giovedì 8 settembre 2011
Nanotecnologie dal Mesozoico
Gli adesivi che noi umani siamo abituati ad usare sono o forti, e difficili da staccare (chiunque abbia malaccortamente fissato oggetti con nastro adesivo da pacchi applicato direttamente sulla loro superficie, ad esempio durante un trasloco, continuerà a vederne le conseguenze per tutta la vita); o facili da rimuovere, ma deboli (come i post-it). Inoltre, mentre le caratteristiche positive sono alternative, quelle negative sono cumulabili: i cerotti che non tengono non mancano di esercitare ugualmente la loro lacrimevole vendetta sui nostri peli superflui quando vengono rimossi.
Si attaccano a se stessi: dopo aver tagliato un pezzo di nastro adesivo esattamente della misura giusta, farlo accidentalmente ripiegare su di sè è una disgrazia forse non gravissima, ma sicuramente irrimediabile. I migliori nastri adesivi, inoltre, manifestano le loro preferenze per incollarsi a polvere, segatura e quant'altro possa renderli inservibili. E riattaccare un nastro adesivo una volta staccato è plausibile quanto godersi la solitudine in spiaggia la settimana di ferragosto.
Tuttavia, esiste qualcosa che da 100 milioni di anni, quando gli antenati dei nostri fabbricanti di collanti erano ancora esseri simili a ratti che conducevano una timida vita notturna frugale e molto riservata, è in grado di attaccarsi con forza a qualsiasi tipo di superficie, e staccarsene facilmente per tornare a riattaccarsi con la stessa efficienza un passo più avanti, e così via all'infinito.
Inoltre, non si appiccica accidentalmente dove non deve, e se si sporca su una superficie polverulenta, mantiene ugualmente gran parte della sua adesività, e in più si ripulisce da sè nel giro di pochi altri cicli di adesione-distacco su un substrato pulito.
A causa della semplicità quasi irridente con cui questi animali possono andarsene a spasso su pareti verticali e soffitti, il piede del geco è una struttura che ha incuriosito l'umanità da sempre, per la sua capacità di aderire solidamente a qualsiasi superficie, potendo però staccarsene con facilità sufficiente per consentire una corsa a un metro al secondo o anche più.
Il comune geco mediterraneo che vedete in alto l'ho fotografato in condizioni di tutto comodo: su carta da parati in parete verticale, fin troppo facile. Aveva preso alloggio all'interno della cupolina capovolta che copre gli attacchi dei fili del lampadario, la quale non aderisce perfettamente al soffitto. Per qualche giorno ha abitato lì dentro, e dava il meglio di sè la sera andandosene in giro per il soffitto in caccia di zanzare ed altri insetti. Poi, finito il campeggio indoor, ha deciso di tornare a vivere all'aperto.
E questi simpatici animaletti devono divertirsi un mondo a guardare noi terricoli sottosopra, perchè sembra che abbiano sdegnosamente rifiutato sostanziali cambiamenti evolutivi da 100 milioni di anni, epoca alla quale risale il fossile più antico, ritrovato in Myanmar e molto simile alle specie attuali. Sopravvissuta alla grande estinzione di massa che ha spazzato via oltre il 90 % delle specie viventi 65 milioni di anni fa, compresa la gran parte dei rettili allora dominanti, la famiglia dei Geconidi oggi comprende circa 2000 specie distribuite nei climi caldi in tutto il mondo. A differenza di quasi tutti gli altri rettili, sono prevalentemente di abitudini notturne.
Negli ultimi due secoli si sono discusse e avvicendate un pò tutte le ipotesi possibili per spiegare questa straordinaria capacità di arrampicarsi sugli specchi in senso letterale: produzione di sostanze collose, funzionamento delle dita come ventose, tensione superficiale dell'acqua, elettricità statica, forze capillari, forze di Van der Waals, ed altro ancora.
Haas, nel 1900, fu il primo ad osservare che l'adesione delle dita del geco era dipendente dal carico, e si manifestava per una sola direzione di forza applicata: lungo l'asse del dito, prossimalmente (cioè dalla periferia verso il centro del corpo), ma questo ancora non bastava a discriminare fra i diversi possibili meccanismi.
A partire dagli anni '70 quasi tutte le ipotesi sono state smentite man mano che nuove osservazioni si accumulavano. Oggi sappiamo che le lamelle parallele che i gechi possiedono sotto le dita alloggiano fitte file di sottilissimi filamenti, chiamati setae, lunghi circa 0,1 mm (il che fa naufragare l'dea della ventosa, che non potrebbe certo funzionare con tutti quei peli in mezzo), e sottili 4-5 micron (per dare un'idea: un capello è spesso 50-80 micron), che si ramificano verso l'estremità, e terminano in una ulteriore ramificazione arborescente e sottilissima, di forma più o meno triangolare, chiamata spatola. Le sete sono di cheratina, la proteina della pelle di cui sono fatti anche capelli ed unghie (e, nel caso dei rettili, squame): niente di particolarmente sofisticato. Il trucco sta nel numero: siamo nell'ordine delle decine di migliaia per millimetro quadrato; 1-2 milioni di sete per piede.
Nella figura in bianco e nero, in C si vedono le fitte file di sete, con le spatole che appaiono come palette piatte; in D la singola seta, con la spatola che risulta essere in realtà una fitta ramificazione terminale. Quando il piede è sollevato e scarico, i filamenti in D sono orientati approssimativamente così rispetto ad una superficie di appoggio corrispondente al bordo sinistro della figura (la figura F non c'entra nulla: rappresenta un primo tentativo, da parte di chimici frustrati, di produzione sintetica di un adesivo geco-simile, con risultati, a quanto si dice, così così).
Al geco basta appoggiare il piede per schiacciare le sete sulla superficie, e poi tirare leggermente verso di sè: in questo modo mette in tensione le sete ed allinea le spatole tutte nella stessa direzione, strisciandole sulla superficie di appoggio: i milioni di filamenti sottilissimi sviluppano un attrito enorme.
Ma non è solo frizione la forza che sostiene l'animale nelle sue passeggiate capovolte, c'è una vera e propria adesione.
Una volta escluso che la tensione superficiale dell'acqua abbia un ruolo (l'efficacia delle sete è indipendente sia dall'umidità ambientale sia dalla natura idrofila o idrofoba della superficie), di tutte le ipotesi discusse, quella che rimane in piedi oggi è quella delle forze di Van Der Waals come base fisica dell'adesione. Si tratta di forze di attrazione molto deboli, più o meno indipendenti dalle caratteristiche chimiche delle molecole ma uniformi per tutta la loro lunghezza, che diventano quindi rilevanti solo per molecole di grandi dimensioni con una geometria sufficientemente regolare da permettere un appaiamento stretto per una lunghezza sufficientemente estesa (1). Quindi, anche la banale cheratina, opportunamente distesa e stirata, può esercitare l'inconsueto ruolo di collante.
E poichè la forza di attrazione è unitariamente debole, e dipende dalla geometria più che dalla chimica, ecco che anche il distacco diventa facilissimo: al geco basta spostare il piede distalmente (cioè allontanarlo da sè) per alterare l'allineamento delle sete e sollevarlo senza fatica: una volta che le sete formano un angolo di 30° con il substrato, anche le sottili ramificazioni delle spatole perdono contatto. Tutta la fase di distacco del piede dalla superficie di appoggio richiede circa 15 millisecondi.
E si può spiegare anche come polvere e sporco, tendendo probabilmente a "rotolare" e a perdere facilmente la posizione di appaiamento, abbiano poca tendenza a rimanere attaccati alle spatole, e vengano facilmente persi, lasciando il piede sempre pulito.
Di potenziale adesivo ce n'è largamente in avanzo, dato che, in funzione della rugosità delle superfici, non tutte le sete potranno essere disposte in modo corretto ad ogni appoggio del piede; ma se 6-7 milioni di sete (un numero normalissimo per un geco tokay, la specie più studiata) riuscissero tutte ad orientarsi in modo ottimale, i quattro piedi del geco potrebbero sostenere oltre 130 Kg (!) su una parete verticale.
L'ultimo aggiornamento alle conoscenze su questi rettili autoadesivi è stato pubblicato un paio di settimane fa: si è scoperto che i gechi lasciano in realtà delle tenuissime impronte; ed i chimici, che sono ormai in grado di analizzare quantità incredibilmente piccole di qualsiasi cosa, hanno trovato che si tratta di residui di fosfolipidi, cioè di sostanze grasse. E' molto poco plausibile che la loro tensione superficiale possa esercitare un ruolo nell'adesione, dato che è molto più bassa di quella dell'acqua; trattandosi di molecole lunghe e con tendenza a disporsi allineate, è invece molto probabile che esaltino il ruolo delle forze di Van Der Waals.
La beffa per i nostri adesivologi umani è che le forze di Van Der Waals sono alla base anche di tutti i collanti sensibili alla pressione, quali appunto scotch, cerotti, nastri adesivi, ecc: si tratta di polimeri viscosi le cui lunghe molecole vengono schiacciate sulla superficie di destinazione con una leggera pressione. Ma lo fanno disponendosi a caso in tutte le direzioni: quello che ai nostri inventori è mancato e i rettili hanno avuto in dono dall'evoluzione è stata l'idea della "colla anisotropa", che cioè funziona sotto tensione in una direzione specifica. Ed è questo che, nonostante la grande efficienza dell'adesione, rende facile il distacco esercitando una forza molto piccola nella direzione contraria.
Ed è sempre da questo elementare segreto che derivano anche gli altri vantaggi collaterali: l'adesivissimo piede del geco non è affatto adesivo a riposo, e lo diventa solo quando viene appoggiato e tirato su qualcosa; difficilmente può quindi attaccarsi accidentalmente in modo indesiderato; ed inoltre non si attacca a se stesso; se il geco avesse apprezzato questo post, potrebbe benissimo applaudirlo senza alcun rischio di rimanere con le manine attaccate.
(1): Kellar Autumn and Nick Gravish
Gecko adhesion: evolutionary nanotechnology
Philosophical Transactions of The Royal Society A, 2008, vol. 366, pag. 1575-1590.
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Le zampette di questi rettili mi hanno sempre affascinato... Ma a quanto pare non sono il solo.
RispondiEliminaLa sapevi questa?
Più o meno sì, nel raccogliere informazioni per questo post avevo letto che ormai si stanno moltiplicando i tentativi di imitazione "sintetica"...
RispondiEliminaEcco un nuovo tentativo di imitazione, questa volta robotizzato: http://punto-informatico.it/3325061/PI/News/canada-si-muove-geco-robotico.aspx
RispondiEliminaciao