venerdì 22 marzo 2019

Strike


Venerdì scorso tutti, salvo le ultime frange di negazionisti in malafede, si era in piazza materialmente o idealmente, giovani e meno giovani, a sollecitare i governanti del mondo per provvedimenti urgenti e drastici per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Sollecitazione sacrosanta per richiedere scelte di politica energetica, di regolamentazione dell'utilizzo delle risorse naturali, di salvaguardia degli ecosistemi che competono al potere legislativo delegato ai nostri rappresentanti.
Oggi, nella tradizione ormai consolidata dei venerdì di mobilitazione, potremmo rinnovare l'impegno collettivo, fisicamente nelle piazze o anche solo idealmente, alla presa di coscienza rivolgendoci invece ai nostri comportamenti individuali, che incidono e pesano tanto quanto le grandi scelte politiche.
Scegliere di usare l'automobile il meno possibile e solo se strettamente necessario; scegliere di usare con parsimonia il riscaldamento nelle nostre case e con parsimonia ancora maggiore (meglio se niente affatto) l'aria condizionata; essere consapevoli che l'acquisto di un qualsiasi oggetto implica indurre la fabbricazione, il trasporto, eccetera, di ulteriori nuovi esemplari dello stesso oggetto: prendere coscienza dell'impatto sull'ambiente e sul clima delle merci che scegliamo di acquistare, ed evitare di comprare cazzate inutili.
Sono tutte piccole decisioni che competono a ciascuno di noi, che non hanno bisogno di essere delegate al legislatore, che ognuno è in grado di prendere e mettere in atto, che danno ciascuna un piccolo contributo al salvataggio del nostro pianeta e che moltiplicate per tutti noi pesano sulla bilancia non meno dell'intervento di un Governo. Si tratta solo di essere consapevoli.
Per essere proprio chiari chiari: il nostro obbiettivo di europei è arrivare a produrre un quinto della CO2 che produciamo oggi (in quota pro capite); quello dei nordamericani è arrivare a un decimo dell'attuale, quello dei cinesi un terzo. La sfida non è affatto semplice, ma se mai si comincia, mai si vince.
Mi si dirà: ma se si consuma di meno, l'economia va in recessione.
Certamente. Ed è qui che bisogna richiamare all'opera la capacità dei governanti. L'inevitabile recessione economica, che tanto è destinata a verificarsi per la semplice ragione che è una pretesa fisicamente impossibile quella che i consumi possano continuare ad aumentare all'infinito su un pianeta che infinito non è, va programmata, guidata e governata per ammortizzarne le ricadute su redditi e occupazione, in primo luogo appiattendo il più possibile le disuguaglianze sociali, che altrimenti diventeranno una bomba ad orologeria di conflittualità.
La recessione c'è, è già presente, e di per sé sarebbe un buon segno nel senso che in linea di massima si consuma di meno; ma risulta invece preoccupante proprio perché non è gestita: è solo il frutto indesiderato di maldestri tentativi non riusciti di rilanciare ancora una volta i consumi con politiche economiche sempre più liberiste, favoleggiando immaginari aumenti di PIL con la stessa dissennata cecità che ha guidato le stesse scelte nel secolo precedente portandoci fin qui sull'orlo del baratro. Scelte che avrebbero dovuto essere completamente capovolte nella direzione della programmazione e strettissima regolamentazione dell'utilizzo delle risorse già da trent'anni; tutto il contrario del liberismo, che ancora viene idolatrato come un totem, che comporta inevitabilmente distribuzioni della ricchezza sempre più diseguali e che ormai richiede sacrifici umani ai suoi adoratori per essere soddisfatto.

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