Sir Cyril Burt finì i suoi giorni da sconfitto, riducendosi alla frode per sostenere le sue convinzioni; ma la sua idea che i bassi valori di Quoziente di Intelligenza fossero le stimmate attraverso cui riconoscere gli individui ineluttabilmente destinati agli strati più bassi della società aveva ormai segnato l'esistenza di un gran numero di persone: l'esame "eleven plus", che ogni studente sosteneva all'età di undici anni, era l'incarnazione dell'idea di un'intelligenza unilineare come una scala di valore su cui conficcare le persone una volta per sempre, e separava il 20 % di ragazzi che potevano avere accesso alle scuole classiche ed all'Università, dal restante 80 % considerato inadatto ad un'istruzione superiore e destinato alle scuole tecniche; rimase in vigore nelle scuole britanniche dal 1944 fino a metà degli anni '60, frustrando chissà quanti possibili talenti.
Inoltre la g, l'"intelligenza generale" di Spearman resuscitò ancora più volte: nel 1969, Arthur Jensen pubblicò negli Stati Uniti How Much Can We Boost I.Q. and Scholastic Achievement ? che suscitò scalpore poichè suonò come una dimostrazione definitiva della minore intelligenza innata dei neri, con 15 punti di scarto rispetto alla media dei bianchi (ricordarsi sempre di storicizzare per meglio comprendere il contesto nel quale certe affermazioni fanno presa sull'opinione pubblica: siamo in piena battaglia per i diritti civili, e Martin Luther King è stato assassinato da pochi mesi); nel suo lavoro la g risplendeva come il faro che illumina l'universo: addirittura potrebbe essere la misura di valore non solo degli umani, ma di tutti i viventi, ovviamente disposti in una scala lineare dal basso all'alto. Sentitelo qui:
"Le caratteristiche comuni dei test sperimentali sviluppati dagli psicologi comparati, che in gran parte distinguono chiaramente, diciamo, i polli dai cani, i cani dalle scimmie e le scimmie dagli scimpanzè, indicano che sono ordinabili grosso modo lungo una dimensione g (...) La g può esser vista come un concetto interspecie con una larga base biologica che culmina nei primati."
Su queste visioni caricaturali dell'evoluzione come una scala lineare di progresso ho già scritto in passato, e questo caso è tra i più imbarazzanti che abbia mai incontrato. Jensen raccolse tutti gli errori possibili che abbiamo incontrato ripetutamente in questa serie di sei storie di determinismo: la reificazione (in questo caso, galoppante) della g di Spearman da astrazione matematica a funzione mentale reale; la classificazione di entità complesse (le persone) lungo una scala lineare sulla base di un singolo valore numerico; l'errore di categoria di utilizzare i determinanti causali delle differenze entro gruppi per spiegare le differenze tra gruppi (l'ereditabilità dei valori di Q.I. entro gruppi per asserire basi genetiche alle differenze tra bianchi e neri); la confusione tra "ereditario" e "ineluttabile e non modificabile".
Ma non indovinate quali siano i dati più solidi sull'ereditabilità del Q.I. sui quali Jensen si basa ? Ancora una volta, gli studi fasulli sui gemelli identici di Burt: la frode verrà scoperta solo qualche anno più tardi.
Trovate qui una replica alle critiche di Gould nella quale Jensen, a mio avviso, si dà la zappa sui piedi più di una volta.
Nel 1994 la g resuscitò ancora, quando Richard Herrnstein e Charles Murray pubblicarono, tra grandi fanfare, The Bell Curve; nonostante la pervasiva pubblicità che lo ha accompagnato, anche questo testo non presentava alcuna tesi nuova rispetto a quanto già visto, rivestendo i vecchi pregiudizi in una cornice statistica più moderna, utilizzata però con evidente malafede: si nasconde la debolezza delle correlazioni, si tacciono dati contrari perfettamente noti e disponibili, e così via. The Bell Curve ebbe pen poco valore accademico, e fu nient'altro che la perorazione di una causa: le inuguaglianze sociali sono giustificate dall'accumularsi negli strati più bassi della società degli individui intellettualmente meno dotati, che trasmettono i loro geni scadenti alla propria discendenza; e i neri sono gravati di quei fatidici ed ineluttabili 15 punti in meno, in media, di Q.I. rispetto ai bianchi che rendono vana qualsiasi speranza di riscatto sociale. E' quindi inutile che la collettività si impegni in programmi educativi di massa e che investa risorse in welfare, poichè le disuguaglianze sociali sono irreversibili. Ma perchè questa tesi sia sostenibile, è ancora una volta necessario che si verifichino le quattro premesse fondamentali che abbiamo sempre incontrato fin dall'inizio di questo lungo discorso: - che l'intelligenza sia governata da un qualche fattore singolo ed unitario; - che sia misurabile e classificabile; - che sia ereditaria e determinata geneticamente; - che sia immodificabile. Se una sola di queste premesse fosse falsa, tutto l'edificio crollerebbe. Herrnstein e Murray non difesero nè discussero mai alcuna di queste basi cruciali del proprio lavoro; le diedero semplicemente per acquisite. L'unico punto sul quale si spesero fu la dimostrazione che i risultati dei test Q.I. non erano soggetti a distorsioni statistiche, per cui se la media del Q.I. dei neri era 85, e la media dei bianchi 100, la differenza poteva considerarsi attendibile e non soggetta a distorsioni sitematiche. Ma se da un secolo fior di psicometristi si dedicano a questa tecnica di misurazione, sarei ben meravigliato se si portassero dietro ancora dei difetti di metodo tali da distorcere i risultati ! Quello che The Bell Curve rifiutò di discutere è: se i neri ottengono, in media, un punteggio 85 ed i bianchi 100, è perchè i neri vivono, in media, in condizioni sociali peggiori rispetto ai bianchi ? E' questa la distorsione che ci interessa, mica i difetti statistici della misura.
Ed infine, l'esemplare dal quale, mesi fa, era partito lo spunto per tutta questa lunga revisione dell'argomento: il professor Richard Lynn, dell'Università di Dublino, che recentemente ha suscitato un pò di trambusto anche in Italia, affermando che i meridionali sono meno intelligenti degli italiani del Nord (touchè). Per lui classificare popoli e nazioni in base ai valori di Q.I. è una vera passione. Nel suo libro più famoso, IQ and the Wealth of Nations (2002), fa discendere ogni differenza di ricchezza o povertà, arretratezza o progresso, dai valori medi di Quoziente di Intelligenza nazione per nazione. Vale la pena solo di fare un paio di osservazioni metodologiche: Lynn classifica in base al loro Q.I. medio 185 Paesi; i dati realmente disponibili erano 81. Per le altre 104 nazioni, il valore viene o estrapolato per altre vie, o ottenuto come media tra i paesi confinanti (per alcuni dei quali, si deve presumere, a sua volta il dato sarà stato ottenuto nello stesso modo).
Prima osservazione: se qui, invece che di Quoziente di Intelligenza, si parlasse di produttività delle vacche da latte, nessuna rivista di zootecnia avrebbe mai accettato di pubblicare dati ottenuti in questa maniera.
Seconda osservazione: il metodo con cui i dati mancanti sono ottenuti, presuppone che ci sia una relazione tra gruppi etnici, o comunque geograficamente vicini, e loro valori di Q.I., che è la tesi che si vorrebbe dimostrare; la circolarità della dimostrazione non interviene, come spesso capita, nell'interpretazione dei risultati, ma addirittura nella loro produzione, nel senso più etimologicamente stretto di "pre-giudizio".
Ma questi sterili esercizi di classificazione dell'umanità per gruppi di valore, di tanto in tanto porta almeno qualche nota positiva.
Ad esempio, per i "fatidici 15 punti di Q.I."; si finisce per scoprire che i 15 punti di differenza media, in realtà ricorrono abbastanza spesso.
Di 15 punti è aumentato il Q.I. medio in alcune nazioni nei 40 anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, in parallelo al miglioramento delle condizioni generali di struttura sociale ed istruzione; e 15 punti è la differenza di Q.I. medio tra cattolici e protestanti nell'Irlanda del Nord, a favore dei protestanti (1). I nordirlandesi cattolici e protestanti non sono due gruppi etnici diversi: a meno che non si voglia sostenere che la setta religiosa sia determinata geneticamente, non sarà il caso di riconoscere che i 15 punti di Q.I. siano un retaggio più o meno standardizzato che caratterizza i gruppi socialmente svantaggiati ?
(1): Jacoby R. e Glauberman N.: The Bell Curve Debate. Times Books, New York, 1995.
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