martedì 7 gennaio 2020

Identitari

Bè, diciamocelo: durante le feste invernali, chi di noi non è andato in giro portandosi a spasso un presepe in braccio ? Sono cose che fanno un po' tutti... e quando poi arriva il 7 gennaio ci sentiamo un po' più tristi...



Ed ecco che, passata l'Epifania, i perfidi burocrati dell'Europa cattiva sotto il giogo franco-tedesco ci obbligano a smontare il presepe, e a perdere così la nostra identità culturale.
Avrete sentito anche voi di quanta gente, appena rimesso nella scatola l'ultimo pastorello, dalla sera alla mattina ha cominciato a parlare chi arabo, chi prussiano.
E non appena svanito l'odore del muschio, quanti italiani vengono improvvisamente colti da un'irresistibile desiderio di tortillas, oppure di wanton fritti o di crauti ? E così, in spregio assoluto alla nostra identità culturale, nessuno prepara più il garum, la rinomata salsa di interiora di pesce macerate crude per settimane sotto sale con pepe, menta, sedano e finocchio che fin dai tempi di Cicerone mai e poi mai dovrebbe mancare sulle italiche identitarie tavole. Eh bè, quelle sì che erano tradizioni...
Mancano statistiche aggiornate, ma sarete certamente a conoscenza di quanti, dopo lo smontaggio del presepe, di colpo si scoprono non più capaci di leggere lo spartito di una sonata per mandolino, strumento che, da sempre, tutti gli italiani sanno suonare magistralmente per il resto dell'anno.
Oh, quanto sconforta i cuori sovranisti che, dalla chiusura degli scatoloni con capanna, cometa e angioletti assortiti, all'improvviso, inopinatamente qualcuno riprenda a moltiplicare 316 x 57, abbandonando di colpo il nostrano e ben più pratico CCCXVI x LVII.
Il nobile cuore del sovranista che difende la nostra identità culturale è affranto la mattina dopo lo smontaggio del presepe; è già assillato dalla necessità di restare italiani fin da quando scosta le lenzuola di cotone (pianta originaria dell'India) per alzarsi dal letto. Guarda fuori dalla finestra il cupo cielo invernale (non potrebbe farlo se gli antichi Egizi non avessero inventato il vetro) prima di fare colazione con un buon caffè (pianta originaria dell'Abissinia) in una elegante tazzina di porcellana (materiale inventato in Cina); poi si si rade la barba (uso introdotto probabilmente dai Sumeri) e si lava (il sapone è stato inventato dagli Arabi).
Ma ecco, ad esempio, questa faccenda del lavarsi è del tutto contraria alla nostra identità culturale. I nostri avi stavano ben attenti a lavarsi il meno possibile, poiché tradizionalmente si riteneva che l'acqua fosse il principale vettore delle malattie. Non è una credenza limitata all'antichità o al medioevo (la regina Isabella di Castiglia, alla fine del '400, si vantava di essere stata lavata due volte: alla nascita e prima del matrimonio): è rimasta ben solida e immutabile fino a tempi recenti. E' stato solo verso la fine dell'Ottocento che i tecnocrati di Bruxelles, prendendo a pretesto affermazioni scientifiche prive di qualsiasi certezza, come la scoperta dei presunti batteri, ha scatenato questa deplorevole ondata di modernismo igienista che ci ha fatto perdere un elemento tradizionale e ben radicato della nostra identità culturale.
I batteri, poi, bah: se provate a chiedere alla gente per strada, in quanti vi diranno di averne mai visto uno ? E se una scoperta scientifica non è suffragata dal consenso popolare, che legittimità può mai avere ? I batteri non fanno parte della nostra identità culturale: perché permettiamo loro di cambiare le nostre sacrosante e consolidate usanze e tradizioni ?
Dopo questo disdicevole indugio nelle abluzioni, il bravo sovranista si veste, orgoglioso della prestigiosa moda italiana (ma i tessuti vengono quasi tutti dalla Cina); curiosamente, però, non indossa tuniche, cappe e mantelli della nostra tradizione: il taglio generale degli abiti, camicia - pantaloni - giacca, è sempre quello dei vestiti di pelle dei nomadi delle steppe dell'Asia centrale, presentato nel grande defilèe dei Mongoli di Gengis Khan nel XIII secolo; ma a rafforzare il prestigio dello stile italiano, indossa eleganti scarpe in pelle, tinta seguendo un metodo inventato dagli Egizi, con la suola di gomma (originaria del Messico); come ultimo tocco di classe si annoda la cravatta (che deve la sua origine e il nome ai sottili fazzoletti colorati che portavano al collo i mercenari croati durante la guerra dei trent'anni, nel XVII secolo). Controlla se ci sono messaggi sul suo telefono coreano ed esce di casa allontanandosi a bordo della sua automobile giapponese; prima di arrivare al lavoro, fa una sosta in edicola a comprare il suo mediocre quotidiano preferito (la carta fu inventata in Cina, la stampa in Germania nel XVI secolo), che paga con alcune monete metalliche (un sistema di pagamento inventato nell'antica Lidia, regione occidentale dell'Anatolia).
Nella pausa per il pranzo, si attiene rigorosamente alla tradizione italiana: spaghetti al pomodoro (ma gli spaghetti - di farina di riso - furono inventati in Cina, e il pomodoro è originario dell'America centrale) a cui aggiunge anche una puntina di peperoncino (anch'esso originario dell'America centrale); come secondo, un misto di affettati e salumi della nostra tradizione (ma l'allevamento del maiale ebbe origine nell'Asia sud-orientale); usa posate di acciaio, materiale inventato nell'India meridionale. Termina il pasto con frutta di stagione: un'arancia (gli agrumi sono tutti originari dell'Asia orientale).
Ma il bravo sovranista non smette di preoccuparsi:
"E ora che abbiamo disfatto il presepe, che ne sarà delle nostre tradizioni e della nostra identità ? Se per caso, non sia mai detto, adottassimo qualche usanza proveniente da altre culture smetteremmo immediatamente di essere italiani, dove mai andremo a finire ?" Si lamentava il diligente custode dell'identità culturale, invocando su di noi la protezione e la benevolenza di una divinità ebraica.

Per le "origini delle cose" ho saccheggiato selvaggiamente le conferenze del professor Marco Aime, ma eventuali errori sono miei; per la domesticazione di piante e animali Jared Diamond - Armi, acciaio e malattie - Einaudi, 2006.