sabato 31 marzo 2018

Le vie della nomenclatura sono finite

"Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. L'uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per l'uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui."
[Genesi 2:19-20]


La nomenclatura biologica segue il sistema binomiale introdotto nella decima edizione del suo Systema naturae da Carl von Linnè (italianizzato, secondo l'uso del tempo, in Carlo Linneo) nel 1758. Ogni specie è identificata da due nomi, in latino, che era la lingua universale per gli scienziati dell'epoca: Il primo, il nome generico, è quello del raggruppamento di specie più strettamente affini fra loro (Linneo credeva di classificare la creazione di Dio e non aveva idea di legami di parentela e discendenza da antenati comuni tra le specie), è un sostantivo e si scrive sempre con l'iniziale maiuscola; il secondo, il nome specifico, si scrive sempre minuscolo ed è di norma o un aggettivo o un sostantivo di solito declinato al genitivo, in riferimento al primo descrittore della specie o altri personaggi di rilievo, oppure alla collocazione ecologica, o ad altre caratteristiche della specie. Esempi: Eudorcas thomsonii (gazzella di Thomson), Sarcoptes scabiei (acaro della scabbia); Dendropsophus ozzyi si chiama così non perché il cantante Ozzy Osbourne si sia mai occupato di tassonomia degli anfibi, ma perché si tratta di una rana che gracida con voce potente e acuta (e forse poco melodiosa).
Va da sè che tutte le specie appartenenti allo stesso genere avranno lo stesso nome generico e differiranno per il nome specifico: Helianthus annuus (girasole), Helianthus tuberosus (topinambur). Se nel discorso il genere è già stato nominato e non esiste possibilità di equivoco, si può abbreviare il nome generico alla sola iniziale puntata, ma non si può mai abbreviare il nome specifico: potrei quindi ora parlare di H. tuberosus, mentre Helianthus t. sarebbe invece un erroraccio sanzionabile con matitona blu grossa grossa infilata vi spiego poi dove. I nomi latini delle specie vanno infine scritti in corsivo o, almeno, sottolineati.

Joachim Neumann fu un musicista tedesco della seconda metà del Seicento. Se la sua fama è oggi piuttosto nebulosa, egli fu un'autentica celebrità per i suoi contemporanei, che apprezzarono enormemente i suoi inni sacri destinati alla liturgia protestante e calvinista (forse non avrebbe duettato volentieri con il citato Ozzy, diciamo). Neumann era di Brema, ma trascorse l'ultima parte della sua vita a Dusseldorf, dove aveva ottenuto un prestigioso incarico di insegnamento.
Dusseldorf, la sua città di adozione, ha significato letterale di "porta del Dussel"; e che cosa sarà mai dunque questo Dussel ? E' un fiumiciattolo, affluente di destra del Reno, che si tuffa nel grande fiume appunto nel luogo in cui sorge la città. Joachim Neumann adorava passeggiare lungo la valle del Dussel, dove traeva dall'osservazione della natura ispirazione per le sue composizioni. E tale era la passione del musicista per quella vallata, e tanta era la sua fama, che dopo la sua morte si decise di intitolare a suo nome l'intera valle. Oggi siamo abituati a cantanti che adottano nomi d'arte, e io ho il sospetto che più scarso sia il talento, più volentieri ci si presenti al pubblico sotto falso nome, ma forse è solo la mia incurabile cattiveria a farmelo pensare. Meno ovvio ci potrebbe sembrare l'uso di nomi d'arte nel XVII secolo; ma in un clima culturale dominato non tanto dal movimento artistico del neoclassicismo, ma da una vera psicopatologia ossessiva per l'estetica neoclassica, capace di produrre capolavori quali "L'incoronazione di Poppea" di Monteverdi, immortali (nel senso della durata dell'opera) e indimenticabili (nel senso che rimanere chiusi in un teatro ad ascoltare per sei ore le nenie del "recitar cantando" dev'essere un'esperienza che segna per la vita), il non rifarsi ad ascendenze e canoni della romanità o, meglio ancora, dell'ellenismo, avrebbe reso dozzinale qualsiasi realizzazione artistica, per quanto ambiziosa; Neumann non firmava dunque le sue composizioni con il suo vero cognome ma, seguendo l'uso introdotto già da suo nonno, a sua volta musicista, ne presentava una versione grecizzata. La forma greca scelta dai Neumann non fu affatto banale: l'"uomo nuovo" del cognome non venne interpretato in senso "antropo-generico", ma "andro-specifico": il Neumann tedesco diventava in greco "nuova persona di sesso maschile", cioè Neander. Scelta in qualche modo anticipatrice della formula egualitaria del secolo successivo "gli uomini sono tutti uguali", che nella sua formulazione originaria nascondeva un non detto, taciuto non si sa se per vergognoso pudore o perché dato per scontato: "gli uomini sono tutti uguali, e le donne un paio di gradini più sotto". Ancora i razzisti della fine dell'Ottocento si impegnavano in accuratissime discussioni per dirimere la questione se le donne valessero qualche cosa di più o qualche cosa di meno rispetto ai negri. Fuori concorso evidentemente le donne negre.
Fatto sta che il celebre artista Neumann/uomo-nel-senso-di-maschio nuovo/Neander ebbe ribattezzata in suo onore la valle del fiume Dussel, chiamata pertanto Neanderthal. E fu proprio lì, in una cava molto più a monte di dove presumibilmente Neumann/Neander andava a passeggiare, che la "valle dell'uomo nuovo" vide emergere alla luce, nel 1856, il primo scheletro fossile di un uomo vecchio.
Tre anni prima della pubblicazione dell'Origine delle Specie di Charles Darwin solo poche minoranze erano culturalmente predisposte alla possibilità di specie umane diverse dalla nostra, e quello scheletro così indiscutibilmente umano, ma con ossa così insolitamente robuste e massicce e quel cranio basso, dalla fronte sfuggente e tanto elongato verso l'indietro era un rebus. Tutte le ipotesi seguenti furono proposte con piena serietà: poteva essere lo scheletro di un rachitico (ossa troppo grosse); oppure lo scheletro di un cretino (fronte troppo bassa); oppure, se non era un cretino, forse era un polacco (i tedeschi, su certe cose, sono alquanto inguaribili); o infine, poteva essere uno che soffriva di dolorosissime emicranie, e a forza di massaggiarsi continuamente la fronte aveva deformato il cranio in quella maniera. Non c'erano ancora metodi affidabili per risalire a una datazione, e si poteva solo intuire che fosse uno scheletro antico, molto antico. Forse addirittura di cinquant'anni prima, un cavaliere che aveva inseguito fin sul Reno le armate napoleoniche in precipitosa ritirata dalla Russia (di qui l'ipotesi del polacco). Oggi sappiamo che quell'anzianità si può moltiplicare per circa mille, ma già intorno al 1860 si era stabilito che si trattava di una specie umana arcaica ed era stato attribuito ad essa il nome di Homo neanderthalensis.
Immagino benissimo che i conoscitori del tedesco saranno già insorti in coro, fin da molte righe più sopra, per farci notare, giustamente, che la parola tedesca per "valle" si scrive "tal" e non "thal". E' infatti vero, ma è diventato vero solo con la riforma di modernizzazione della lingua tedesca del 1904. Il nome biologico alla specie era già stato assegnato quarant'anni prima, e una volta attribuito non si può certamente modificare inseguendo gli aggiornamenti linguistici relativi alle sue origini. Quindi la valle del Dussel ove un tempo Joachim Neumann passeggiava si chiama oggi Neandertal, ma se usate la nomenclatura biologica binomiale appropriata, dovete scrivere Homo neanderthalensis; tuttavia se usate il nome comune in linguaggio discorsivo, potete scrivere uomo di neandertal o di neanderthal a vostro piacimento.
Sì, la nomenclatura a volte è tortuosa.

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