giovedì 19 agosto 2010

Thally è vivo e lotta insieme a noi


Bè, e voi come lo chiamereste, familiarmente, un vostro cuginetto - Uomo di Neanderthal ? A me pare che Thally vada più che bene.
Questo post avrebbe dovuto essere completato circa tre mesi fa, ma si sa come vanno le cose, il tempo è quello che è, e non si riesce mai a scrivere tutto quello che si vorrebbe.
Ripartiamo quindi dal mese di maggio, quando viene pubblicato un lavoro di un plotone di oltre 50 autori, con Richard Green come capofila (e una volta tanto la fonte originale è accessibile a tutti): con tutte le comprensibili difficoltà del caso, i nostri eroi sono riusciti ad ottenere una preziosa manciatina di sequenze di DNA da ossa di Neanderthaliani di circa 38000 anni fa, e le hanno messe a confronto con le corrispondenti sequenze di scimpanzè e di diverse popolazioni umane attuali.
Lo studio ha fornito una serie di risultati interessanti, di alcuni dei quali si è parlato piuttosto poco.
Tanto per cominciare, di tutto il catalogo disponibile di caratteristiche genetiche proprie dell'uomo e differenti da scimpanzè, orang-utan ed altri primati, il campione di sequenze ottenute dalle ossa neanderthaliane ne presenta, come è facile attendersi, una percentuale molto alta, tra 87 e 90 % circa.
Ma alcune informazioni che mi paiono piuttosto interessanti riguardano una lista di una quindicina di regioni, contenenti uno o più geni, che sembrano essere state soggette ad un'attiva selezione nella linea degli umani moderni (vi risparmio principi e metodi di calcolo utilizzati da Green e colleghi, che potete trovare comunque nell'articolo attraverso il link qui sopra), mentre i Neanderthal mostrano frequenze più alte rispetto alle attese della variante ancestrale. Alcuni dei geni interessati da questa evoluzione recente sono noti per mutazioni associate, nell'uomo moderno, a particolari malattie: DYRK1A è situato nell'area critica per la sindrome di Down (sindrome che si manifesta quando un tratto del cromosoma 21 è presente in triplice, anzichè duplice, copia); NRG3 è un gene le cui mutazioni paiono associate alla schizofrenia; CADPS2 e AUTS2 sembrano coinvolti nell'insorgenza dell'autismo. Ovviamente questo non ha nulla a che fare con il voler intendere che i Neanderthal fossero autistici o schizofrenici (mai confondere la variazione entro gruppi con la variazione tra gruppi): si vuol far notare piuttosto come alcuni di questi geni soggetti a cambiamenti recenti nell'evoluzione umana sembrino coinvolti nell'espressione di qualche forma di capacità cognitiva (come si ricava dagli esiti patologici dei loro malfunzionamenti). Un altro gene di questo sparuto gruppetto si chiama RUNX2, e le sue mutazioni sono associate alla displasia cleidocraniale, caratterizzata da una ritardata chiusura delle suture del cranio durante lo sviluppo, malformazioni della clavicola, e una forma a campana della cassa toracica. Ebbene, alla ritardata chiusura delle suture si associa spesso un osso frontale prominente, una specie di cresta, che è una caratteristica che distingue il cranio dei Neanderthal (e degli altri ominidi arcaici) dall'uomo moderno; le clavicole dei Neanderthal erano di forma differente dalle nostre, con un'architettura un pò diversa dell'articolazione della spalla, e la gabbia toracica a campana è un'altra caratteristica comune agli ominidi ancestrali, Neanderthal compreso. Green e colleghi concludono quindi che il cambiamento evolutivo a livello del gene RUNX2 possa avere avuto una notevole importanza nell'aspetto dell'uomo moderno, influendo su diverse caratteristiche morfologiche della parte superiore del corpo.

In conclusione alla raccolta di tutta una messe (ben più ampia di quella che ho sintetizzato al massimo qui) di dati sulle diversità e similarità genetiche, se si pone, come appare dalle stime attualmente disponibili, l'ultimo antenato comune tra uomo e scimpanzè a circa 6 - 8 milioni di anni fa, se ne ricava che la separazione, cioè la fuoriuscita dall'Africa dei Neanderthal, tra questi ultimi e gli antenati degli uomini moderni (che rimanevano per il momento nel continente di origine) dovrebbe essere avvenuta all'incirca 300 - 400 mila anni fa.

Un punto che invece ha suscitato un certo scalpore è che Green e colleghi hanno trovato tracce di flusso genico tra i Neanderthal e tutte le popolazioni moderne non africane: cioè essi si sono incrociati con gli uomini moderni, e la stima ottenuta è che una quota tra 1 e 4 % del nostro genoma sia di origine neanderthaliana. Il fatto che (nonostante i resti dell'Uomo di Neanderthal siano stati trovati principalmente in Europa) tale valore sia praticamente costante tra le popolazioni attuali europee, asiatiche ed oceaniche, mentre non si trovi traccia di tale incrocio in Africa, fa supporre che la commistione risalga alla prima uscita dell'uomo moderno dall'Africa, circa 80000 anni fa, nell'area medioorientale, da dove l'uomo anatomicamente moderno ha intrapreso la sua espansione in tutte le direzioni.








Lo spunto per ritornare sull'argomento mi è stato fornito da un recente commento di Michael Shermer, che pone più o meno esattamente la stessa questione che avrei preso in esame io nel post che non ho mai scritto tre mesi fa: se l'uomo moderno e l'Uomo di Neanderthal si sono incrociati fra loro, non sta più in piedi la classificazione di Homo neanderthalensis come specie separata ed estinta; dovremmo invece parlare di una sottospecie, Homo sapiens subsp. neanderthalensis, che non potremmo nemmeno considerare estinta, in quanto confluita in Homo sapiens sapiens.

Considerazioni a margine: dunque i circa 300000 anni di separazione geografica non sono stati sufficienti a separare riproduttivamente i due gruppi. In questa stessa colonnina giallina avevo indicato, tempo fa, un possibile caso di speciazione quasi istantanea, che avrebbe potuto completarsi nell'arco di poche generazioni. Le vie dell'evoluzione sono (quasi) infinite: perchè un evento di speciazione si completi, il tempo di separazione è ovviamente importante, ma è altrettanto importante anche la qualità dei cambiamenti evolutivi che intercorrono in quel frattempo: nel caso citato del fringuello 5110 di Daphne Major, la migrazione ed il drastico collo di bottiglia demografico di una popolazione originata da una singola coppia avevano contribuito a cambiare due caratteri cruciali per il riconoscimento sessuale: il canto e la forma del becco. Nel nostro caso, la divergenza morfologica che abbiamo sviluppato nelle centinaia di migliaia di anni di separazione non è stata sufficiente a far sì che non ci riconoscessimo più come partner riproduttivi: meglio non lasciare andare l'immaginazione sui metodi di corteggiamento di 80000 anni fa, ma i Neanderthal avevano conservato il loro bravo sex appeal ai nostri occhi, nonostante tutto quel tempo.

La seconda cosa che mi viene in mente è che sicuramente starà per partire l'ennesima campagna dell'esimio professore Richard Lynn e dei suoi sodali: sapendo che le tracce di genoma neanderthaliano sono assenti nelle popolazioni africane, questi bravi signori avranno ormai già intrapreso una delle loro consuete arrampicate sugli specchi per pretendere di dimostrare che gli Uomini di Neanderthal erano in realtà intelligentissimi...

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