martedì 10 luglio 2012

Acculturato come un Orango


Dopo lungo tergiversare, nella calura che ottunde i pensieri, riprendo, allo scopo di parlare poi di tutt'altro, un lungo articolo ("Allo specchio delle altre specie") apparso su il manifesto il 15 giugno, scritto (secondo me anche piuttosto male, con qualche concessione di troppo alla ricerca dello stupore nelle scelte lessicali) da Roberto Marchesini sulla storia del concetto di "animalità" nella nostra filosofia.
L'articolo si sviluppa sulla illustrazione di diverse correnti di pensiero emerse negli ultimi anni, tendenti a smontare l'approccio antropocentrico nel confronto tra uomo e animali che ha pervaso tutta la storia della cultura umanistica, dal mito di Prometeo ed Epimeteo in avanti.
Fino a tutto il novecento, la visione di sè dell'uomo è rimasta tutta tesa a

sottolineare la propria discontinuità rispetto al mondo animale, identificandosi in una finalizzazione ultima e speciale di un progetto della natura, la quale all'uomo andava sottoposta come bassa risorsa da sfruttare.

Il mondo animale era un insieme variegato ma indistintamente accomunato da una "mancanza di" (anima, capacità tecnica, cultura, soffio divino, ecc.).
Anche lo sfaldamento della cultura rurale nel secolo appena passato non ha sostanzialmente modificato questa nettezza di separazione, se non apparentemente: sia le antropomorfizzazioni disneyane, sia il destino di molti animali da appartamento urbani, "abbambinati" e accuditi come membri della famiglia, ma che si vorrebero in modalità stand-by come giocattoli spenti una volta messi a cuccia, sono generose concessioni di vicinanza alla superiorità umana e non riconoscimenti di un'alterità ugualmente dignitosa.

L'umanesimo occidentale, fin dalla Grecia classica, ha individuato nella cultura, nella capacità di tramandare conoscenze e tradizioni (etiche e politiche) e nella capacità di dominare la natura (uomo debole ed inerme, ma in grado di governare, apprendere e tramandare la tecnica: il fuoco di Prometeo) una discontinuità tra uomo e animali.
Solo negli ultimi anni, dopo lunghissime resistenze allo scomodo ribaltamento di visione imposto da Darwin, sembra che la tendenza degli umanisti sia invece quella di esplorare il continuum che ci lega agli altri esseri viventi.

Fin qui la filosofia. Nei fatti, se vogliamo cercare qualche traccia evidente di continuità, la troveremo più facilmente tra i più prossimi a noi: ci sono un paio di studi di pubblicazione recente che possono funzionare come apriscatole interessanti.

Nel più recente (1) un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia ha esaminato le abitudini di popolazioni adiacenti di scimpanzè della Costa d'Avorio rispetto agli strumenti scelti come martelli per aprire le noci del genere Coula, una leccornia locale. In assenza di sostanziali differenze ecologiche (disponibilità di pietre, durezza delle noci. ecc.), nè genetiche (per quelli che danno retta a tutte le panzane della stampa sulla determinazione genetica dei comportamenti: scoperta del gene del divorzio, del gene dell'alcolismo, del gene dell'omosessualità, del gene della depressione, del gene della genialità, del gene del liberalismo, ecc... piccolo campionario di "vere" notizie uscite sulle pagine scientifiche dei giornali: ne riparleremo, promesso): tra le popolazioni esaminate c'è un ampio tasso di migrazione di femmine mature, che riduce di molto la già minima variabilità genetica; le popolazioni confinanti di scimpanzè hanno sviluppato abitudini diverse nelle tecniche di apertura delle noci: scelta di martelli di legno piuttosto che di pietra nella stagione secca, quando le noci sono più dure e fragili (meno elastiche), pietre di dimensioni diverse a seconda delle dimensioni e della durezza delle noci, e così via... Si tratta, secondo i ricercatori, di usanze locali di tipo CULTURALE, trasmesse di generazione in generazione attraverso l'apprendimento.

In una pubblicazione precedente (2), Michael Krutzen, antropologo dell'Università di Zurigo, e colleghi, avevano preso in esame un ventaglio di dati comportamentali vasto come mai prima in nove popolazioni di orang-utan di Sumatra e del Borneo, evidenziando che le differenze di schemi comportamentali tra le popolazioni andavano spiegate sulla base di innovazioni locali trasmesse per via culturale.

Le popolazioni dei nostri parenti più stretti nel mondo animale sono quindi in grado di differenziarsi per ciò che potremmo tranquillamente chiamare "usi e tradizioni locali": vale a dire la capacità di sviluppare forme proprie di evoluzione culturale che non ci permettono di confinarle al rango canonico di "bestie" governate ineluttabilmente solo dai propri istinti innati.



(1) Lydia V. Luncz, Roger Mundry, Christophe Boesch. Evidence for Cultural Differences between Neighboring Chimpanzee Communities. Current Biology, 2012; DOI: 10.1016/j.cub.2012.03.031

(2) Michael Krützen, Erik P. Willems, and Carel P. van Schaik: Culture and Geographic Variation in Orangutan Behaviour, in: Current Biology, Volume 21, Issue 21, first published online: October 20, 2011, doi:10.1016/j.cub.2011.09.017

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