mercoledì 16 febbraio 2011

L'acqua non si vende, neppure a Berlino


La città di Berlino dovrà rendere pubblici tutti i termini del contratto e gli accordi commerciali, finora tenuti "riservati", sulla cessione a due società private del 49% della società di distribuzione dell'acqua potabile, avvenuta nel 1999.
Il referendum che lo richiedeva ha vinto, pur se di misura: in Germania, perchè una richiesta referendaria venga accolta, occorre che il sì vinca, e che rappresenti almeno il 25% degli aventi diritto al voto. Se vince il no, o se non si raggiunge tale quorum, la richiesta è respinta. Ha votato il 27% dei berlinesi, con il 98,2% di sì (quindi 26,5% di sì sugli aventi diritto).
Il risultato è promettente, perchè le condizioni non erano dissimili da quelle che presumibilmente avremo in Italia al momento dei referendum sull'acqua pubblica: solo i Verdi favorevoli, con tutti gli altri partiti che invitavano a votare no o a non votare (anche la Linke, che all'epoca aveva votato contro, ma oggi è nella maggioranza che amministra la città); il dibattito volutamente ignorato dalla stampa e dai mezzi di informazione, confinato a piccoli trafiletti su quasi tutti i giornali; nessun manifesto per le strade, dato che il comitato per il sì disponeva di un budget totale di 12000 Euro, raccolti con una colletta.
Eppure la ragione ha prevalso. Dalla privatizzazione ad oggi l'acqua a Berlino è rincarata del 35%, e la municipalità incassa solo il 35% degli utili, mentre il restante 65% ingrassa i due soci di minoranza privati, grazie agli accordi "riservati" che il referendum si propone di smascherare.
I due soci privati, Veolia e Rwe, presumibilmente faranno ricorso invocando l'incostituzionalità della richiesta prodotta dal referendum: sostengono, infatti, che non si possono obbligare le società a rendere pubblici i propri "segreti commerciali".
"Segreti commerciali". Una tale difesa è la spiegazione migliore del perchè non si possono lasciare in mano a privati beni comuni vitali come l'acqua.

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