venerdì 13 settembre 2013

Io sto con i brutti

Possiamo ragionevolmente pensare che se il WWF avesse scelto come proprio emblema qualche specie di lumaca o di polipo sull'orlo dell'estinzione, avrebbe avuto un pò meno successo nella raccolta di fondi per la protezione della natura. Come minimo, ci sarebbe voluto uno sforzo supplementare di comunicazione per fare comprendere l'importanza e l'utilità della salvaguardia di molluschi o celenterati a rischio, il loro ruolo nell'ecosistema e la gravità del danno della perdita di specie.
Eppure, l'allegro ed attraente panda gigante che occhieggia simpaticamente su magliette, cappellini e persino confezioni di prodotti commerciali (con appeal sicuramente superiore a quello che potrebbe avere un Gasteropode), trovandosi all'apice di una catena alimentare (oltretutto molto semplice), tutto sommato potrebbe anche estinguersi senza procurare gravi contraccolpi al proprio ambiente. Non mi propongo affatto di voler fare il controcorrente a buon mercato prendendomi il gusto gratuito di ferirvi con un simile luttuoso auspicio, che mai avrei intenzione di fare.
Vorrei solo spingervi a pensare per un attimo all'altissimo numero di specie di animali e di piante "brutti", poco appariscenti, poco simpatici, un pò schifosetti, o di cui semplicemente ignoriamo del tutto l'esistenza, la cui tutela ha un peso ben più significativo per la salvaguardia di interi ecosistemi, e che invece possiamo mettere a rischio di estinzione senza particolari sommovimenti emotivi.
E' stato chiamato "effetto Bambi": il Panda è così simpatico, così ciccioso, così coccolabile, così mammifero... perchè non dovrebbe venirci più voglia di proteggere lui, piuttosto che qualche oscuro, anonimo e molliccio invertebrato marino (che magari edifica intere barriere coralline che offrono alloggio e nutrimento a migliaia di altre specie) ?
Si può iper-banalizzare il principio ricorrendo al classico discorso da massaia: inorridiamo all'idea che ci sia al mondo qualcuno che mangia cani e gatti, ma consideriamo una sacrosanta tradizione le costolette di agnello per Pasqua; e una succulenta fiorentina alta quattro dita ci fa venire l'acquolina in bocca in qualsiasi stagione.
Per dirla in modo meno petulantesco: siamo vittime di una sistematica "distorsione tassonomica", quando consideriamo le altre specie che condividono con noi questo straordinario pianeta seguendo irrazionalmente i nostri criteri umani di affinità e simpatia.
Ben venga dunque il dolce orsacchiotto, se è utile ad attrarre l'attenzione di un pubblico sempre troppo distratto sul tema della conservazione delle specie e degli ecosistemi; male, invece, se le risorse, inesorabilmente scarse, a disposizione venissero monopolizzate da progetti di protezione delle specie più esteticamente "glamour", a scapito di altre meno appariscenti ma magari ecologicamente più importanti.



Vedendo per la strada questo manifesto della Lega Anti-Vivisezione, ho avuto un'evidenza lampante che l'"effetto Bambi" può essere sfruttato anche al contrario.
Un problema speculare e complementare alla conservazione è quello della diffusione delle specie alloctone invasive (alloctone = originarie di altri luoghi). Quando una specie viene importata più o meno accidentalmente in territori lontani da quello di origine, nella maggior parte dei casi non è adatta al nuovo ambiente, i pochi colonizzatori difficilmente sopravvivono, non lasciano discendenti, e la questione finisce lì.
Ma più raramente, i nuovi arrivati incontrano condizioni favorevoli, magari un habitat privo dei nemici naturali che ne limitano la popolazione nella propria area di provenienza, e prosperano, diventano invasivi e determinano forti squilibri nell'ecosistema recipiente, spesso mettendo a repentaglio l'esistenza di altre specie, o per eccesso di predazione o di parassitismo, o per competizione tra specie affini. L'intensificarsi degli spostamenti e dei commerci umani negli ultimi secoli ha fortemente ampliato questi problemi, e la lista di casi osservati in tempi storici potrebbe diventare facilmente lunghissima, anche andando solo a memoria: da cani e maiali che divoravano facilmente le uova che il dodo deponeva a terra a Mauritius, portandolo all'estinzione nel XVII secolo, alle devastazioni provocate dai conigli portati dagli europei in Australia; dall'arrivo a metà ottocento dall'America del fungo Phytophthora infestans, agente della peronospora della patata, circa un secolo dopo l'inizio della coltivazione in Europa di piante mai selezionate per resistenza a tale malattia, all'importazione in Olanda, con carichi di legname dall'Asia tropicale, di fungo ed insetto vettore della grafiosi, malattia che ha condotto alla quasi estinzione dell'olmo europeo nel '900; dall'allevamento, a partire dal 1920 circa, come animali da pelliccia, delle nutrie sudamericane, che oggi in libertà danneggiano argini di fiumi e canali in tutta Europa, all'ambrosia nordamericana, arrivata in Europa con i semi contenuti in alcuni mangimi per uccellini da gabbia, e diventata in pochi decenni una pianta infestante tra le più frequenti cause di allergie; si potrebbe continuare a lungo, con il pesce siluro, la zanzara tigre, la trota iridea nordamericana, introdotta perchè facile e redditizia da allevare, che oggi compete con le trote europee in quasi tutti i corsi d'acqua, eccetera eccetera.
Nel 1948 un diplomatico italiano ricevette dagli Stati Uniti quattro esemplari di scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis, il tizio a sinistra nel manifesto), ed ebbe la bella idea di liberarli nel giardino della sua villa torinese. Oggi lo scoiattolo grigio, più aggressivo, ha completamente sostituito lo scoiattolo europeo (Sciurus vulgaris, quello a destra) in diverse parti d'Italia, tra Piemonte, Lomabardia, Liguria e Umbria, ed è diventato una minaccia per le popolazioni di scoiattoli autoctone; si sta tentando di eradicarlo, o almeno di contenerne la diffusione, nè più nè meno come si fa con il pesce siluro, con la zanzara tigre o con l'ambrosia.
Le specie alloctone invasive sono un problema, indipendentemente dalla loro bellezza o dalla simpatia che ci ispirano: rassegnamoci ad affrontarle come tale.

Si potrebbe obiettare che in fondo si tratta di processi che avvengono regolarmente in natura: una nuova specie ha origine da una popolazione per lungo tempo isolata, e se infine capita che ritorni a condividere lo stesso areale della specie di origine, se competono ancora per le stesse risorse, una delle due soccombe.
Quando pochi milioni di anni fa si è formato l'Istmo di Panama, migrazioni reciproche hanno interessato due faune, quelle sudamericana e nordamericana, che si erano evolute in modo del tutto indipendente su continenti che erano sempre stati separati e lontani, con conseguente estinzione di moltissime delle specie preesistenti.
Dunque, perchè preoccuparci di conservare una trota o uno scoiattolo piuttosto che un'altra trota o scoiattolo, o dispiacerci per l'estinzione degli olmi anzichè rallegrarci per la propagazione di un fungo parassita ? L'evoluzione farà il suo corso e tra qualche decina di migliaia di anni si sarà raggiunto un nuovo equilibrio tra le specie presenti, che saranno comunque numerose e diverse.
Perchè tra qualche decina di migliaia di anni non ci saremo noi ad osservare quelle meraviglie. A noi interessa salvaguardare il NOSTRO ambiente di OGGI. Quello futuro sarà ugualmente splendido, ma non sarà nostro. E' sempre una questione di scala temporale. Tra diecimila o centomila anni i nostri problemi attuali di conservazione di specie ed ecosistemi saranno senz'altro risolti, in un senso o nell'altro, e avranno lasciato spazio a nuove specie, altre migrazioni di quelle attuali, estinzioni magari oggi inaspettate, ed alla composizione di nuovi ecosistemi affascinanti ed inediti. Ma noi non saremo lì a vedere questi nuovi panorami. Ogni specie vivente è un'entità unica ed irripetibile, e la sua conservazione un'esigenza per la salvaguardia del nostro presente, senza nessun tentativo di condizionare futuri lontanissimi ed irraggiungibili per la nostra personale scala dei tempi: un atto del tutto legittimo di egoismo del nostro presente locale verso l'immensità del tempo geologico che procede comunque per conto suo, indifferente a noi, ai nostri sforzi, ed alle bellezze che a noi soltanto è dato di apprezzare.

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