenata raggiunge in poche ore una concentrazione letale per una coltura pura di Prochlorococcus (1).
Ma in natura l'acqua di mare non è sterile e Prochlorococcus non si trova in coltura pura: pur essendo quantitativamente preponderanti, Prochlorococcus e Pelagibacter vivono pur sempre assieme ad altri microrganismi "minoritari" che producono catalasi e riducono la concentrazione di HOOH nell'ambiente in misura sufficiente da permettere anche ai non-produttori di vivere tranquillamente.
E qui il quadro si fa interessante: i batteri numericamente dominanti prosperano avendo il vantaggio di non svolgere una funzione energeticamente costosa (la produzione di un enzima), diventando così dipendenti da altri componenti della microflora del proprio habitat.
L'interessante sta nel trovarci di fronte ad un modello di coevoluzione "a perdere", ove si trae vantaggio dal rinunciare a parte del proprio arsenale funzionale. Siamo molto distanti dal modello forse più conosciuto di coevoluzione, proposto negli anni '70 da Van Valen (2), detto della "Regina Rossa": una perenne corsa agli armamenti in cui specie diverse in competizione per le stesse risorse o legate da rapporti di predazione o di parassitismo sviluppano continuamente nuovi e più efficaci adattamenti che devono essere continuamente compensati da ulteriori adattamenti rivaleggianti, pena il soccombere. Il nome deriva dalla spiegazione che la Regina Rossa fa ad Alice, in Attraverso lo specchio, in una scena di assurda ed inutile corsa continua: "Devi sempre correre più forte che puoi, per potere continuare a stare nello stesso posto", in un mondo che corre a sua volta. In estrema sintesi, Van Valen spiegava l'ampia prevalenza delle estinzioni nella storia della vita (Maynard Smith amava iniziare le sue conferenze dicendo: "Approssimativamente, tutte le specie viventi sono estinte") con il fatto che ogni specie si trova esposta ad un ambiente sempre più ostile, a cusa dei progressivi adattamenti dei suoi competitori.
Ma dove le risorse sono scarse, attrezzarsi per reggere la corsa costa molto caro. Per queste situazioni, Morris e colleghi, pur incorrendo nel testo nella confusione rispetto alla quale vi ho messo in guardia in apertura, propongono in questo recentissimo articolo un modello di coevoluzione che chiamano, non senza qualche ironia, della "Regina Nera", prendendo spunto da un noto gioco di carte in cui vince chi fa meno punti, e la donna di picche vale tanti punti quanti tutte la altre carte (dis)valide messe insieme: quindi, buona parte della strategia punta ad appioppare a qualcun altro la regina di picche, per poter poi giocare molto più sereni e sollevati.
Proviamo a mettere un pò di ordine: quali funzioni possono essere soggette al modello della Regina Nera ? a) Funzioni fisiologicamente costose, e b) il cui prodotto possa essere condiviso dagli altri membri della comunità biotica. Questo secondo punto limita l'applicabiltà del modello quasi esclusivamente ai microrganismi, il che non rende il discorso meno rilevante ai fini dei meccanismi dell'evoluzione, poichè si tratta pur sempre della gran maggioranza dei viventi attuali, e della gran parte della storia della vita.
Partiamo da uno scenario estremamente semplificato: una sola specie di microrganismo. Ad un certo punto, compare un mutante che ha perso, ad esempio, un gene, al cui prodotto il mutante può comunque attingere attraverso l'attività dei suoi conspecifici. Il mutante sarà avvantaggiato nella riproduzione perchè potrà dirottare un pochino di carbonio ed altri nutrienti limitanti, non utilizzati per la sintesi - diciamo - di un enzima, nella produzione di una nuova cellula; quindi, pian pianino, il mutante diventerà sempre più abbondante nella popolazione microbica.
Il limite si raggiunge quando il prodotto di quella funzione che il mutante ha perduto non sarà più sufficiente alle necessità dell'intera popolazione; a quel punto solo il "tipo selvatico" (non mutato) avrà la possibilità di aumentare di numero. Si raggiunge infine un equilibrio, con una propoporzione tra "mutanti" e "selvatici" tale da garnatire la quantità minima indispensabile di quella particolare funzionalità.
Ma cosa succede se ci sono molte specie di microrganismi che occupano lo stesso habitat, e molti prodotti del loro metabolismo vengono messi in comune nell'ambiente ? Il mutante avvantaggiato (nella velocità di riproduzione) dalla perdita di una funzione potrà sfruttare il prodotto disperso da altri microrganismi, e quindi condurrà il suo conspecifico "selvatico" all'estinzione, soppiantandolo definitivamente; e quindi quella funzione rimarrà definitivamente una (costosa) prerogativa di alcune specie, e non di altre. Qualcuno si è preso la Regina Nera.
Morris e colleghi presentano diversi possibili esempi di situazioni di questo tipo, oltre alla detossificazione dell'acqua ossigenata:
- la fissazione in molecole organiche dell'azoto atmosferico, una funzione basilare per tutti gli ecosistemi, svolta da un numero molto ristretto di batteri;
- la "cattura" del ferro mediante molecole (extracellulari) chiamate siderofori;
- la produzione di biofilm, matrici di polisaccaridi a cui contribuiscono in misura diversa alghe e batteri, che contribuiscono a concentrare le risorse nutritive sulla superficie marina e di cui beneficiano tutti i micorganismi in esse inglobati.
Potremmo anche ipotizzare scenari ulteriori e vieppiù interessanti: se un batterio acquisisse resistenza ad un antibiotico, non attraverso meccanismi passivi di tolleranza, ma con la capacità di detossificare, cioè degradare attivamente il farmaco, diventerebbe capace di abbassare localmente la concentrazione di antibiotico, a beneficio di tutti gli altri batteri che si giocano le loro carte sullo stesso tavolo: si sarebbe preso la donna di picche. Non è detto che questo non sia già avvenuto, nella pluridecennale storia partita dalla prima penicillina, caratterizzata da continue insorgenze di resistenze e conseguenti sostituzioni di vecchi farmaci con antibiotici nuovi, questa sì una vera corsa della Regina Rossa.
E potremmo anche spiegarci come mai la maggior parte dei batteri non sono coltivabili isolatamente in vitro, per quanti tentativi si facciano per individuare un mezzo nutritivo adeguato.
Infine, i microrganismi che si "alleggeriscono" di qualche funzione sono dei profittatori che sfruttano il lavoro altrui ? La definizione non ha molto senso in natura, e comunque potremmo rispondere "non necessariamente". Nel caso in cui specie diverse siano limitate da fattori diversi, cioè non siano in competizione per le stesse risorse fondamentali, il "produttore" può benissimo non subire alcun danno dalla presenza di "beneficiari". Anzi, nel nostro esempio originario della detossificazione dell'acqua ossigenata, un batterio decompositore che proteggesse con la sua catalasi la proliferazione del Prochlorococcus fotosintetico, potrebbe anche trarre vantaggio dal surplus di sostanza organica da quest'ultimo prodotta.
Inoltre, se i microrganismi di maggior successo dipendono da funzioni fondamentali svolte da altre specie meno frequenti, potremmo aspettarci che insorgano anche degli adattamenti tendenti a prevenire l'estinzione di queste ultime.
Ma il punto più istruttivo di tutto questo discorso riguarda la nostra visione dell'evoluzione: l'iconografia canonica non fa che presentarci la storia della vita come una scala crescente di complessità. In realtà questo non è che un errore di prospettiva dovuto al fatto di trovarci a quell'estremità della gamma di variazione dal semplice al complesso che conferisce il privilegio di poter riflettere su questi argomenti.
Non c'è dubbio che in 3,5 miliardi di anni la complessità MEDIA delle forme di vita sia aumentata; ma questo è un mero artefatto statistico. La vita ha avuto origine, necessariamente, dalle forme più semplici possibili capaci di esistenza libera. Da tale punto di partenza (ricordate la passeggiata dell'ubriaco ? Da quel lato c'è un muro) semplicemente l'AUMENTO DI DIVERSITA' ha prodotto forme più complesse, non una qualche tendenza intrinseca. E ancora oggi, come alle origini, i batteri (semplifico per i profani, accorpando abusivamente gli Archaea) sono la forma canonica del vivente; noi siamo solo una coda estrema, recente e accidentale, della ondeggiante passeggiata dell'ubriaco verso la variazione.
La semplificazione e la riduzione si verificano, quando possibile, tanto quanto gli aumenti di complessità: non ci sono tendenze intrinseche, nè leggi: sono le contingenze che fanno la storia.
(1) Morris JJ, Johnson ZI, Szul MJ, Keller M, Zinser ER. 2011. Dependence of the cyanobacterium Prochlorococcus on hydrogen peroxide scavenging microbes for growth at the ocean’s surface. PLoS One 6:e16805
(2) Van Valen L. 1973. A new evolutionary law. Evol. Theory 1:1–30.
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