mercoledì 9 settembre 2009

Storie di liberismo: William Jardine

Ci sono poche cose più istruttive di storie di epoche lontane ed apparentemente del tutto superate, nelle quali poter trovare i germi del nostro presente.
William Jardine (1784 - 1843), scozzese, potrebbe essere considerato non solo un eroe del liberismo, ma anche un pioniere dei metodi moderni di applicazione di tale dottrina economica.
Giovane neolaureato, ottenne la sua prima occupazione come medico di bordo sulle navi della Compagnia delle Indie Orientali. Gli impiegati della Compagnia avevano diritto al trasporto, sulla nave su cui erano imbarcati, di due casse di merce a testa per commercio a fini di proprio profitto personale. Sia attraverso i propri commerci diretti, sia affittando i propri spazi ad altri, Jardine fece fruttare velocemente questa opportunità: nel giro di alcuni anni si mise in proprio e, intorno al 1820, aprì un suo ufficio commerciale a Canton, il principale porto per l'import-export del sud della Cina.
Naturalmente iniziò subito a battersi, in nome della libertà di commercio e della libera concorrenza, contro il monopolio della Compagnia delle Indie grazie alla quale aveva ingrassato il suo portafogli fino a quel momento.
Vinse la sua battaglia nel 1833, quando il monopolio fu abolito dal Parlamento britannico.
Nel frattempo, Jardine, in società con James Matheson, si era lanciato in un settore commerciale molto remunerativo, anche se un tantino illegale: l'importazione in Cina di oppio dall'India. Gli affari gli andavano decisamente bene: nel decennio 1820-1830, il numero di casse di droga smerciate dall'India alla Cina passò da 4.224 a 18.956, e nel 1836 salì a 30.302. Con il numero di cinesi intossicati dall'oppio che raggiungeva cifre spaventose (le stime attorno al 1836-1838 variano da quattro a venti milioni di cinesi tossicodipendenti), il traffico non passò inosservato all'Imperatore, che dal 1836 proibì sia l'importazione che l'uso di oppio.
A quel momento, William Jardine stava già da tempo esercitando pressioni sui rappresentanti del Governo britannico perchè ingaggiassero una guerra aperta contro la Cina, colpevole di "ostacolare il libero mercato", ma dapprima non riuscì a trovare appoggio nei Sovrintendenti al commercio di nomina governativa; anzi, uno di questi, Sir George Robinson, tentò di fermare il commercio di oppio e raccomandò che i britannici smettessero di coltivare tale droga in India. Come risultato di tale impegno, Robinson fu silurato nel 1836. Anche il suo successore, Charles Elliot, non aveva in simpatia i mercanti britannici privi di scrupoli, ma la sua mente era presa da preoccupazioni ben più gravi: poichè la Gran Bretagna importava tè soprattutto dalla Cina, egli avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere aperte le vie mercantili con quel Paese, per non lasciare tristemente vuote le delicate tazzine di porcellana delle gentildonne britanniche alle cinque del pomeriggio.
Nel periodo 1837-1839 le tensioni tra mercanti britannici e funzionari cinesi divennero sempre più aspre: Jardine fu riconosciuto dai Governatori di tre province responsabile di commerciare illegalmente oppio ed espulso dalla Cina, ma non rispettò il decreto di espulsione; l'Imperatore nominò un Commissario Speciale per fermare il commercio di droga, Lin Zexu, il quale riuscì a sequestrare oltre 20.000 casse di oppio nel porto di Canton e le fece distruggere. Elliot promise ai mercanti britannici che il Governo di Londra avrebbe risarcito loro le perdite (2 milioncini di sterline). Ovviamente, il Parlamento inglese rispose picche, e che se mai un risarcimento fosse stato dovuto, sarebbe stato un'incombenza del Governo cinese.
Era il casus belli che Jardine aspettava.
Attraverso un importante banchiere comune amico, ottenne un incontro con il ministro degli esteri Lord Palmerston, ed espose un proprio piano già bell'e pronto su come condurre la guerra: attraverso il blocco dei principali porti cinesi, la flotta britannica avrebbe facilmente avuto la meglio; indicò esattamente le forze da mettere in campo in termini di navi e di uomini; e diede anche indicazioni sulle condizioni di resa da imporre alla Cina: risarcimento dell'oppio distrutto ed apertura di ulteriori porti al commercio estero.
Nelle settimane successive, delegazioni di influenti mercanti e banchieri continuarono a martellare il ministero degli esteri delineando i dettagli della spedizione militare secondo quanto già indicato da Jardine.
Rimaneva il non trascurabile ostacolo di ottenere dal Parlamento un voto favorevole alla guerra; i sentimenti dell'opinione pubblica avrebbero certamente influenzato il voto del Parlamento, e sia l'idea di entrare in guerra, sia il commercio di oppio non erano argomenti sui quali poter incontrare i favori del pubblico inglese.
Il fedele socio James Matheson scrisse a Jardine di "assicurarsi i servizi di qualche giornale influente per sostenere la causa" e di assoldare qualche scittore per esprimere "in forma chiara e concisa qualche opportuno memoriale".
Immediatamente, molti giornali inglesi si riempirono di resoconti secondo i quali le autorità cinesi avevano arbitrariamente distrutto merce di proprietà non loro, e con il loro comportamento avevano direttamente insultato la Corona Britannica (in queste cronache tornò in gioco anche la "vicenda Napier". Lord Napier fu il primo Sovrintendente al commercio - predecessore di Robinson ed Elliot - incaricato nel 1834 a seguito dell'abolizione del monopolio della Compagnia delle Indie. Al suo arrivo in Cina richiese un incontro con il vicerè Lu Kun, il quale glielo rifiutò, permettendogli di trattare solamente con il "Cohong", la rappresentanza dei commercianti, e gli impose di lasciare Canton per Macao. Tale freddezza si deve al fatto che i cinesi consideravano gli inglesi, a causa della loro rozzezza, dei barbari, e non concedevano loro di conferire con alti funzionari dell'Impero; inoltre, la tensione per l'importazione di oppio stava ormai scaldando gli animi e le sbrigative richieste di Napier avevano suscitato un certo sospetto. Fato, a Canton Napier contrasse una forte febbre, e morì pochi giorni dopo il suo arrivo a Macao. La sua morte fu fatta passare come dovuta "alle offese e ai maltrattamenti" subiti). Nei resoconti dei giornali schierati a favore dell'intervento militare mancava qualsiasi accennno al commercio dell'oppio ed alle sue implicazioni morali; in compenso si batteva la grancassa della libertà di commercio e suonavano alte le fanfare dei benefici economici che l'economia britannica ne derivava.
E all'inizio del 1840 uno scrittore di un certo successo, Samuel Warren (un Bruno Vespa dell'epoca ?) pubblicò un pamphlet intitolato The Opium Question, carico di patriottiche minacce all'Imperatore cinese, il quale, di fronte alla superba potenza navale e militare della Gran Bretagna, avrebbe dovuto rivedere la sua "immagine di quei "barbari meschini" che aveva insultato, oppresso e tiranneggiato".
Il dibattito parlamentare (marzo 1840) oppose gli argomenti etici dell'esportazione illegale di droghe pericolose in Cina al dovere patriottico di difendere l'onore della Gran Bretagna minacciato dalle offese dei cinesi, e si concluse con la lettura, da parte del ministro Palmerston, di una petizione dei rappresentanti delle imprese commerciali in Cina che dichiaravano (traduco testualmente): "in mancanza di misure da parte del Governo, da sostenersi con fermezza ed energia, il commercio con la Cina non potrà in futuro essere condotto con sicurezza per la vita e le proprietà, o con profitto o beneficio per la nazione Britannica". Vincite modeste per chi indovina il primo firmatario della petizione. Al voto, il nazionalismo e il profitto batterono la logica e l'etica per 271 a 262.
La prima guerra dell'oppio (1840-1842; ne seguirà una seconda nel 1856) fu risolta molto facilmente dai britannici, che contarono 500 morti contro 20.000 cinesi; fu condotta esattamente secondo i piani di Jardine e si concluse con le condizioni di resa da lui proposte (trattato di Nanchino): pagamento dei danni di guerra, apertura di ulteriori porti al commercio estero (tra cui esattamente quelli indicati da Jardine), più la cessione di HongKong, e, dulcis in fundo, il pagamento delle 20.000 casse di oppio gettate in mare da Lin Zexu.
Un ufficiale inglese commentò la guerra con queste parole: "i poveri cinesi avevano due scelte: o sottomettersi a lasciarsi intossicare, o farsi massacrare a migliaia per difendere le proprie leggi nel proprio paese."
Non so voi, ma leggere questa storia, con lo scenario della preparazione mediatica della guerra, mi ha richiamato immediatamente la campagna di menzogne che abbiamo appena sperimentato per giustificare l'invasione dell'Iraq. E un uomo ricco e potente che ha fondato le sue fortune su affari poco leciti, e utilizza i mezzi di informazione per apparire come vittima di chissà quali soprusi, non vi fa venire in mente proprio nessuno, nella stretta attualità ?
Pralina finale. Nel 1838, mentre intensificava le sue trame per favorire lo scoppio della guerra, e mentre cresceva il numero di milioni di cinesi intossicati dal suo oppio, William Jardine fu tra i fondatori della Medical Missionary Society, di cui fu vicepresidente nel primo organigramma. La Società istituì, e gestisce tuttora, il Canton Hospital (Pok Tai) di Guangzhou, con lo scopo istituzionale di "dimostrare il valore pratico della Cristianità, combinando la salute del corpo con la preghiera".
Amen.

Principale fonte storica (insieme a varie notiziole sparse qua e là):
Benjamin Cassan - William Jardine: Architect of the First Opium War - www.eiu.edu/historia/archives/2005/Cassan

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