mercoledì 28 marzo 2012
Si spara a colori
Ho letto ieri questo inquietante articolo di Melanie Tannenbaum, e ci ho messo un giorno per digerirlo.
La Tannenbaum prende spunto da un fatto di cronaca nera che sta sollevando negli Stati Uniti polemiche che purtroppo sono frequentemente ricorrenti: in Florida, Trayvon Martin, uno studente di colore, è stato ucciso con un colpo di pistola da George Zimmerman, il quale, avendolo di fronte nel buio della strada, temeva che fosse armato. Trayvon teneva in mano un sacchetto di Skittles, caramelline alla frutta.
Da questo punto di partenza (il fatto in sè aveva probabilmente un fondo di premeditazione ed uno svolgimento più grave e meno casuale di questa descrizione sommaria, ma non mi ci addentrerò), viene riportato un esperimento condotto nel 2002 dallo psicologo Joshua Correll, che rivela qualcosa che tutti noi dovremmo tenere bene a mente, anche se forse preferiremmo non saperlo affatto. L'esperimento è fondato sul "Dilemma dell'agente di polizia": decidere in un attimo, senza avere tempo di riflettere, se sparare o no trovandosi all'improvviso di fronte ad una persona che potrebbe essere armata oppure no.
Per motivi analoghi e più gravi rispetto a quello sull'alimentazione che vi ho raccontato una settimana fa, l'esperimento non si è svolto in vivo, ma con una specie di videogame, e ad esso sono stati sottoposti alcuni gruppi di studenti di college americani.
Sullo schermo appariva una serie di personaggi potenzialmente minacciosi e con qualche oggetto in mano, e lo studente doveva decidere, premendo un tasto, se sparare o no, cercando di capire se la figura avesse un'arma, ma senza avere il tempo di accertarsene. Il dilemma veniva incentivato attraverso un gioco a punti: + 10 se si spara ad un personaggio realmente armato; + 5 se non si spara ad una persona disarmata; per le decisioni sbagliate, - 20 se si spara ad un inerme e - 40 se si risparmia un ceffo che invece è armato (la scusa è che questo sarebbe l'errore più pericoloso per un vero agente di polizia; in realtà la scala dei punteggi è costruita in modo da invogliare a sparare: a parità di figuri incontrati, si fanno comunque più punti sparando sempre che non sparando mai).
L'elemento che maggiormente interessava i ricercatori non è stato accennato agli studenti nella presentazione del gioco-esperimento: alcuni dei potenziali bersagli che di volta in volta apparivano sullo schermo erano negri, altri bianchi.
Esito della prova: gli studenti indovinavano più facilmente nello sparare alle figure armate se queste erano di colore; ed indovinavano più facilmente nel non sparare ai disarmati se questi erano bianchi; e, inutile dirlo, sparavano accidentalmente a persone che avevano in mano un cellulare o una lattina con più frequenza se queste erano negre rispetto ai disarmati bianchi. Fin qui, potrebbe essere triste ma non così sconvolgente: ci sono molte persone che hanno pregiudizi razziali, e possono tendere a identificare i negri come figure minacciose, con più probabilità immaginarle armate, e quindi essere motivo dell'asimmetria dei risultati.
Ma purtroppo non è così.
Gli studenti partecipanti all'esperimento possono essere raggruppati in base alle proprie convinzioni politiche, etiche, ed al proprio livello di informazione e consapevolezza sui pregiudizi razziali. Ebbene: persone razziste ed antirazziste hanno le stesse probabilità di sparare ad un negro disarmato; non sono le convinzioni e/o i pregiudizi a fare la differenza. Addirittura, anche gli studenti neri, nel gioco sparano ai soggetti neri con la stessa frequenza dei loro compagni bianchi.
Ma un fattore che consente di fare qualche previsione sulle probabilità dei risultati in realtà c'è, e incupisce ulteriormente il quadro piuttosto che chiarirlo.
E' la consapevolezza dell'esistenza di pregiudizi razziali; quanto più forte è il livello di conoscenza sui preconcetti che esistono nella società nei confronti delle persone di colore, tanto più probabilmente in quell'attimo in cui bisogna decidere, si sparerà ad un negro, indipendentemente da quanto quei pregiudizi siano condivisi o avversati.
Paradossalmente, persone del tutto ignare dell'esistenza del razzismo sarebbero quelle più equanimi nel decidere. La consapevolezza degli stereotipi culturali agisce in modo più radicale degli stereotipi stessi, e li fa emergere, all'atto della decisione istantanea e non razionale, indipendentemente dal fatto che siamo o no razzisti, o che pensiamo o non pensiamo che le persone di colore siano tendenzialmente violente.
Così, la leggerezza nel disseminare luoghi comuni e generalizzazioni, i politici che seminano odio per raccogliere voti, la sola esistenza di una foschia culturale di pregiudizio razziale può condizionare il nostro comportamento immediato, anche se contrastiamo queste derive, al punto di decidere di sparare alla raffigurazione di quei pregiudizi che vorremmo combattere.
E' il razzismo che ci si presenta come caratteristica emergente (1) della società, cioè una proprietà che si manifesta nei singoli, ma indipendentemente dalle caratteristiche individuali, come frutto delle relazioni collettive che legano la comunità.
Quasi più agghiaccianti ancora sono i commenti dei lettori, in coda all'articolo della Tannenbaum: quasi tutti precipitano nella discussione dello specifico caso di cronaca, come in un qualsiasi talk-show per massaie, e ignorano completamente la questione che riguarda ciascuno di noi: io come mi sarei comportato in quel gioco di simulazione ?
Ed uno solo, che non a caso dichiara di essere non americano, pone una questione che nella vicenda è una chiave determinante: non ci sarà prima di tutto un problema di troppa facilità di accesso al possedere armi, che ha come conseguenza il fatto che qualsiasi bullo di quartiere possa credersi Rambo e sparare addosso alla prima faccia che non gli piace ?
(1) La migliore spiegazione del concetto di emergenza l'ho trovato in Lewontin (e vattelappesca dove l'ho mai letto): gli uomini non hanno le caratteristiche per poter volare. Neanche se ci raduniamo a centinaia, e battiamo tutti assieme le braccia in modo sincronizzato, possiamo riuscire a volare. Eppure io ho volato più volte, e sicuramente molti di voi l'hanno fatto. E' la nostra società che ci permette di volare, con persone che costruiscono aerei, altre che gestiscono gli aeroporti, altre che definiscono i regolamenti, ecc... però il volare non è una caratteristica della società: la società non vola, volano gli individui.
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