mercoledì 24 aprile 2013
L'Isola che c'è
Avevo letto la notizia a suo tempo, un paio di settimane fa, ma come al solito non si trova mai modo di mettersi sul pezzo tempestivamente; il "sollecito" è arrivato con un articolo, pubblicato oggi su il manifesto, della stessa Maria Cristina Finucci, artista e architetto toscana, che l' 11 aprile scorso ha organizzato presso la sede dell'Unesco la proclamazione fittizia, con tanto di bandiera e Costituzione, dello Stato Federale degli Ammassi di Spazzatura.
L'Unesco certifica il valore di patrimonio dell'umanità dei luoghi, e parimenti ne sottolinea la miseria.
Il Garbage Patch State consta di cinque aggregati galleggianti di rifiuti, principalmente plastica, due nell'Oceano Atlantico, due nel Pacifico, e uno nell'Oceano Indiano. Il più grande dovrebbe essere quello del Pacifico settentrionale, a nord delle Hawaii, esteso il doppio dell'Italia, con una profondità (pare) di trenta metri.
Rifiuti plastici che galleggiano negli Oceani e che pian piano, dove le correnti girano, si aggregano in ammassi sempre più grandi e più fitti, fino a formare isole di spazzatura alla deriva.
La plastica si degrada lentamente alla luce, ed i sacchetti, le bottiglie, i tappi, i contenitori, gli imballaggi, piano piano si frammentano a dimensioni sempre più microscopiche, mentre rifiuti sempre nuovi arrivano ad ingrossare questi quasi-territori fluttuanti, che qualsiasi Atlante Geografico Metodico che si rispetti ignora.
I frammenti di plastica finiscono per raggiungere dimensioni simili ai piccoli organismi che costituiscono il plancton, la base della catena alimentare dei mari, e in alcune aree raggiungono con esso rapporti di densità di sei a uno (6 : 1, non uno a sei: pastica 6 : plancton 1). Li mangiano i pesci, li mangiano le meduse, i loro prodotti di degradazione entrano nella catena alimentare, e nel nostro sforzo di massima produttività nello sfruttare le risorse del nostro pianeta, ce ne alimenteremo e li offriremo ai nostri ospiti come inconsapevole ripieno della nostra pietanza di pesce di cui vanteremo il pregio, direttamente proporzionale alla vicinanza all'estinzione. Gli amanti del sushi avranno il privilegio di consumare plastica cruda anzichè cotta, con qualche dubitabile beneficio per la propria salute; e poichè tale modo di mangiare è tanto trendy, ma decuplica gli scarti (il sushi mica si può fare col pesce congelato: il pescato si consuma o si butta via), avranno il merito di riciclare ulteriormente il rifiuto in chissà quante altre catene alimentari acquatiche e terrestri.
Possiamo permettercelo ? Evidentemente no. Deve fare qualcosa la società, è colpa del sistema ?
Certamente, avere legislazioni oculate e regolamenti ferrei che limtino gli abusi di imballaggi privi di qualsiasi utilità reale, se non quella di ospitare un marchio pubblicitario, potrebbe aiutare a limitare i danni. Ma ciascuno degli innumerevoli piccoli elementi che compongono quegli ammassi galleggianti di milioni e milioni di tonnellate, è entrato in mare portando su di sè le improte digitali di una mano di un singolo individuo, una persona che lo ha buttato via.
Poche questioni come quelle legate alla salvaguardia più elementare del nostro habitat (o almeno alcune di esse) sono, in fondo, tanto semplici da poter essere abbastanza facilmente riducibili ad una banale sommatoria di piccole azioni individuali.
http://www.garbagepatchstate.org
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento