domenica 23 settembre 2012

Gli ultimi giorni dei Bocconiani


Ormai la follia era finita. La produzione industriale in Europa, Nordamerica e Giappone era scesa quasi a zero e la popolazione viveva con appena lo stretto indispensabile. Gli astuti imprenditori occidentali avevano delocalizzato quasi tutte le produzioni in Asia, dove potevano pagare i lavoratori un tozzo di pane. Così, tutto quanto veniva prodotto rimaneva invenduto perchè nessuno poteva permettersi di comprarlo, nè i disoccupati occidentali, nè i poveri dell'ex-terzo mondo.
Anche la meteora dello spaventoso sviluppo industriale cinese aveva concluso la sua parabola, e già si rimpiangevano i vecchi campi di riso sacrificati ad insediamenti faraonici e inutili. Tutti gli impianti produttivi erano quasi fermi.
Nell'Occidente ormai de-sviluppato le popolazioni urbane si disperdevano in cerca di pezzettini di terreno coltivabile dove ricavare un orticello. Dove possibile, si cercava di porre rimedio alla cementificazione idiota degli ultimi cinquant'anni demolendo; si cercva di recuperare terra per coprire in qualche modo piazzali e parcheggi, e ricavarne almeno un pò di lattuga. La strategia a più lungo termine era di attendere che sulle macerie degli edifici inutilizzati abbattuti crescesse qualsiasi cosa potesse servire da pascolo per capre, per avviare il lento processo di ricopertura con humus fertile.

L'Italia, che si era sempre distinta per avere stoltamente indirizzato i suoi talenti verso le produzioni più sciocche e superflue, riusciva ancora a trarre da tale vacuità qualche motivo di moderata soddisfazione: grazie alle ultime collezioni invendute di vestitini firmati, i campi di mais e di grano della Pianura Padana, che lentamente riguadagnavano spazio, erano solidamente, ma pure stolidamente, difesi dagli spaventapasseri più eleganti del mondo. Venivano organizzati tour di curiosi fin dalla Slovenia e dal Canton Ticino che, in gruppi ciclistici, passavano ad ammirare fantasiosi pupazzi agghindati con inutili orpelli griffati, ora irrisi anche dal sarcastico razionalismo delle gazze, piazzati nel mezzo di angusti appezzamenti di colture cerealicole, costretti tra capannoni vuoti e bretelle autostradali quasi deserte.

Qua e là per il mondo le foreste riuscivano faticosamente a riguadagnare qualche prezioso ettaro, e la drastica riduzione dei consumi faceva sì che, lentamente, se non altro il clima andasse a rabbonirsi e cicli di siccità e precipitazioni tendessero pian pianino a normalizzarsi.

La Germania fu l'ultima ad arrendersi. Era stato nominato un Governo Tecnico tutto fatto di illustri luminari che conoscevano le ricette giuste per tenere in ordine i conti pubblici e rilanciare lo sviluppo dell'economia.
Mentre in superficie masse cenciose si ingegnavano nella coltivazione di cavoli nei giardini pubblici ed allevavano maiali nei capannoni dismessi, l'Esecutivo dei Tecnici, asserragliato nel bunker sotto il Reichstag di Berlino, elaborava alacremente i suoi piani, e si susseguivano i Consigli dei Ministri.

La Ministra VonReno prese la parola: "Ho messo a punto un piano di liberalizzazione dei salari per cui le imprese potranno decurtare gli stipendi dei dipendenti a loro piacimento, e prolungare in caso di necessità l'orario di lavoro fino a 28 ore al giorno, così rilanceremo investimenti e produttività."

"Brava cara Elsa, - rispose il Capo del Governo Tecnico, Professor Bergen -
con qulache ..ehm... piccola razionalizzazione numerica sarà un buon provvedimento. Nessuno Governo al mondo ha saputo tenere testa alla recessione, ma noi che abbiamo studiato alla Bocconi sappiamo come uscire da questa crisi momentanea. Anzi, si vede già la luce in fondo al tunnel: se non nel 2033, almeno nel 2034 ci sarà la ripresa. Possiamo essere fiduciosi. A questo proposito, punto molto sulla siderurgia. A che punto siamo ?"

Il ministro dell'Ambiente Kling prontamente si mise sull'attenti: "Tutto in ordine, Mein Professor. Abbiamo verificato che nell'area intorno alle acciaierie Krupp di Essen gli abitanti muoiono come mosche per tutte le malattie possibili e immaginabili, ma ho pronto un decreto per incrementare provvisoriamente la produzione dell'acciaieria, in attesa di disporre di dati più sicuri, ed ehm.. che il problema della salute degli abitanti tenda pian piano ad estinguersi.. ehm... a risolversi da sè."

"Ottimo, Kling. Questo è il giusto approccio al problema, il nostro acciaio viene richiesto dalle industrie di tutto il mondo, i mercati apprezzeranno. Una soluzione degna di un vero Bocconiano. Un aggiornamento sull'andamento della siderurgia, sottosegretario ?"

- "Ehm, vede, mein Professor, il fatto è... che le industrie di tutto il mondo in effetti sono ormai quasi ferme, e del nostro acciaio non sanno cosa farsene, con rispetto parlando."

"Ma come ! - si ingrigì il già grigio Professor Bergen - L'industria pesante, il cuore pulsante, il motore traente dello sviluppo... a proposito di motori... Ministro, qui abbiamo molte frecce al nostro arco per far ripartire i consumi, vero ? La ripresa... anche i petrolieri si aspettano qualche..."

Prese la parola il Ministro dello Sviluppo Economico, Pussy (eh, va bè, lo so... ma d'altra parte, che devo fare ? Voi lettori fate finta che sia possibile un cognome così). "Puntiamo molto sul rilancio dell'industria dell'automobile, la Volkswagen dovrà finalmente investire e creare occupazione, e la riforma della Ministro VonReno va nella direzione giusta, permettendo a quel rognoso pidocchioso dell'Amministratore Delegato di sfruttare a suo piacimento la forza-lavoro. Abbiamo qualche dato, sottosegretario ?"

- "Uhm... automobili... sono diversi anni che non se ne vende manco una. La Volkswagen ha tutti gli operai in cassa integrazione in attesa di investimenti mai fatti, e l'Amministratore Delegato, quel tizio svizzero, Marchionne, se n'è andato in Nordamerica. Pare che si sia ritirato in una riserva indiana, perchè nella lettera che ha lasciato sulla scrivania c'era scritto "Marameo" e l'indicazione di fargli pervenire là i 46 miliardi di emolumenti che ancora gli spettano. Ho sentito dire che intende coltivare le sue doti umane di ascetismo e contemplazione, ma mi risulta che prende a calci le squaw perchè non gli preparano il caffè entro i sei minuti prescritti."

Pussy incrociò lo sguardo freddo e austero del Professor Bergen e austeramente impallidì. Il professore lo prevenne: "Ah, non mi posso fidare di nessuno. Ma per fortuna ci sono io che so come fare e conosco tutte le strategie. La via più semplice per rilancare l'economia, la più immediata, il volano che farà ripartire tutto sarà l'edilizia. Il mattone è sempre sicuro."
"Infatti - intervenne Pussy sollevato - ho pronta una serie di misure di facilitazione ed agevolazione per favorire nuove costruzioni. Sottosegretario !" (invocazione nervosa)

- "Mein Professor, esimio ministro, da sessant'anni in qua si è costruito l'inimmaginabile. A furia di investire sul mattone ci sono più case che abitanti, e la dsponibilità di abitazioni è tripla rispetto alle necessità. Non si vende più nulla e le città sono piene di edifici abbandonati. In compenso, adesso che abbiamo difficoltà ad importare derrate alimentari dall'estero, siamo a corto di terreni coltivabili."

Bergen assunse un'aria insolitamente irosa, arrivando al punto di battere un sobrio pugno sul tavolo. Ma si ricompose subito: "Ah, un caso da manuale dell'economia, ma per fortuna ci sono qua io che vengo dalla Bocconi. Il segreto per la ripresa è l'espansione dei mercati. Verso quali nuovi mercati possiamo aprirci, sottosegretario ? Cina, India, Brasile ?"

- "Già fatto, mein Professor."

- "Colombia, Argentina, Sudafrica..."

- "Già fatto, mein Professor."

Il Professor Bergen, forse per la prima volta in vita sua, urlò: "Troviamone altri, perdìo !"

Il sottosegretario dovette rivelargli qualcosa che la Bocconi probabilmente non contempla: "Questo pianeta non è infinito, mein Professor."

Bergen crollò sulla sedia mormorando: "Questo pianeta non è infinito..."

"Questo pianeta non è infinito..."

Nel buio del bunker sotto il Reichstag, come uno sciacqìo d'onda, si udiva ritornare ed echeggiare, sempre più flebilmente:

"Questo pianeta non è infinito..."

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