Vorrei far partire questo racconto finale da alcuni spunti che, per necessità di sintesi, sono stati tralasciati nel corso di questa lunga saga, che possono aiutare a meglio comprendere le implicazioni delle misurazioni delle intelligenze umane da parte dei campioni del determinismo che abbiamo incontrato nelle puntate precedenti, e che ci forniranno una traccia interpretativa per il seguito di questa particolare storia:
"Noi sappiamo che cos'è la debolezza mentale e ci è sorto il sospetto che tutte le persone che sono incapaci di adattarsi al proprio ambiente, che vengono meno alle convenzioni della società o al vivere civile, siano dei deboli mentali" H.H. Goddard, 1914.
"Non tutti i criminali sono deboli di mente, ma tutte le persone deboli di mente sono criminali potenziali. Che ogni donna debole di mente sia una prostituta potenziale, a malapena sarebbe messo in discussione da qualcuno. Il senso morale come quello degli affari o quello sociale o ogni processo di pensiero superiore di altro tipo è funzione dell'intelligenza. La moralità non può fiorire e fruttificare se l'intelligenza resta infantile." L.M. Terman, 1916.
L'intelligenza è un'entità talmente sfuggente ed indefinibile che può assumere le forme che ciascuno preferisce. Attribuirle un'identificazione con la condotta morale e con l'adesione alle convenzioni sociali ci appare oggi del tutto arbitrario ed insensato, ma forse, sotto sotto, lo spirito di quel tempo non è ancora del tutto estinto e probabilmente commetteremmo un errore a sottovalutare gli effetti deteriori che queste visioni conformiste ed omologatrici possono produrre ancora oggi. Si può ora farsi un'idea di dove in realtà l'applicazione del determinismo biologico alle scienze sociali andasse a parare, e di quanti abusi possano essere commessi all'interno di questa cornice concettuale.
Nel suo monumentale lavoro di misurazione delle intelligenze per conto dell'esercito, R.M. Yerkes andò incontro a qualche cocente delusione: mentre la generalità delle reclute si collocava appena sopra il limite del moron, con un'età mentale di 13 anni, tra gli obiettori di coscienza per ragioni politiche ben il 59 % otteneva il punteggio A, il più alto della scala, ed anche quelli completamente ribelli al Governo avevano un punteggio più alto della media. Ma Yerkes trovò comunque il modo di confortare i suoi pregiudizi, grazie alle compagnie più usuali che le truppe incontrano lungo la loro strada:
"I risultati dati dall'esame delle prostitute in base ai test dell'esercito confermano la conclusione, ottenuta con test civili somministrati a prostitute di varie parti del paese, che esse sono dal 30 al 60 per cento deficienti e per la maggior parte moron di grado superiore; e che dal 15 al 25 per cento tutte le prostitute sono mentalmente di grado così basso che è saggio (come del resto è possibile in base alle leggi di molti stati) segregarle permanentemente in istituti per deboli di mente." R.M. Yerkes, 1921.
Per godere appieno di questa affermazione dovreste fare lo sforzo di immaginare il personale dell'esercito che raduna le prostitute della zona, le fa accomodare in uno stanzone e le sottopone al test del Quoziente di Intelligenza (e magari figurarvi l'espressione delle signore...).
Il lavoro di Yerkes fu premessa per l'Immigration Restriction Act del 1924, e per una serie di leggi eugenetiche varate da diversi stati degli U.S.A. nel giro di pochi anni. La legge della Virginia per la sterilizzazione coatta dei portatori di tare ereditarie, o presunte tali, fu emanata nel 1924, e la prima persona condannata fu una diciottenne bianca di nome Carrie Buck, reclusa nella Colonia di Stato per Epilettici e Deboli di Mente. Il suo caso fu portato in ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1927, e quello fu il banco di prova per la validità della legge. Il caso di Carrie Buck non avrebbe avuto nulla di particolare se non fosse stato per questa circostanza storica, a sua volta legata alla raggelante frase scritta dal Presidente della Corte Suprema Oliver Wendell Holmes, allora uno dei più celebri giuristi d'America, a conclusione del giudizio a difesa della legge della Virginia, che divenne una specie di manifesto del movimento eugenetista americano: "Tre generazioni di imbecilli bastano."
Sia Carrie Buck che sua madre Emma Buck, allora cinquantaduenne, erano state considerate frenasteniche, avendo totalizzato un'età mentale di nove e di poco meno di otto anni, rispettivamente, al test Stanford-Binet. La terza generazione di imbecilli, decisiva a far pendere la bilancia della giustizia verso la sterilizzazione, era costituita dalla figlia di sei mesi di Carrie, Vivian Buck, alla quale era stato diagnosticato un analogo deficit mentale da un'assistente sociale.
Nel 1980, il dottor K. Ray Nelson, divenuto direttore del Lynchburg Hospital dove Carrie era stata sterilizzata, scoprì che la legge del 1924 era stata applicata fino al 1972, con oltre 4000 sterilizzazioni forzate in Virginia. Carrie Buck era ancora viva ed il dottor Ray Nelson decise di andare a trovarla, seguito poi da altri studiosi e qualche giornalista, ed il caso ritornò alla luce.
Carrie Buck era allora un'anziana semplice e non molto socievole; leggeva i quotidiani e si trovava regolarmente sia con la sorella Doris che con una vicina più istruita che la aiutava a risolvere i cruciverba. La prima impressione di Ray Nelson fu confermata dagli psicologi che la esaminarono in età avanzata: non era nè ritardata, nè affetta da alcuna malattia mentale. Dunque che cosa ci faceva nel 1924 reclusa in un istituto per deboli di mente ?
Il fatto che in questa storia madri, figlie e nipoti abbiano tutte lo stesso cognome potrebbe avervi dato già qualche indizio. Carrie era una di diversi figli illegittimi di Emma Buck; fu allevata dalla famiglia Dodds, e visse con i genitori adottivi fino a diciassette anni, quando fu violentata da un parente dei Dodds. Dall'udienza che decise l'affidamento all'istituto non risulta nessuna diagnosi di deficit mentali, salvo i "si dice" della famiglia adottiva, che aveva richiesto di ricoverarla "in un istituto o da qualche parte", desiderosa solo di allontanare da casa la compromettente prominenza del suo ventre, e proteggere l'identità dello stupratore.
All'epoca del primo processo, presso la corte della Virginia, del 1924, la piccola Vivian Buck, la "terza generazione di imbecilli" aveva circa sei mesi, e la testimonianza dell'assistente sociale Miss Wilhelm: "E' difficile giudicare le possibilità di una bambina così piccola, ma mi sembra che essa non sia propriamente una bambina normale. Per l'aspetto. Devo dire che, forse, il fatto di conoscere la madre può influenzarmi sotto questo punto di vista, ma ho visto la bambina assieme alla bambina della figlia della signora Dodds, che ha tre giorni soltanto più di lei, e tra le due c'è una differenza molto marcata nello sviluppo. Ciò è accaduto circa due settimane fa. Vi è qualcosa nell'apparenza che non è perfettamente normale, ma che cosa sia esattamente non riesco a dire" è tutta quanta la prova a carico del ritardo mentale della bambina. Null'altro risulta dagli atti.
Vivian Buck morì per un'infezione intestinale a soli otto anni, e Paul Lombardo, che studiò il caso nel 1980, riuscì a recuperare le pagelle dei suoi brevi due anni di carriera scolastica. Tranne una D in matematica, le sue valutazioni oscillavano tra B e C in tutte le materie, con A in condotta. Non era una scolara brillante, tanto quanto i compagni di scuola che tutti noi abbiamo avuto che ottenevano voti appena sufficienti.
Nulla sappiamo di Emma Buck, ma a questo punto è facile dubitare che il suo presunto deficit mentale si identificasse solo con la sua condotta scarsamente morale.
"Tre generazioni di imbecilli bastano". E probabilmente in questa soria non c'è alcun imbecille, non uno. Due generazioni di figli nati fuori dal matrimonio bastano. Carrie Buck fu sterilizzata a vent'anni, e la sua famiglia fu considerata un pericolo per la salute mentale della nazione; ma probabilmente era il puritanesimo bigotto degli Stati Uniti ad essere minacciato, non certo la qualità intellettuale del Paese.
Ma non è ancora finita. Quando, nel 1980, il dottor Ray Nelson intervistò le protagoniste superstiti e ricostruì le vicende del processo presso la Corte Suprema, al "Tre generazioni di imbecilli bastano" del giudice Holmes, Doris Buck, la sorella di Carrie, scoppiò a piangere improvvisamente. D'un tratto, aveva capito perchè lei e suo marito non erano mai riusciti ad avere i bambini che avrebbero tanto desiderato; quella frase le diede conto di colpo della tristezza di tutta una vita. Si ricordò di quel giorno che, da ragazza, la portarono in ospedale dicendole che doveva essere operata di appendicite, e collegò tutto quanto.
"Tre generazioni di imbecilli bastano".
La sorella di Carrie Buck fu sterilizzata a sua insaputa.
domenica 19 dicembre 2010
mercoledì 15 dicembre 2010
Il Carnevale della Biodiversità
A conclusione del 2010, anno della biodiversità, segnalo ai lettori l'apposito Carnevale, che procederà a cadenza bimestrale per tutto il 2011. I migliori blog specialistici esporranno articoli a tema a partire da oggi. Per questo primo ciclo il blog ospitante è "L'orologiaio miope", che trovate tra i miei preferiti qui a destra. Ho iniziato a leggere i contributi e vi raccomando una visita: c'è da leggere e trovare spunti di riflessione a volontà. Buon divertimento.
martedì 14 dicembre 2010
Uso e abuso dei test Q.I. - parte 6 - Tempi moderni
Sir Cyril Burt finì i suoi giorni da sconfitto, riducendosi alla frode per sostenere le sue convinzioni; ma la sua idea che i bassi valori di Quoziente di Intelligenza fossero le stimmate attraverso cui riconoscere gli individui ineluttabilmente destinati agli strati più bassi della società aveva ormai segnato l'esistenza di un gran numero di persone: l'esame "eleven plus", che ogni studente sosteneva all'età di undici anni, era l'incarnazione dell'idea di un'intelligenza unilineare come una scala di valore su cui conficcare le persone una volta per sempre, e separava il 20 % di ragazzi che potevano avere accesso alle scuole classiche ed all'Università, dal restante 80 % considerato inadatto ad un'istruzione superiore e destinato alle scuole tecniche; rimase in vigore nelle scuole britanniche dal 1944 fino a metà degli anni '60, frustrando chissà quanti possibili talenti.
Inoltre la g, l'"intelligenza generale" di Spearman resuscitò ancora più volte: nel 1969, Arthur Jensen pubblicò negli Stati Uniti How Much Can We Boost I.Q. and Scholastic Achievement ? che suscitò scalpore poichè suonò come una dimostrazione definitiva della minore intelligenza innata dei neri, con 15 punti di scarto rispetto alla media dei bianchi (ricordarsi sempre di storicizzare per meglio comprendere il contesto nel quale certe affermazioni fanno presa sull'opinione pubblica: siamo in piena battaglia per i diritti civili, e Martin Luther King è stato assassinato da pochi mesi); nel suo lavoro la g risplendeva come il faro che illumina l'universo: addirittura potrebbe essere la misura di valore non solo degli umani, ma di tutti i viventi, ovviamente disposti in una scala lineare dal basso all'alto. Sentitelo qui:
"Le caratteristiche comuni dei test sperimentali sviluppati dagli psicologi comparati, che in gran parte distinguono chiaramente, diciamo, i polli dai cani, i cani dalle scimmie e le scimmie dagli scimpanzè, indicano che sono ordinabili grosso modo lungo una dimensione g (...) La g può esser vista come un concetto interspecie con una larga base biologica che culmina nei primati."
Su queste visioni caricaturali dell'evoluzione come una scala lineare di progresso ho già scritto in passato, e questo caso è tra i più imbarazzanti che abbia mai incontrato. Jensen raccolse tutti gli errori possibili che abbiamo incontrato ripetutamente in questa serie di sei storie di determinismo: la reificazione (in questo caso, galoppante) della g di Spearman da astrazione matematica a funzione mentale reale; la classificazione di entità complesse (le persone) lungo una scala lineare sulla base di un singolo valore numerico; l'errore di categoria di utilizzare i determinanti causali delle differenze entro gruppi per spiegare le differenze tra gruppi (l'ereditabilità dei valori di Q.I. entro gruppi per asserire basi genetiche alle differenze tra bianchi e neri); la confusione tra "ereditario" e "ineluttabile e non modificabile".
Ma non indovinate quali siano i dati più solidi sull'ereditabilità del Q.I. sui quali Jensen si basa ? Ancora una volta, gli studi fasulli sui gemelli identici di Burt: la frode verrà scoperta solo qualche anno più tardi.
Trovate qui una replica alle critiche di Gould nella quale Jensen, a mio avviso, si dà la zappa sui piedi più di una volta.
Nel 1994 la g resuscitò ancora, quando Richard Herrnstein e Charles Murray pubblicarono, tra grandi fanfare, The Bell Curve; nonostante la pervasiva pubblicità che lo ha accompagnato, anche questo testo non presentava alcuna tesi nuova rispetto a quanto già visto, rivestendo i vecchi pregiudizi in una cornice statistica più moderna, utilizzata però con evidente malafede: si nasconde la debolezza delle correlazioni, si tacciono dati contrari perfettamente noti e disponibili, e così via. The Bell Curve ebbe pen poco valore accademico, e fu nient'altro che la perorazione di una causa: le inuguaglianze sociali sono giustificate dall'accumularsi negli strati più bassi della società degli individui intellettualmente meno dotati, che trasmettono i loro geni scadenti alla propria discendenza; e i neri sono gravati di quei fatidici ed ineluttabili 15 punti in meno, in media, di Q.I. rispetto ai bianchi che rendono vana qualsiasi speranza di riscatto sociale. E' quindi inutile che la collettività si impegni in programmi educativi di massa e che investa risorse in welfare, poichè le disuguaglianze sociali sono irreversibili. Ma perchè questa tesi sia sostenibile, è ancora una volta necessario che si verifichino le quattro premesse fondamentali che abbiamo sempre incontrato fin dall'inizio di questo lungo discorso: - che l'intelligenza sia governata da un qualche fattore singolo ed unitario; - che sia misurabile e classificabile; - che sia ereditaria e determinata geneticamente; - che sia immodificabile. Se una sola di queste premesse fosse falsa, tutto l'edificio crollerebbe. Herrnstein e Murray non difesero nè discussero mai alcuna di queste basi cruciali del proprio lavoro; le diedero semplicemente per acquisite. L'unico punto sul quale si spesero fu la dimostrazione che i risultati dei test Q.I. non erano soggetti a distorsioni statistiche, per cui se la media del Q.I. dei neri era 85, e la media dei bianchi 100, la differenza poteva considerarsi attendibile e non soggetta a distorsioni sitematiche. Ma se da un secolo fior di psicometristi si dedicano a questa tecnica di misurazione, sarei ben meravigliato se si portassero dietro ancora dei difetti di metodo tali da distorcere i risultati ! Quello che The Bell Curve rifiutò di discutere è: se i neri ottengono, in media, un punteggio 85 ed i bianchi 100, è perchè i neri vivono, in media, in condizioni sociali peggiori rispetto ai bianchi ? E' questa la distorsione che ci interessa, mica i difetti statistici della misura.
Ed infine, l'esemplare dal quale, mesi fa, era partito lo spunto per tutta questa lunga revisione dell'argomento: il professor Richard Lynn, dell'Università di Dublino, che recentemente ha suscitato un pò di trambusto anche in Italia, affermando che i meridionali sono meno intelligenti degli italiani del Nord (touchè). Per lui classificare popoli e nazioni in base ai valori di Q.I. è una vera passione. Nel suo libro più famoso, IQ and the Wealth of Nations (2002), fa discendere ogni differenza di ricchezza o povertà, arretratezza o progresso, dai valori medi di Quoziente di Intelligenza nazione per nazione. Vale la pena solo di fare un paio di osservazioni metodologiche: Lynn classifica in base al loro Q.I. medio 185 Paesi; i dati realmente disponibili erano 81. Per le altre 104 nazioni, il valore viene o estrapolato per altre vie, o ottenuto come media tra i paesi confinanti (per alcuni dei quali, si deve presumere, a sua volta il dato sarà stato ottenuto nello stesso modo).
Prima osservazione: se qui, invece che di Quoziente di Intelligenza, si parlasse di produttività delle vacche da latte, nessuna rivista di zootecnia avrebbe mai accettato di pubblicare dati ottenuti in questa maniera.
Seconda osservazione: il metodo con cui i dati mancanti sono ottenuti, presuppone che ci sia una relazione tra gruppi etnici, o comunque geograficamente vicini, e loro valori di Q.I., che è la tesi che si vorrebbe dimostrare; la circolarità della dimostrazione non interviene, come spesso capita, nell'interpretazione dei risultati, ma addirittura nella loro produzione, nel senso più etimologicamente stretto di "pre-giudizio".
Ma questi sterili esercizi di classificazione dell'umanità per gruppi di valore, di tanto in tanto porta almeno qualche nota positiva.
Ad esempio, per i "fatidici 15 punti di Q.I."; si finisce per scoprire che i 15 punti di differenza media, in realtà ricorrono abbastanza spesso.
Di 15 punti è aumentato il Q.I. medio in alcune nazioni nei 40 anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, in parallelo al miglioramento delle condizioni generali di struttura sociale ed istruzione; e 15 punti è la differenza di Q.I. medio tra cattolici e protestanti nell'Irlanda del Nord, a favore dei protestanti (1). I nordirlandesi cattolici e protestanti non sono due gruppi etnici diversi: a meno che non si voglia sostenere che la setta religiosa sia determinata geneticamente, non sarà il caso di riconoscere che i 15 punti di Q.I. siano un retaggio più o meno standardizzato che caratterizza i gruppi socialmente svantaggiati ?
(1): Jacoby R. e Glauberman N.: The Bell Curve Debate. Times Books, New York, 1995.
Inoltre la g, l'"intelligenza generale" di Spearman resuscitò ancora più volte: nel 1969, Arthur Jensen pubblicò negli Stati Uniti How Much Can We Boost I.Q. and Scholastic Achievement ? che suscitò scalpore poichè suonò come una dimostrazione definitiva della minore intelligenza innata dei neri, con 15 punti di scarto rispetto alla media dei bianchi (ricordarsi sempre di storicizzare per meglio comprendere il contesto nel quale certe affermazioni fanno presa sull'opinione pubblica: siamo in piena battaglia per i diritti civili, e Martin Luther King è stato assassinato da pochi mesi); nel suo lavoro la g risplendeva come il faro che illumina l'universo: addirittura potrebbe essere la misura di valore non solo degli umani, ma di tutti i viventi, ovviamente disposti in una scala lineare dal basso all'alto. Sentitelo qui:
"Le caratteristiche comuni dei test sperimentali sviluppati dagli psicologi comparati, che in gran parte distinguono chiaramente, diciamo, i polli dai cani, i cani dalle scimmie e le scimmie dagli scimpanzè, indicano che sono ordinabili grosso modo lungo una dimensione g (...) La g può esser vista come un concetto interspecie con una larga base biologica che culmina nei primati."
Su queste visioni caricaturali dell'evoluzione come una scala lineare di progresso ho già scritto in passato, e questo caso è tra i più imbarazzanti che abbia mai incontrato. Jensen raccolse tutti gli errori possibili che abbiamo incontrato ripetutamente in questa serie di sei storie di determinismo: la reificazione (in questo caso, galoppante) della g di Spearman da astrazione matematica a funzione mentale reale; la classificazione di entità complesse (le persone) lungo una scala lineare sulla base di un singolo valore numerico; l'errore di categoria di utilizzare i determinanti causali delle differenze entro gruppi per spiegare le differenze tra gruppi (l'ereditabilità dei valori di Q.I. entro gruppi per asserire basi genetiche alle differenze tra bianchi e neri); la confusione tra "ereditario" e "ineluttabile e non modificabile".
Ma non indovinate quali siano i dati più solidi sull'ereditabilità del Q.I. sui quali Jensen si basa ? Ancora una volta, gli studi fasulli sui gemelli identici di Burt: la frode verrà scoperta solo qualche anno più tardi.
Trovate qui una replica alle critiche di Gould nella quale Jensen, a mio avviso, si dà la zappa sui piedi più di una volta.
Nel 1994 la g resuscitò ancora, quando Richard Herrnstein e Charles Murray pubblicarono, tra grandi fanfare, The Bell Curve; nonostante la pervasiva pubblicità che lo ha accompagnato, anche questo testo non presentava alcuna tesi nuova rispetto a quanto già visto, rivestendo i vecchi pregiudizi in una cornice statistica più moderna, utilizzata però con evidente malafede: si nasconde la debolezza delle correlazioni, si tacciono dati contrari perfettamente noti e disponibili, e così via. The Bell Curve ebbe pen poco valore accademico, e fu nient'altro che la perorazione di una causa: le inuguaglianze sociali sono giustificate dall'accumularsi negli strati più bassi della società degli individui intellettualmente meno dotati, che trasmettono i loro geni scadenti alla propria discendenza; e i neri sono gravati di quei fatidici ed ineluttabili 15 punti in meno, in media, di Q.I. rispetto ai bianchi che rendono vana qualsiasi speranza di riscatto sociale. E' quindi inutile che la collettività si impegni in programmi educativi di massa e che investa risorse in welfare, poichè le disuguaglianze sociali sono irreversibili. Ma perchè questa tesi sia sostenibile, è ancora una volta necessario che si verifichino le quattro premesse fondamentali che abbiamo sempre incontrato fin dall'inizio di questo lungo discorso: - che l'intelligenza sia governata da un qualche fattore singolo ed unitario; - che sia misurabile e classificabile; - che sia ereditaria e determinata geneticamente; - che sia immodificabile. Se una sola di queste premesse fosse falsa, tutto l'edificio crollerebbe. Herrnstein e Murray non difesero nè discussero mai alcuna di queste basi cruciali del proprio lavoro; le diedero semplicemente per acquisite. L'unico punto sul quale si spesero fu la dimostrazione che i risultati dei test Q.I. non erano soggetti a distorsioni statistiche, per cui se la media del Q.I. dei neri era 85, e la media dei bianchi 100, la differenza poteva considerarsi attendibile e non soggetta a distorsioni sitematiche. Ma se da un secolo fior di psicometristi si dedicano a questa tecnica di misurazione, sarei ben meravigliato se si portassero dietro ancora dei difetti di metodo tali da distorcere i risultati ! Quello che The Bell Curve rifiutò di discutere è: se i neri ottengono, in media, un punteggio 85 ed i bianchi 100, è perchè i neri vivono, in media, in condizioni sociali peggiori rispetto ai bianchi ? E' questa la distorsione che ci interessa, mica i difetti statistici della misura.
Ed infine, l'esemplare dal quale, mesi fa, era partito lo spunto per tutta questa lunga revisione dell'argomento: il professor Richard Lynn, dell'Università di Dublino, che recentemente ha suscitato un pò di trambusto anche in Italia, affermando che i meridionali sono meno intelligenti degli italiani del Nord (touchè). Per lui classificare popoli e nazioni in base ai valori di Q.I. è una vera passione. Nel suo libro più famoso, IQ and the Wealth of Nations (2002), fa discendere ogni differenza di ricchezza o povertà, arretratezza o progresso, dai valori medi di Quoziente di Intelligenza nazione per nazione. Vale la pena solo di fare un paio di osservazioni metodologiche: Lynn classifica in base al loro Q.I. medio 185 Paesi; i dati realmente disponibili erano 81. Per le altre 104 nazioni, il valore viene o estrapolato per altre vie, o ottenuto come media tra i paesi confinanti (per alcuni dei quali, si deve presumere, a sua volta il dato sarà stato ottenuto nello stesso modo).
Prima osservazione: se qui, invece che di Quoziente di Intelligenza, si parlasse di produttività delle vacche da latte, nessuna rivista di zootecnia avrebbe mai accettato di pubblicare dati ottenuti in questa maniera.
Seconda osservazione: il metodo con cui i dati mancanti sono ottenuti, presuppone che ci sia una relazione tra gruppi etnici, o comunque geograficamente vicini, e loro valori di Q.I., che è la tesi che si vorrebbe dimostrare; la circolarità della dimostrazione non interviene, come spesso capita, nell'interpretazione dei risultati, ma addirittura nella loro produzione, nel senso più etimologicamente stretto di "pre-giudizio".
Ma questi sterili esercizi di classificazione dell'umanità per gruppi di valore, di tanto in tanto porta almeno qualche nota positiva.
Ad esempio, per i "fatidici 15 punti di Q.I."; si finisce per scoprire che i 15 punti di differenza media, in realtà ricorrono abbastanza spesso.
Di 15 punti è aumentato il Q.I. medio in alcune nazioni nei 40 anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, in parallelo al miglioramento delle condizioni generali di struttura sociale ed istruzione; e 15 punti è la differenza di Q.I. medio tra cattolici e protestanti nell'Irlanda del Nord, a favore dei protestanti (1). I nordirlandesi cattolici e protestanti non sono due gruppi etnici diversi: a meno che non si voglia sostenere che la setta religiosa sia determinata geneticamente, non sarà il caso di riconoscere che i 15 punti di Q.I. siano un retaggio più o meno standardizzato che caratterizza i gruppi socialmente svantaggiati ?
(1): Jacoby R. e Glauberman N.: The Bell Curve Debate. Times Books, New York, 1995.
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