giovedì 22 dicembre 2011

L'Importanza del Manager



Prenderò spunto da un articolino di Stefano Feltri (da non confondersi con l'abominevole quasi omonimo) su Il Fatto Quotidiano di ieri, intitolato: E licenziare i manager ?, che a sua volta riporta la pubblicazione Primo, licenziare tutti i manager, del professore della London Business School Gary Hamel, recentemente uscita sulla Harvard Business Review.
La tesi, in estrema sintesi, è che i grandi capitani d'azienda non possano fare molto più che danni, dato che la loro inefficienza nel prendere decisioni è garantita dalla distanza dalla prima linea della realtà operativa, che aumenta proporzionalmente al potere decisionale; e non giustifica minimamente l'enorme costo della loro retribuzione.
Come controfattuale appropriato, viene riportato il caso della Morning Star, un'industria conserviera di grande successo negli Stati Uniti che lavora pomodori, ed è interamente gestita dai lavoratori che si auto-organizzano in gruppi di lavoro spontanei a seconda del coinvolgimento di ciascuno nei compiti dell'altro, senza nessun manager.

Di sicuro il ruolo di conduzione delle imprese tende ad essere valutato moltissimo, e sempre di più: nonostante le aziende non se la passino molto bene, nel 2010 i compensi per i "top manager" sono cresciuti mediamente del 17% in Italia, e del 23% negli U.S.A. Sempre negli Stati Uniti, nel 2010 gli Amministratori Delegati delle 500 più importanti aziende quotate in Borsa hanno percepito in media emolumenti pari a 343 volte quelli di un operaio delle stesse aziende; trent'anni fa, nel 1980, lo stesso rapporto era di 42 volte. In Italia l'andamento è stato del tutto simile; nel 2010 i compensi del 10 % dei lavoratori con i compensi più bassi e quelli del 10 % con quelli più alti, erano in rapporto 1 a 243. E, calcolando anche il valore delle stock options, il costo del lavoro di un singolo Marchionne è pari a quello di 6400 (seimilaquattrocento) operai Fiat: il motivo per cui merita tale spropositata retribuzione è avere polso sufficiente per disfarsi di qualche migliaio di operai allo scopo di ridurre il costo del lavoro. C'è qualcosa che non quadra in questo discorso ? In realtà quasi nulla quadra.

Sono giustificate queste ricompense così sproporzionate ? E quanto incidono realmente le capacità di un manager nel determinare il successo di un'azienda ?
Teoricamente la risposta sarebbe semplice: basta guardare i risultati. Ma appunto per questo non è semplice affatto.

Ogni attività ha periodi favorevoli, nei quali quasi tutto "funziona", o momenti di crisi, indipendenti dalle scelte che si fanno. Molto spesso il successo o l'insuccesso sono definiti dall'epoca in cui si occupa una certa posizione più che dalle capacità. Si potrebbero raccontare migliaia di storie di grandi manager cacciati dopo alcuni anni di risultati scadenti, e dei loro successori baciati dal successo semplicemente portando avanti progetti già impostati dal predecessore; e che magari chiamati ad incarichi ancor più importanti ancora avvolti dall'aura del trionfo, lasciano l'azienda prima che vengano alla luce i disastri provocati dalle loro scelte.

All'inizio degli anni '50 un manoscritto fu sottoposto a molti editori dal padre dell'autrice, e ripetutamente rifiutato perchè "molto noioso", "tedioso resoconto di tipici litigi familiari, piccoli fastidi e adolescenti emotivi", "anche se fosse stato scritto cinque anni fa, quando l'argomento era attuale, non avrebbe avuto possibilità". Quando infine quel testo fu stampato, Il Diario di Anna Frank divenne uno dei libri più venduti al mondo.
Nell'ambito dell'editoria, come delle produzioni cinematografiche, è più facile avere delle controprove, perchè a volte l'editore o il produttore sono costretti a mangiarsi le mani vedendo un progetto da essi rifiutato portato al successo da altri, e gli esempi potrebbero essere migliaia e migliaia.
Il produttore di Hollywood David Picker disse: "Se avessi detto sì a tutti progetti che ho bocciato, e no a tutti quelli che ho accettato, le cose sarebbero andate all'incirca nello stesso modo".
In realtà, per quanto si studi e si valutino i pro e i contro di un qualsiasi progetto, è pressochè impossibile prevederne il successo a priori, se poi ci si dovrà misurare con i gusti del pubblico, e l'esito può essere legato ad una quantità enorme di variabili incontrollabili.
Le cose non vanno diversamente per chi produce elettrodomestici o pentole a pressione, ove un manico dalla forma ergonomicamente perfetta può non incontrare il gusto estetico della massaia, o il colore di una manopola può rendere più attraente un prodotto concorrente.
Questo non vuol dire che non ci siano manager più bravi di altri: si tratta di prendere decisioni, alcune di importanza vitale, altre secondarie; e in una serie di scelte, ciascuno di noi prenderà delle decisioni giuste ed altre sbagliate; alcuni saranno più bravi perchè sbaglieranno con meno frequenza di altri. Ma in quali sequenze le serie di successi e di errori si dispongano nel corso del tempo, è pressochè completamente casuale.
Una serie di scelte indovinate può garantire uno strepitoso successo per qualche anno, poi magari il semplice ritorno alla frequenza di errore "normale" (piazzandone magari qualcuno nelle decisioni cruciali) può portare al declino. E magari uno molto bravo potrebbe avere una frequenza di scelte sbagliate un pò superiore al suo standard nei primi anni, con una fase negativa destinata ad essere ribaltata in seguito, ma non potrà dimostrarlo perchè sarà silurato prima.

Il primo grafico (1) mostra i rendimenti degli 800 più importanti fondi di investimento degli Stati Uniti nel quinquennio 1991-95. Le barre nere rappresentano il rendimento maggiore o minore rispetto alla riga centrale orizzontale, che è semplicemente la media; gli 800 gestori sono ordinati da sinistra a destra dal "migliore" al "peggiore".

Se doveste investire ora i vostri risparmi per i prossimi anni, scegliereste qualcuno che si trova verso sinistra o verso destra in questa graduatoria di rendimenti ?

Ebbene, nel secondo grafico ci sono gli stessi 800 fondi, disposti nello stesso ordine da sinistra a destra, con le barre nere che rappresentano il loro rendimento nei 5 anni successivi, 1996-2000.

Se si guarda l'immagine nel suo complesso, si può notare che le barre nere tendono a stare, nell'insieme, un pochino più in alto nella parte sinistra che in quella destra della figura; quindi ci sono effettivamente dei gestori un pò più bravi di altri; ma le fluttuazioni casuali sono largamente preponderanti e rendono le differenze "sistematiche" pressochè impercettibili.

Una controprova si ebbe in un famoso e divertente esperimento condotto in Italia nel 2006. Su un tavolo fu messo un mucchio di cubetti, ciascuno con il nome di un titolo quotato in Borsa, rappresentanti l'intero indice Mibtel. Ad un simpatico macaco di cinque anni di nome Tilly, fu fatto capire che veniva premiato con una caramella ogni volta che consegnava un cubetto preso dal mucchio allo sperimentatore. In questo modo fu scelto un portafoglio di cinque cubetti, in base alle competenze economico-finanziarie del macaco (per la cronaca: Autogrill, Eni, Finmeccanica, Montepaschi e Tenaris), con cui costruire un fondo di investimento virtuale. Dopo un mese, al netto di tasse e commissioni, il fondo-macaco ebbe un rendimento dell' 1,4%, contro lo 0,7% della media dei fondi azionari italiani gestiti da operatori professionali ed esperti.

Non ho alcun dubbio che su un periodo di tempo più lungo, gli operatori professionali avrebbero dimostrato di fornire risultati migliori della scimmia (per quanto, a livello umano, le mie simpatie vadano al macaco piuttosto che ad un broker); ma è appunto il lungo termine il fattore cruciale per la valutazione delle capacità in attività soggette a forti influenze casuali nell'ottenimento dei risultati, come è la gestione delle aziende.
In realtà, occorrerebbe che ogni manager rimanesse alla guida della stessa società per 30 o 40 anni, attraversando un'adeguata serie di fasi favorevoli e sfavorevoli, per potere fare una valutazione minimamente rigorosa delle sue capacità in base ai risultati conseguiti; ma questo, evidentemente, non accade mai.

Quindi, l'idea di licenziarli tutti in blocco non è così campata in aria, specialmente se bisogna strapagarli a livelli esorbitanti. L'abbattimento dei costi sarebbe sicuro, il decadimento nei risultati no. Almeno nel breve periodo, il rapporto costi/benfici favorisce il macaco.

(1) I grafici e diverse altre informazioni sono tratti da: Leonard Mlodinow - La passeggiata dell'ubriaco - Le leggi scientifiche del caso. Rizzoli, 2010

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