giovedì 22 luglio 2010

Il caso e la bestialità


Con tante scuse a Jacques Monod per la orrenda parafrasi del titolo.
Cosa sono le superstizioni che noi umani costruiamo così tanto spesso e volentieri ?
Credo che una definizione sufficientemente generale ed inclusiva sia il tentativo di individuare disegni interpretabili dietro a fenomeni casuali e non prevedibili.
Citerò a memoria un paio di esperimenti dei quali ho letto negli ultimi anni (in questo momento sono in ferie e non ho accesso alla mia piccola ma soddisfacente biblioteca casalinga).
Ad un gruppo di studenti (gli studenti delle Università americane trovano la loro ragione di esistere solo nell’essere sottoposti a questi test nei quali invariabilmente rimediano figuracce, e credo che il cumulo di umiliazioni subite faccia infine punteggio ai fini della laurea) sono stai mostrati due fogli sui quali erano distribuiti dei punti, chiedendo loro in quale dei due fogli i punti fossero sparsi a caso. Una delle due distribuzioni di punti era in effetti del tutto casuale, mentre l’altra sottostava a delle limitazioni di distanza minima tra un punto e l’altro, per cui essi apparivano distribuiti più omogeneamente ed uniformemente sulla supeficie disponibile. Inutile dire che la maggioranza degli intervistati ha identificato come casuale la seconda distribuzione, immaginando negli ammassi e negli addensamenti della distribuzione realmente casuale delle figure o delle immagini di oggetti.
Questo per dare un’idea della dimestichezza che abbiamo con i fenomeni casuali.
In un lavoro più recente, due gruppi di studenti (e te dàila) erano stati sottoposti ad un esperimento in due fasi:
prima fase: venivano mostrate sullo schermo del computer delle coppie di lettere scritte in modo diverso (ad esempio, una in nero ed una in rosso, una sottolineata e l’altra no, una in corsivo, una maiuscola ed una minuscola, ecc.) e per ogni coppia di lettere il soggetto doveva cercare di indovinare secondo quale logica si differenziavano. In realtà non c’era alcuna logica; semplicemente, al primo gruppo veniva detto con una certa frequenza che avevano indovinato, al secondo gruppo era stata fatta risultare una serie di responsi esclusivamente negativi. Questo serviva solo per instillare nel secondo gruppo una sufficiente dose di insicurezza in vista della seconda fase. Ora veniva mostrata alle cavie una serie di immagini costituite da punti sparsi, variamente aggregati. In alcune le aggregazioni di punti costituivano un disegno di un oggetto, di un animale, ecc. (come Saturno nell’immagine che riporto qui, tratta da questo resoconto più dettagliato), in altre c’erano solo punti sparsi a caso. Mentre il primo gruppo identificava correttamente le immagini solo quando effettivamente c’erano, nel secondo gruppo (quelli “resi insicuri”) si registrava una significativa tendenza a vedere oggetti anche tra i punti distribuiti a caso.
Lo stato di insicurezza facilita l’origine di “superstizioni”.
Arriviamo ora ad un terzo esperimento, del quale ho letto or ora nel bel libro di Leonard Mlodinow “La passeggiata dell’ubriaco – le leggi scientifiche del caso” (Rizzoli 2009). Lo costruiamo così: al soggetto viene proposta ripetutamente una scelta tra due simboli, diciamo un cerchio e un triangolo. Di volta in volta, uno dei due simboli permette di accedere ad un premio; l’ordine con il qule risultano “vincenti” ora il cerchio ora il triangolo è completamente casuale, però il cerchio è la scelta buona il 75 % delle volte, il triangolo solo il 25 %.
Ebbene, se il soggetto sottoposto all’esperimento è un ratto, dopo la prima fase di apprendistato, esso imparerà a scegliere sistematicamente sempre e solo il cerchio; perderà il 25 % delle volte, ma si assicurerà il 75 % di successi. Questa, in realtà, è la probabilità di vittoria più alta possibile nelle condizioni che abbiamo descritto (si calcola piuttosto facilmente). Nelle stesse condizioni, invece gli uomini tentano di individuare un qualche disegno nella frequenza con cui risulta vincente la scelta del triangolo, basandosi sui risultati precedenti (niente di diverso da quelli che si convincono che un numero che non esce da tanto tempo al Lotto ha più probabilità di essere estratto la prossima volta), e tenteranno di capire quando è la volta buona per scegliere il triangolo. In questo modo non aumentano affatto i loro risultati positivi, poiché il disegno in effetti non c’è, e lo schema delle successioni vincenti cerchio-triangolo-cerchio è del tutto casuale e non prevedibile; ma non solo: i loro successi addirittura diminuiscono, perché ci sarà un certo numero di volte in cui faranno la scelta che ha meno probabilità di essere vincente.
Quindi: quando l’uomo utilizza il suo cervello per costruirsi delle sovrastrutture “superstiziose”, la sua capacità di interpretare la realtà viene comodamente battuta da quella del sorcio.

lunedì 12 luglio 2010

Siamo tutti polli di allevamento

L'informazione può manipolarci a piacimento, e dirigere la nostra attenzione nelle direzioni volute, senza che noi ci rendiamo minimamente conto dei condizionamenti a cui siamo sottoposti.
Alcuni anni fa Daniel J. Simons dimostrò, in un celebre esperimento, che se siamo impegnati a contare il numero di passaggi di palla dei giocatori della squadra bianca, quasi la metà di noi non si rende conto della presenza di un gorilla nel campo di gioco.
Oggi c'è una versione aggiornata dello stesso tipo di esperimento, a cui potete sollazzevolmente sottoporvi osservando questo filmato.
E io che pure sapevo già del "gorilla invisibile" sono stato fregato con irrisoria facilità.
Sono incavolatissimo.

venerdì 2 luglio 2010

Ohibò


Il capitalismo è morto, ma non ancora sepolto. E questo è il momento più pericoloso.
Non abbiamo avuto nemmeno la soddisfazione di accoppare il mostro con le nostre mani, con un bel processetto rivoluzionario, una liberazioncella, niente di niente: è morto da solo, per la sua intrinseca insostenibilità. Potremmo discutere se si tratti di morte naturale o di suicidio; rimane il fatto che non siamo stati capaci di ucciderlo noi.
Forse il cadavere si dibatte così freneticamente perchè non si è ancora reso conto del proprio decesso, ma io non credo che sia così. Fin da quando Henry Ford disse qualcosa del tipo: "Devo per forza pagare i miei operai a sufficienza perchè possano permettersi di acquistare le mie automobili" era già presente la consapevolezza dell'impossibilità del profitto (basta estendere il principio a termini più generali). Ho già esposto il concetto un annetto fa (ma quanto è già vecchio questo blog ?): per poter vendere i propri prodotti, le imprese, nel loro insieme, devono distribuire i propri ricavi ai lavoratori in misura sufficiente da renderli consumatori dei prodotti stessi; e il potere di acquisto dei lavoratori, nel suo insieme, costituisce il ricavo delle imprese: è un gioco a somma zero, le imprese non possono (non potrebbero) fare profitti.
E allora come è andata avanti questa mostruosità termodinamicamente impossibile fino adesso ? In quel post dello scorso anno identificavo le tre possibili fonti di arricchimento sulle quali l'economia di mercato può avere prosperato finora (e come si vede, sono tutte provvisorie e temporanee in un pianeta di dimensioni non infinite):

a) espansione: cercare continuamente nuovi mercati sui quali vendere i propri prodotti. L'espansione è senza fine perchè i nuovi consumatori devono a loro volta essere messi nella condizione economica di poter consumare sempre di più, e quindi assorbire una quota sufficiente della ricchezza prodotta;
b) sfruttamento: avere un bacino di riserva di popolazione che produce beni senza quasi essere retribuita, e che quindi non disporrà mai dei mezzi economici per consumare prodotti, ma permette di aumentare i margini di profitto sui beni venduti alla popolazione consumatrice;
c) speculazione finanziaria: le stesse risorse economiche sono apparentemente disponibili per un numero sempre crescente di soggetti (io che deposito i risparmi, la banca, un altro che riceve quei soldi in prestito, un'altra banca alla quale viene venduto il credito sotto forma di "prodotto finanziario" e che provvederà a rivenderlo a qualcun altro: tutti possono ritenere di avere la disponibilità dello stesso denaro).

Il capitalismo è morto perchè, più o meno contemporaneamente, il pilastro c) è giunto al punto di gonfiare oltre misura la sua bolla speculativa, che è ormai esplosa; e gli altri due pilastri a) e b), arrivati al punto di saturazione, entrano in conflitto fra di loro. Esaurite tutte le altre potenzialità, per conquistare nuovi consumatori a cui vendere, bisogna attingere alle popolazioni sfruttate, ma per permettere loro di consumare si è costretti a sfruttarle un pò meno. Ci si avvicina velocemente al "sistema chiuso" a somma zero: ricavi delle imprese = retribuzioni dei lavoratori = profitto zero.

Il momento è dei più pericolosi perchè il capitalismo in agonia tenterà tutte le vie per prolungare la propria esistenza, andando alla ricerca di tutte le risorse, materiali (anche le più vitali) ed umane, sfruttabili, e di tutti i possibili ultimi spazi di profitto, e dobbiamo quindi aspettarci una fase di spietata ferocia da parte delle imprese. Abbiamo sotto gli occhi qualcosa che è ben più di un sintomo con la privatizzazione dell'acqua potabile (a proposito, vi siete ricordati di andare a firmare per i referendum ?); ed anche il recente caso di Pomigliano d'Arco è terribilmente indicativo (per chiunque abbia occhi per guardare): si cerca di allargare il bacino di sfruttamento dei lavoratori anche alle aree del mondo finora privilegiate (nelle quali cioè si privilegiava, nella distribuzione della ricchezza, la possibilità del consumo).

E quello che maggiormente preoccupa è la completa assenza della politica in questa fase cruciale di transizione, che non potrà non essere traumatica. Sembra che nessuno abbia ancora capito il momento che il mondo sta vivendo. E' aberrante che a Pomigliano, su una questione fondamentale di diritti, e quindi di convivenza civile (che per definizione riguarda tutti), la politica sia stata completamente assente, e che tutto il peso della decisione sia stato lasciato sulle spalle dei lavoratori, cioè l'anello più debole della catena, cioè quelli direttamente sotto ricatto, che hanno potuto fare la loro scelta liberamente e con il coltello puntato alla gola.
E' il momento in cui bisogna completamente reinventare il sistema di produzione e distribuzione di beni, con una riduzione enorme dei consumi, sia perchè il sistema capitalistico fondato sullo spreco e sul superfluo è arrivato al capolinea, sia perchè semplicemente il pianeta su cui abitiamo non può permettersi il nostro attuale tenore di vita. E, non so nel mondo, ma qua in Italia quale dirigenza politica sarà all'altezza di progettare e guidare questa fase complicatissima ? Cicchitto (tessera della P2 n. 2232) ? Capezzone ? O, con rispetto parlando, Schifani ? Bossi (Renzo: quell'altro è già morto ma pure lui ancora non lo sa) ? Totò Cuffaro ? Oppure un Partito Democratico che quando per caso incontra tali tipi di argomenti, sempre coerente con se stesso, svanisce nel nulla ?

Nel futuro prossimo la borghesia imprenditoriale tenterà di impossessarsi di tutte le risorse possibili con ogni forma di prepotenza pensabile; quale struttura sociale siamo in grado di mettere in campo per tutelare le classi più deboli ?
Ecco, i rantoli finali dell'economia capitalistica ci portano alla vista questa misteriosa novità: esistono le classi sociali. E magari non andrà a finire che esiste anche la lotta di classe ?

Ma guarda un pò. E chi l'avrebbe mai detto ?