venerdì 22 gennaio 2010
Il Ministro della Paura
Tra le varie informazioni recepite in questi ultimi giorni, vorrei provare ad associarne alcune, apparentemente poco connesse fra loro:
1) La popolarità di Barack Obama, dopo un anno dal suo insediamento, è in leggera risalita e raggiunge il 50 %, più o meno in linea con Ronald Reagan e Bill Clinton dopo il loro primo anno di presidenza; ma non è questo che ci interessa; la notizia che vorrei mettere a fuoco è che, in tempi recenti, il livello di popolarità più alto tra i presidenti degli Stati Uniti dopo un anno di mandato è stato raggiunto ad inizio 2002 da George W. Bush con addirittura lo 82 %: si era sull'onda emotiva degli attentati dell' 11 settembre 2001.
2) Dati statistici 2009 Desmos-Osservatorio di Pavia: i notiziari televisivi di Rai1 (TG1), Canale 5 (TG5) e Italia 1 (Studio Aperto) dedicano trenta volte più spazio alla cronaca nera rispetto a quelli degli altri maggiori paesi europei, che pure sono molto più colpiti rispetto all'Italia dalla criminalità comune; sebbene le preoccupazioni legate alla disoccupazione siano prevalenti nel 40 per cento della popolazione, gli stessi telegiornali parlano della crisi economica solo per il 6 % del loro tempo. E le variazioni sono molto mirate: nel 2008 (campagna elettorale) le notizie di criminalità comune erano il doppio di quelle raccontate nel 2009. Infine, risulta che le persone che guardano molta televisione sono quelle che hanno più paura di essere derubate, rapinate, aggredite, ecc.
3) Mi è capitato di leggere, sul blog di Daniela Ovadia "Mente e Psiche" (accessibile attraverso la pagina internet di Le Scienze), di un notevole esperimento condotto nel 1973 da John Darley e Daniel Batson; riporto le parole della stessa Ovadia poichè non sarei capace di essere più chiaro:
"Presero un gruppo di studenti di teologia e annunciarono loro che sarebbero stati invitati a fare un breve discorso davanti a una commissione di valutazione. A metà di loro venne assegnato come tema la discussione della parabola del Buon Samaritano, all’altra metà una presentazione sul proprio curriculum di studi. Inoltre ogni gruppo fu ulteriormente suddiviso in tre sottogruppi: al primo si disse che aveva accumulato molto ritardo, al secondo un ritardo lieve e al terzo che c’era tutto il tempo. Per raggiungere l’aula della presentazione i soggetti testati dovevano attraversare un parco e, lungo la strada, un attore steso a terra fingeva di essere un passante in difficoltà. Risultato: si fermava il 63 per cento di chi non era in ritardo, il 45 per cento di chi era un poco in ritardo e solo il 10 di coloro che erano molto in ritardo. Il tempo è quindi il fattore determinante, in questo caso, ma l’altruismo dipende anche, seppure in modo meno pregnante, dall’argomento sul quale stavano lavorando: infatti si fermava solo il 29 per cento di coloro che dovevano parlare di se stessi contro il 53 per cento di chi aveva lavorato sul tema del Buon Samaritano.
In sostanza, dice questo grande classico della psicologia sociale, la capacità di mettere in secondo piano i propri bisogni rispetto a quelli di un altro essere umano col quale non vi sono rapporti di affettivi o di conoscenza dipende da fattori oggettivi (il tempo) ma anche soggettivi (nel caso specifico, il “mood” nel quale i soggetti reclutati venivano a trovarsi). Ne deriva, dicono Darley e Batson (che avevano sottoposto i ragazzi reclutati anche a test di personalità e alla misurazione del parametro di “religiosità”) che il contesto in cui si vive, ciò che si ascolta, gli esempi di comportamento che si hanno attorno nei momenti che precedono di poco una scelta di tipo empatico o altruistico possono essere persino più importanti di elementi come l’educazione o la fede."
Io partirei da questa dimostrazione sperimentale di quanto il nostro atteggiamento verso il prossimo (inteso qui come persona sconosciuta) possa essere condizionato da ciò che vorrei chiamare il "clima sociale" che si sta vivendo, cioè da quello che leggiamo, vediamo e sentiamo nel nostro ambiente culturale. E quindi vediamo come questa facilità di condizionamento si applica nella pratica.
Il dato straordinario della popolarità di George Bush nei mesi successivi al più grave atto terroristico della storia è a sua volta un "esperimento", pur se involontario. Se un presidente completamente imbelle, al punto che nella campagna elettorale del 2008 il suo stesso partito repubblicano, per poter avere qualche (vana) speranza di vittoria, ha dovuto pressappoco fare finta di non conoscerlo, e lo ha pregato di non esporsi nella propaganda per il proprio candidato per non rovinarlo, potè raggiungere un livello di popolarità mai visto prima, quale dimostrazione possiamo ricavare da un dato tanto anomalo (pur al netto del fatto che dopo il primo anno di presidenza egli non aveva ancora avuto modo di dimostrare tutti i suoi disvalori) ? L'evidenza che ne risulta è quanto diventi facile per chiunque esercitare il potere politico su una popolazione spaventata; per le istitutuzioni di governo è fin troppo semplice darsi un aspetto rassicurante nei confronti di un popolo ove serpeggino paure verso nemici esterni ed occulte forze ostili. In più, si possono far accettare misure limitanti le libertà in nome della sicurezza, e persino guerre: ricordate l'attacco all'Iraq come "prevenzione" della minaccia costituita da armi di distruzione di massa che tutti sapevano inesistenti ? Niente di nuovo: anche la propaganda del governo nazista nel 1939 paventava una imminente invasione della Germania da parte della Polonia, altrimenti il popolo tedesco, pur così infervorato e martellato dalla propaganda, difficilmente avrebbe accettato l'idea di una guerra.
Va da sè che la paura della gente è un investimento tanto più redditizio quanto più bassa è la qualità politica della leadership, mancando altri argomenti con cui puntellare il consenso.
E finchè la paura è canalizzata verso nemici esterni, veri o immaginari, la sua gestione politica non crea problemi: si compatta l'opinione pubblica a difesa di qualche fittizia bandiera (patriottismo, nazionalismo, religione, difesa di presunte "identità" etniche o storiche o culturali, localismi o particolarismi vari, ecc.): pensate che pacchia dev'essere stata il governo dei piissimi principi medioevali, con il Diavolo e le fiamme dell'inferno costantemente a disposizione per terrorizzare le masse, se mai fosse loro balenata l'idea di una sovversione anche piccola piccola; ha proprio ragione B16, l'illuminismo e la crisi della fede religiosa hanno fatto solo danni (lui parla a nome del Potere, ovviamente).
Ma in un paese sfigato che non viene aggredito o minacciato da nessuno (la Slovenia prepara l'invasione ? Neanche Minzolini riuscirebbe a farla passare), come si fa ad instillare nella popolazione un pò di quella santa paura tanto utile ai governanti ?
Bisogna terrorizzare con minacce un pò più alla buona: il ladruncolo, il delitto di strada (giammai il Grande Ladrone che sottrae miliardi alla collettività e li porta in qualche paradiso fiscale o organizza falllimenti pilotati per truffare i risparmiatori, se il popolo si sentisse minacciato dai sodali del sovrano, per il sovrano sarebbe darsi la zappa sui piedi: la minaccia dipinta dai mezzi di informazione è l'emarginato che ti ruba l'autoradio o l'argenteria di casa; i grandi capitali devono sempre essere percepiti dal popolo come roba d'altri, anche quando si tratta di denaro pubblico).
Ed è fin troppo facile favorire l'identificazione della minaccia con il diverso, lo straniero, il non conforme, l'immigrato.
Inoltre la paura della criminalità comune presenta il vantaggio di portare le persone a guardarsi con sospetto l'un l'altra, a tendere non uscire di casa, a non formare reti di relazioni sociali, a diffidare degli altri, a ripiegare su se stesse: a costruire una vera civiltà dell'egoismo, che sarà anche meglio disposta a riconoscere con benevolenza qualche piccolo peccatuccio di egoismo dei propri leader politici: se uno proprio non vuole farsi processare per i propri reati (tanto per dire), e può fare qualche porcheriola per evitarlo, come dargli torto ? Quindi una non-società di individui che si occupano solo dei propri interessi, poco disposta all'egualitarismo ed alla solidarietà, come gli studenti di Darley e Batson condizionati dal pensiero del proprio curriculum.
Però, come contropartita, giocare con la paura del presunto dilagare della criminalità è più delicato che sentirsi minacciati dall'esterno: non si può rassicurare troppo la popolazione dando l'idea di risolvere tutti i problemi di ordine pubblico, per non perdere il beneficio politico della paura (alla Mussolini: divieto per giornali e radio di divulgare notizie di rapine e delitti, per dare l'idea che tutto filasse liscio; tanto alla diffusione della paura provvedevano squadracce di operatori specializzati); ma non si può nemmeno dare l'idea di rimanere impotenti di fronte al dilagare del crimine (salvo quando al governo c'è la parte avversa, allora si può esagerare tranquillamente). Bisogna continuamente trasmettere il messaggio che i pericoli per la sicurezza rimangano sempre pesanti, ma che vengano affrontati con costanza e piglio deciso.
Per mantenere questo sottile equilibrio non si può improvvisare: ci vuole un Ministero apposta, che provveda a comunicare il giusto livello di paura ai cittadini.
Nella foto: Maroni Roberto, Ministro della Paura e dell'Interno; di ordine pubblico se ne intende: ha una condanna a otto mesi di reclusione (è libero con la condizionale) per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale per avere tentato di impedire una perquisizione nella sede della Lega Nord (ha anche morsicato un agente) nel corso delle indagini sulla maxitangente Enimont, al termine della quale fu processato e condannato in via definitiva pure lui a mesi otto di reclusione (e anche lui libero con la condizionale) Umberto Bossi per finanziamento illecito. Inoltre è stato indagato per attentato all'integrità dello Stato (insieme a Bossi, Borghezio, Calderoli ed altri) per il reclutamento delle "camicie verdi" della cosiddetta Guardia Padana e le loro attività illegali. Per tale reato non è mai stato processato, in nome dell'articolo 68 della Costituzione ("I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni ..."), allargato a dismisura dalla legge Boato del 2003: prima la giunta per le autorizzazioni (unanime) e poi la Camera hanno votato per l'insindacabilità: l'attentato all'integrità dello Stato fa parte dell'esercizio delle funzioni dei parlamentari ?
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