Gentile Ministro Kyenge,
lei è una persona intelligente ed istruita, ha studiato, e conosce l'Italia da parecchi anni; quindi immagino che sapesse già in partenza a che cosa sarebbe andata incontro nell'accettare il difficile ma necessario incarico che le è stato attribuito, alla guida di un Ministero inedito nella storia d'Italia.
Adottare politiche idonee a favorire l'integrazione nel tessuto sociale di una massa di immigrati tutto sommato modesta, molto inferiore a quella degli altri maggiori Paesi, potrebbe essere quasi un ruolo di semplice sorveglianza e assecondamento di un processo spontaneo; comunità provenienti da parti lontane del mondo, con culture e tradizioni molto diverse dalle nostre, sono destinate comunque ad inserirsi nella società ospitante nel giro di poche generazioni, come è sempre avvenuto per tutti i flussi migratori in tutte le epoche storiche (e non è vero che non ce ne siano mai stati di altrettanto intensi di quelli attuali); dovrebbe essere sufficiente evitare stolte politiche di isolamento e differenziazione, o sottoporre gli immigrati ad estenuanti pratiche amministrative che sottolineano continuamente differenze e distinzioni, perchè questo processo si svolga senza troppi problemi. I figli degli immigrati non desidereranno altro che essere uguali ai figli degli italiani, giocare gli stessi giochi e praticare gli stessi costumi; non credo che avranno alcuna volontà di sentirsi "diversi". Saranno semmai le generazioni successive, se l'integrazione di quelle precedenti sarà stata pienamente riuscita, a potersi permettere il lusso di rievocare tradizioni e conoscenze proprie della terra dei propri avi, ed esporre alla nostra portata qualche variegata novità che potrebbe anche risultarci gradevole, magari già in parte riarrangiata rispetto al nostro contesto. In genere funziona così: i nipoti cercheranno di ricordare quelli che i nonni si erano sforzati di dimenticare.
Questa potrebbe essere considerata la parte più facile del suo lavoro da Ministro.
Poi viene il difficile.
Bisognerà fare ogni sforzo per portare all'integrazione nella società civile di una piccola massa di estranei, che si sentono "puri" proprio in quanto estranei; ma in realtà la loro purezza deriva soltanto dal fatto che la cultura non li ha mai intaccati nè sfiorati. Questi poveretti si bevono qualsiasi panzana, praticano riti pagani con le ampolline di acqua di fiume, si sposano davanti a druidi di qualche confusa religione antica di cui nessuno sa nulla.
Si aggrappano a miti di razze o di "identità" come se esistessero delle entità storiche fisse e immutabili. Ignorano che tutta la storia dell'umanità si è costruita camminando, ed incontrandosi, e scambiandosi brandelli di conoscenze tra genti lontane, come il mio post precedente, appena qualche giorno fa (giusto qui sotto, di seguito), ha tentato di esemplificare. Le "identità culturali" possono esistere solo in funzione della propria capacità di modificarsi in continuazione attraverso l'interscambio. Una cultura che pretenda di preservare la propria "identita", fissandola una volta per tutte non è destinata a morire, è già morta.
Questi poveracci in camicia verde, tanto quanto i loro omologhi in camicia nera, non riescono a capirlo, indottrinati da troppo facile propaganda sull'orrore delle diversità, ed occorrerà un grande sforzo di istruzione, di educazione e promozione della conoscenza per potere recuperare al consesso del vivere civile questi gruppi di disadattati.
E' per questa parte più complicata che le auguro buon lavoro, gentile signora Ministra.
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