sabato 4 maggio 2013

Lettera del Quattro Maggio




Dunque, carissimi Lavoratori di Tutto il Mondo,
oggi non si tratta soltanto di difendere posti di lavoro e diritti sociali, ma di riprogettare completamente scopi, finalità e limiti di tutti i processi produttivi.
Dobbiamo imparare a fare i conti con un pianeta non infinito, con una disponibilità di risorse non illimitata. Abbiamo bisogno di consumare meno, e quindi di produrre meno; perciò c'è bisogno di fare delle scelte: produrre quello che è indispensabile, e rinunciare a sprecare energia e materie prime per fabbricare fesserie inutili. Si può lasciare questo disegno progettuale alla "mano invisibile" del libero mercato che (immaginariamente) si regola da sè ? Evidentemente no. Perchè in tal caso finiremmo per scegliere di produrre merci in funzione della disponibilità di qualcuno a pagarle anche molto, e non beni necessari alla sussistenza generale: vestitini firmati per ochette vanitose piuttosto che abiti alla portata di tutti che svolgano la propria funzione di proteggere dalle intemperie, ad esempio.
O di sfruttare il suolo agricolo per produrre i bio-combustibili che sarebbe pronto a comprare il giovin porcello dal portafogli gonfio per riempire il serbatoio del suo avventuroso SUV-Jeep-Fuoristrada-4-ruote-motrici da Esploratore di Parcheggi e Coraggioso Scorribandero delle Code Semaforiche, piuttosto che la razione quotidiana di mais che la famiglia del Terzo Mondo sarebbe in grado di pagare molto meno (e si noti, di passaggio, la doppia solenne lezione di uso appropriato del "piuttosto che").
E' una sfida molto difficile quella che ci aspetta: occorre fare scelte di pianificazione delle produzioni e dell'uso delle risorse su scala globale e sulla base delle necessità (se vogliamo, del diritto), e non del mercato, con priorità per le prime necessità: agricoltura, vestiario (vestiario, non moda: via quel luccichio dagli occhi, signora), energia da fonti rinnovabili, accesso alla conoscenza, salute, non moltissimo altro.
E intanto, produzione pianificata implica potere fare a meno dei cosiddetti Grandi Manager, in assenza di geniali strategie di mercato da inventare. E un pò di stipendi a sei zeri li possiamo cancellare dalla lista della spesa.
Ma, in definitiva, ci sarà da lavorare meno per produrre meno e consumare meno.
Non si può più alimentare l'economia di mercato con una crescita continua dei consumi; ebbene, si tratterà di trovare un nuovo punto di equilibrio con un livello di consumi molto più basso dell'attuale.

Partiamo da un controesempio: le innovazioni nelle tecnologie industriali che negli ultimi decenni hanno fatto aumentare enormemente la produttività, tra informatica, robotica, perfezionamento e sempre maggior precisone dei macchinari e degli impianti, non sono state utilizzate se non in minima parte per alleggerire condizioni ed orari di lavoro, ma quasi esclusivamente per espellere personale dall'industria, e sempre e solo per ingigantire i profitti (in compenso tali tecnologie richiedono una quantità sempre maggiore di energia che non sappiamo più dove prendere).
La strada da percorrere dovrebbe essere quella opposta: ripartire il minor lavoro tra tutti, lasciando a ciascuno sicuramente meno denaro, ma se non altro più tempo per sè stesso, con maggiori possibilità di coltivare conoscenza e relazioni, in un ambiente, sociale e materiale, meno congestionato, meno competitivo e più fruibile.
Si tratta pur sempre di governare una recessione, un impoverimento materiale: è quindi fondamentale appianare il più possibile le disuguaglianze; affrontare una simile crisi ancora con le solite ricette liberiste, e quindi a suon di competitività sregolata, è folle anche perchè esaspera le differenze sociali, e non fa che rendere esplosive le disparità di ceto.

Mi è capitato di scriverlo già in passato: uno degli effetti della globalizzazione economica è di avere riprodotto in microparcelle le disuguaglianze globali: se prima l'Occidente si manteneva ricco sfruttando un pò i propri operai, e molto di più le materie prime del Terzo Mondo lasciato nella miseria più totale, e il conflitto si evitava, almeno in parte, perchè Occidente e Terzo Mondo non si toccavano; ora invece, gli operai sfruttati sono dall'altra parte della Terra, ma i disoccupati lasciati in miseria sono qui nei quartieri urbani del ricco Occidente, a portata di scontro fisico.

Ma quale movimento o partito politico, carissimi Lavoratori di tutto il Mondo, potrebbe mai guidare un simile processo di cambiamento su scala mondiale ?

Non guardate all'Italia, perchè non abbiamo niente da offrire.
Qui da noi, lo storico Partito dei Lavoratori, dopo vari cambi di nome e di marchio ed improprie ibridazioni, è arrivato finalmente ad esprimere un Capo del Governo, dotato della stessa spiccata vocazione a non modificare nulla dell'esistente che avrebbe potuto animare le mosse di un Forlani qualsiasi.
Abbiamo tanti movimenti intelligenti e competenti su singoli temi specifici, che non riescono a trovare un punto di aggregazione e di unificazione, anche perchè ormai il Partito suddetto, che un tempo sarebbe stato un possibile interprete di tale ruolo, li rifugge come la peste, essendo più interessato alle banche che alle lotte di popolo.
C'è poi un neonato movimento popolare, condannatosi all'inutilità con l'inedita scelta extraparlamentare dentro il Parlamento, il cui programma, per la sua maggior parte, avrebbe dovuto essere quello di un qualsiasi Partito Democratico, o altra entità simile, se mai in Italia ne fosse esistita una (non certo quella informe cosa innaturale menzionata sopra); della parte restante, un pò potrebbe essere il programma di un congresso di Ufologia, e un pò potrebbe far parte del programma di Governo di una giunta militare. Inchiodato dalla fiducia cieca nella democrazia della rete, apporta delle idee, ma quello che ne risulta è un'accozzaglia di pezzi staccati, privi della coerenza d'insieme di una filosofia, di un progetto, di una visione.

Il sonno dell'ideologia genera mostri chimerici.

Nessun commento:

Posta un commento