"Dopo Altamira, tutto il resto è decadenza."
Attribuita a Pablo Picasso
Molti, quando ammirano la precisione e la bellezza dei dipinti rupestri delle grotte di Lascaux (15-20 mila anni fa) o di quelli, coevi se non più antichi, di Altamira, hanno una reazione di meraviglia per il fatto che degli uomini "così primitivi" potessero avere espressioni artistiche tanto perfezionate.
E' uno dei tanti retaggi del concetto di progresso ineluttabile che ha pervaso la maggior parte delle esposizioni divulgative dell'evoluzione, ed anche della nostra generale incapacità di farci un'idea della scala temporale della storia della natura.
Per cui sembra, intuitivamente, che gli uomini del Paleolitico dovessero essere magari ancora un pochino simili a scimmie (pelosi ? Ingobbiti in avanti per scarsa abitudine alla posizione eretta ?) e comunque, in qualche misura, "meno umani" di noi, essendo, nella nostra concettualizzazione, così lontani nel tempo.
Ma in realtà quegli uomini che dipingevano nelle caverne eravamo già noi; se avessero avuto il tempo di accumulare cultura sufficiente per costruire un computer, sarebbero stati perfettamente in grado di usarlo; e nulla avrebbe impedito ad uno di quei cavernicoli particolarmente talentuoso, di comporre una sinfonia, se non la mancanza di strumenti musicali e di canoni armonici codificati (ne abbiamo la controprova in quanti si scatenano oggi nelle discoteche trovando esaltanti delle sonorità che forse sarebbero state valutate come mediocri già nell'età della pietra).
Per quanto l'evoluzione continui il proprio lavoro in modo continuo ed impercettibile, non ci sono stati cambiamenti sostanziali nella struttura anatomica e nelle capacità intellettuali di Homo sapiens, da quando la nostra specie si è separata dalle sue consorelle, poche centinaia di migliaia di anni fa; ed il desiderio di raffigurare il proprio mondo, e gli elementi di maggiore interesse per la propria esistenza, quali gli animali catturati o che si spera di riuscire a cacciare nella prossima battuta, non era 20000 anni fa per nulla dissimile da quello che in qualche modo anima chiunque di noi quando prende in mano una matita o un pennello o, con minori aspirazioni e abbondante pigrizia, scrive su un blog.
Quindi lo stupore per le espressioni artistiche di nostri simili vissuti solo qualche decina di migliaia di anni fa (cioè praticamente ieri) è un artefatto dato dalla nostra percezione un pò distorta della storia della vita: quegli uomini non avevano nulla di biologicamente diverso da noi, e dovremmo stupirci del loro talento tanto quanto per quello degli artisti di oggi (al netto degli strumenti tecnici a disposizione: l'evoluzione culturale, quella sì che procede velocemente); così come ci indispettiamo per le innumerevoli dimostrazioni di grettezza intellettuale dei nostri modernissimi interlocutori quotidiani.
Più spiazzante può risultare l'interpretazione delle espressioni artistiche (?) di animali differenti dall'uomo.
Ho sentito parlare per la prima volta di Congo solo pochi giorni fa. Congo (1954 - 1964), morto di tubercolosi all'età di 10 anni, era uno scimpanzè dello zoo di Londra, studiato dal celebre antropologo Desmond Morris.
All'età di due anni gli vennero offerti una matita ed un foglio di carta; Congo rimase per qualche secondo sorpreso della traccia che quel bastoncino lasciava sul foglio, poi verificò che il fenomeno si ripetesse, e da lì iniziò la sua carriera. In breve dimostrò di saper disegnare dei circoli, e più tardi passò alla pittura.
Morris assicura che Congo aveva una cura meticolosa nella scelta dei colori, ed un senso spiccato dell'equilibrio della composizione. Privilegiava figure variopinte che si irradiavano da un elemento centrale (un punto o una linea), e se si aggiungeva una macchia da una parte, lui subito provvedeva a disegnare qualcos'altro dalla parte opposta, come se volesse mantenere una certa omogeneità dell'insieme, che manteneva sempre ben centrato all'interno del foglio. E' difficile pensare che volesse raffigurare qualcosa; presumibilmente il suo gusto stava nell'azione del dipingere in sè, più che nel voler esprimere alcunchè; se si cercava di interromperlo mentre era all'opera s'infuriava, ma una volta finito un disegno, semplicemente non se ne curava più e smetteva di averne qualsiasi interesse; e se gli si riproponeva un dipinto precedente per aggiungervi qualcosa, rifiutava; quindi pare che avesse in mente una sua distinzione ben chiara tra l'opera in corso e il lavoro concluso e finito. Possiamo per questo immaginarci una certa "progettualità" ? Comunque sia, non riceveva premi per i suoi disegni; disegnava perchè gli piaceva, non ricavandone nessuna utilità pratica: dovremmo quindi concludere che lo trovava bello.
E se riconosciamo a Comgo un qualche "senso artistico", dobbiamo anche accettare di perdere una delle ultime presunte peculiari "unicità" che la nostra specie pretende di accampare per rivendicare un posto speciale e distinto nella natura.
Seguendo il filone, ho trovato anche elefanti che hanno imparato a dipingere (qui lo stile è giocato tutto su intrecci e parallelismi di linee, con prevalenza di elementi verticali); ma in questo caso, essendoci sotto il "business" (i quadri sono in vendita, e non costano neanche poco), non so quanto i simpatici proboscidati siano stati semplicemente addestrati a pennellare linee su una tela, o fino a che punto seguano la propria "libera ispirazione".
Anche la storia artistica di Congo, per altro, ha avuto un esito recente piuttosto clamoroso dal punto di vista affaristico: ci arriviamo tra un attimo. Intanto, quando era in vita, lo scimpanzè pittore ricevette visite illustri di ammiratori di prim'ordine: Mirò volle barattare due propri disegni per uno di Congo; Picasso rimase stupefatto, e si dice abbia acquistato un suo dipinto; su Salvador Dalì ebbe l'effetto di ispirarne la proverbiale vis polemica nei confronti dei colleghi (che peraltro non aveva bisogno di stimoli particolari): "La mano di questo scimpanzè è quasi umana; la mano di Jackson Pollock è del tutto animale !"
Nel 2005, per la prima volta, tre dipinti di Congo furono messi all'asta da Bonham, e venduti ad un collezionista di arte contemporanea di Los Angeles, un certo Howard Hong, per 26000 dollari.
Nella stessa asta, un dipinto di Andy Warhol rimase invenduto.
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