mercoledì 1 maggio 2013
Lettera del Primo Maggio
Carissimi Lavoratori di Tutto il Mondo,
di unirvi non avete proprio voluto saperne, eh ? Un pò siete stati voi che vi siete lasciati sviare un pò troppo facilmente: è bastato un bel televisore nuovo che vi ha dipinto davanti agli occhi un mondo irreale, con l'esca del telequiz per prendervi all'amo e ghermirvi consapevolezza e coscienza di classe, per gettarvi nel gran paiolo del qualunquismo individualista.
Un pò, certamente, il nemico è stato abile e aveva in mano tutte le carte da giocare; ma chi l'aveva mai detto che la lotta sarebbe stata facile ?
Così, oggi tira un'aria sempre più grama; nello sviluppato Occidente essere lavoratori è ormai quasi un privilegio, con sempre più disoccupati in concorrenza per condizioni di lavoro sempre più precarie e sempre meno dignitose. E in tutti gli Est e i Sud del mondo le condizioni miserabili di lavoro sono pienamente concrete e realizzate, ed è lì che si producono le merci che consumiamo, con gran profitto delle imprese. E' il libero mercato.
Lavoratori di Tutto il Mondo, disuniti, siete in concorrenza tra di voi. E' il libero mercato.
Guardiamo pure le cose dalla nostra meschina prospettiva eurocentrica, tanto le conclusioni a cui arriveremo saranno le stesse da qualsiasi punto si inizi il discorso. Di qua, i Padroni (e chiamiamoli con il loro vero nome, una buona volta) vi chiedono patti, concertazioni, tagli, riduzione delle vostre pretese, per mantenere competitive le Nostre aziende, in nome della Salvaguardia dell'Economia Nazionale.
Ma in realtà sono quegli stessi Padroni che spostano le loro produzioni in Paesi dove possono pagare i dipendenti un dollaro al giorno, salvaguardando i propri profitti e mantenendo perpetuamente sotto il ricatto della concorrenza reciproca sia gli uni che gli altri lavoratori.
Si fa ogni sforzo per abbattere le barriere commerciali, per favorire la libera circolazione delle merci; nello stesso tempo ogni paese cerca di favorire l'accesso di investitori stranieri, e quindi anche il capitale non ha più confini nè barriere; ma quando si tratta della libera circolazione delle persone, ecco che allora si alzano le barricate contro l'afflusso degli "stranieri che ci portano via il lavoro".
Subito rimbombano le grancasse della propaganda, che vi indicano quegli ultimi della società, arrivati parti lontane della Terra, come una pericolosa insidia alla vostra sudata posizione di penultimi, alimentando un'ostilità che è la migliore garanzia di sicurezza per i privilegiati.
E gli stranieri che rimangono nel loro paese a produrre merci con paghe da fame, non "ci portano via il lavoro" ? Solo perchè non li vediamo ?
Libera circolazione delle merci ? E allora ci sia libera circolazione anche dei diritti e delle tutele.
Ci vorrebbe molto a stabilire dei dazi doganali sulle importazioni/esportazioni di merci, che variino in funzione della aderenza delle tutele sindacali a standard stabiliti a livello internazionale ? Da riversare poi su fondi per le politiche sociali ed il sostegno all'economia di sussistenza del Paese più povero ? Non credo proprio che sia un sogno, sarebbe anzi piuttosto semplice.
Ma è una prospettiva terrorizzante per i Padroni, che proprio dalle disuguaglianze ottengono i loro profitti. Figuriamoci se dovessero vendere le proprie merci ai lavoratori che le producono: dovrebbero pagarli a sufficienza per permettere loro di acquistarle. Che orrore ! Il profitto sarebbe zero.
Come diceva qualcuno che aveva capito l'antifona fin dagli albori (1), non è possibile alcuna alleanza tra lavoratori e padroni in nome del comune interesse Nazionale; più ancora che nell'ottocento, il lavoratore europeo fa oggi il proprio interesse battendosi per i diritti del lavoratore cinese o nigeriano, e non certo stringendo patti con le organizzazioni padronali della propria Nazione, che sono le stesse che operano in tutto il mondo alla ricerca del più efficiente sfruttamento possibile.
Appena una settimana fa, a Dacca in Bangladesh, è crollato un edificio di otto piani (due abusivi) che ospitava alcune fabbriche tessili; gli operai erano stati minacciati perchè si recassero ugualmente al lavoro, nonostante le crepe che avevano già cominciato ad aprirsi dal giorno prima.
In Bangladesh l'industria tessile genera i tre quarti delle esportazioni, perchè la paga minima degli operai, di appena 38 dollari al mese, mantiene le aziende competitive rispetto a quelle cinesi e vietnamite, che negli ultimi anni hanno dovuto cominciare ad aumentare i salari. Quando vi parlano di dare maggiore competitività alle imprese del vostro Paese, di questo si parla, e a questo si tende.
Gli operai (in prevalenza operaie) bengalesi morti sotto le macerie tessevano per gruppi industriali di tutto il mondo, quattro dei quali italiani, tra cui Benetton.
United Colors dello sfruttamento.
Una famosa etichetta verde tra le macerie di Dacca (Associated Press)
Per questa giornata può bastare così. Ma il discorso, nel mondo attuale, non può fermarsi a questo punto. Avrebbe potuto essere abbastanza completo per una Lettera del Primo Maggio delle prime fasi dell'età industriale, i tempi nei quali credono ancor oggi di vivere i nostri economisti; ma nel 2013 la riflessione deve necessariamente estendersi a quanto si può produrre, cosa occorre produrre e come produrlo.
A partire dal due maggio su questa pagina.
(1) M.A. Bakunin: Stato e anarchia (1873).
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