domenica 23 ottobre 2011
Anniversari - 23 ottobre 4004 a.C.
Quale evento è mai accaduto il 23 ottobre 4004 a.C., a mezzogiorno, per la precisione (ora di Greenwich, dovremmo supporre) ?
Ma la Creazione del Mondo, ovviamente ! L'inizio della Creazione, il fatidico "Sia fatta la luce !"
Era una domenica mattina, proprio come oggi (si riposò il settimo giorno, cioè sabato, secondo la tradizione ebraica), e si deve assumere che la "terra informe e vuota" (Genesi, 1:2) dovesse essere stata creata durante la notte precedente.
L'artefice di questa datazione così precisa fu James Ussher (1581-1656), arcivescovo di Armagh e primate della chiesa anglicana irlandese.
Il suo Annales Veteris Testamenti, a prima mundi origine deducti (1650) si basava, naturalmente, sul racconto della Bibbia: da Adamo, per una ventina di generazioni (se non ricordo male fino ad Abramo), sono indicate esplicitamente le linee di discendenza per via patrilineare con l'indicazione dell'età del padre alla nascita del primogenito, e quindi i conti sono facili; poi però le indicazioni temporali si fanno più confuse, ed Ussher incrociò i fatti descritti nella Bibbia con informazioni databili rilevabili da altre fonti storiche, come la conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor; infine, il racconto della Bibbia si ferma al IV secolo a.C., e per raccordare i tempi al dominio romano ed alla nscita di Gesù, Ussher fece ricorso a cronache caldee e persiane. Ancora, si sapeva da cronache romane che il re-fantoccio di Israele al servizio dell'Impero Erode il Grande era morto in realtà nel 4 a.C., e quindi la nascita di Gesù doveva essere anticipata di qualche anno. Ricavando da tutte le fonti possibili tutta la rete di informazioni disponibili, Ussher pervenne alla data del 4004 a.C. per la Creazione.
La data del 23 ottobre fu immaginata supponendo una prossimità ad uno dei quattro punti cardinali del ciclo solare: un equinozio o un solstizio; poichè l'anno ebraico inizia in autunno, e la Bibbia racconta che nel giardino dell'Eden i frutti erano maturi, Ussher optò per la fine dell'estate, e quindi l'equinozio d'autunno. Ma allora perchè il 23 ottobre e non fine settembre ? Ussher usava ancora il calendario giuliano. La differenza rispetto al nostro (gregoriano) può apparire irrilevante: venivano considerati bisestili anche gli anni di fine secolo non divisibili per 400: per noi il 2000 è stato un anno bisestile, come il 1600; ma il 1700, il 1800 ed 1900 non sono stati bisestili; per il calendario giuliano sì. Su quasi 6000 anni, questo comporta quasi un mese di differenza: il 23 ottobre 4004 a.C. era la prima domenica dopo l'equinozio d'autunno, e quindi la data ritenuta più probabile per la Creazione.
Molti altri hanno praticato lo stesso esercizio, con risultati non troppo dissimili: 3760 a.C. per l'ebraismo rabbinico, 4026 a.C. per i testimoni di Geova, 5509 a.C. nella tradizione bizantina (la Bibbia greca, usata dalle chiese orientali, riporta dei tempi diversi per le generazioni da Adamo ad Abramo, con un'estensione di circa 1000 anni). Il motivo per cui la datazione di Ussher è rimasta sotto i riflettori è che, forse perchè il suo studio fu particolarmente accurato, forse per motivi più casuali, la sua cronologia fu adottata nelle note a commento in una delle edizioni più diffuse della Bibbia, quella di Re Giacomo. Quel successo, per contrappasso, fa dell'arcivescovo Ussher un ricorrente oggetto di scherno e dileggio ora che la sua cronologia appare chiaramente ridicola alla luce delle conoscenze attuali sull'età della Terra e dell'Universo, ma è sempre un errore giudicare i fatti e le idee di ieri con gli occhi di oggi.
Nello stesso XVII secolo, Edmond Halley (quello della cometa) escogitò un sistema teorico per stimare l'età della terra in base alla concentrazione di sale negli oceani: assumendo che i fiumi apportino piccole quantità costanti di sali, questi dovrebbero accumularsi progressivamente in mare; poichè l'acqua evapora ma il sale no, conoscendo la differenza di concentrazione a tempi sufficientemente distanti, si potrebbe valutare da quanto tempo i fiumi portano sale nel mare; Halley si crucciò di non disporre di informazioni sulla salinità dei mari da epoche antiche, ma due secoli dopo un geologo irlandese, Joly, sfruttò il suo metodo per stimare un'età della Terra di 100 milioni di anni.
La datazione di Joly fu presto dimenticata, poichè l'idea di Halley, per quanto ingegnosa, era fondata su una premessa sbagliata; l'aumento della concentrazione di sale negli oceani non procede per incrementi costanti, ma è soggetta a meccanismi che tendono a mantenere un certo equilibrio: una certa quantità di sale finisce intrappolata nei sedimenti che si depositano sul fondo, e quindi la concentrazione è molto più costante di quanto Halley avesse immaginato.
Nel 1886 fu William Thomson, futuro Lord Kelvin, formulatore della seconda legge della termodinamica, a stimare un'età della Terra di 100 milioni di anni (con un limite massimo di 400 milioni), in base al ritmo di raffreddamento della crosta terrestre dopo la formazione del sistema solare, suscitando non poche resistenze tra i geologi, che andavano accumulando evidenze di una Terra molto più antica; successivamente, Lord Kelvin rivide la sua stima al ribasso, portandola a 10-30 milioni di anni (mettendo in difficoltà anche Darwin di fronte a tale ristrettezza di tempi).
Ma non molto tempo dopo, la scoperta della radioattività minò alla base le assunzioni su cui la sua valutazione si basava: le reazioni nucleari che avvengono nel nucleo terrestre sono una fonte endogena di calore, e quindi l'ipotesi del raffreddamento costante su cui si reggeva la datazione di Thomson andava rivista nel senso di una temperatura della Terra molto più costante.
E proprio la radioattività ha fornito agli scienziati il metro ad oggi più efficiente per misurare l'età delle rocce e dei reperti organici, e ci ha permesso di stimare una Terra vecchia di 4,5 miliardi di anni.
Oggi consideriamo i sistemi di datazione ideati da Halley e da Lord Kelvin come ingegnosi in base alle informazioni disponibili al loro tempo, ma resi inutili dal fatto di partire da premesse che si sono rivelate poi errate.
Nessuno considera Halley e Thomson degli stupidi, semplicemente hanno eaborato edifici teorici di tutto rispetto su delle assunzioni di cui non potevano conoscere la fallacia; ma oggi nessuno prenderebbe mai in considerazione le datazioni ricavate dai loro metodi di stima.
Allo stesso modo non dovremmo ridicolizzare Ussher per la sua datazione della Creazione; ha svolto un lavoro accurato e minuzioso cercando di ricavare il massimo possibile di informazione dalle fonti che considerava più attendibili. Il suo lavoro ben fatto era vanificato dall'assunzione sbagliata che coloro che scrissero la Bibbia dovessero avere delle conoscenze di storia naturale per qualche motivo superiori alle nostre.
E quindi è ancor più deprimente imbattersi ancora ai nostri giorni in sette fondamentaliste che si ostinano a voler chiudere gli occhi di fronte ai fatti che abbiamo oggi a disposizione delle nostre conoscenze per credere ad una Terra (o, con ottusità non inferiore, un'umanità) di poche migliaia di anni.
mercoledì 12 ottobre 2011
Anniversari - 12 ottobre 1492 (1)
"Per un triste Re cattolico - le dice - ho inventato un regno
e lui lo ha macellato su una croce di legno.
E due errori ho commesso, due errori di saggezza:
abortire l'America e poi guardarla con dolcezza.
Ma voi che siete uomini sotto il vento e le vele
non regalate Terre Promesse a chi non le mantiene."
"Quando Cristoforo Colombo, chioma fluente e piede sicuramente fetente, sbarcò in America, non la trovò certamente disabitata": cito a memoria un passaggio di un breve discorsetto introduttivo all'esecuzione di "Fiume Sand Creek" durante un concerto di Fabrizio De Andrè (avrete colto la nonchalance nella produzione di rime); sempre a memoria, poteva essere il 1991, nell'imminenza del cinquecentenario.
E dunque, proseguiva il discorso, non ha senso parlare di scoperta. L'America era stata scoperta, almeno almeno 15000 anni prima, da popolazioni asiatiche provenienti dalla Siberia. Il 12 ottobre 1492 l'America non fu "scoperta", ma esposta agli appetiti conquistatori degli europei.
Colombo mise il suo fetente piede da qualche parte nell'arcipelago delle Bahamas, o in quello immediatamente più meridionale di Turks e Caicos, e un piccolo mollusco gasteropode avrebbe potuto raccontarci esattamente dove, ma questa è un'altra storia.
E difatti non trovò quelle isole disabitate: "...giunsi al Mare delle Indie, dove trovai molte isole assai popolate, delle quali, fatto il bando in nome del felicissimo nostro Re e spiegate le bandiere, nessuno opponendovisi, presi possesso." (1)
Non ci è dato sapere quanto numerosa sia stata l'audience per tale rituale, prodotto, si suppone, in lingua spagnola, ma la popolazione che ebbe la discutibile fortuna di assistere alla curiosa ed incomprensibile cerimonia inscenata dall'ultimo stravagante venuto, senza manifestare segnali di opposizione, fu quella dei Taìno, che era distribuita su tutte le Bahamas, le Grandi Antille e le più settentrionali delle Piccole Antille.
Nel suo diario di bordo, l'Ammiraglio sottilineò la timidezza, la benevolenza e la gentilezza di coloro che chiamò indiani: "Non portano armi, e nemmeno le conoscono: mostrai loro le spade ed essi prendendole dalla parte del taglio, per ignoranza si tagliavano. Non hanno alcuna specie di ferro." Ma non c'era alcuna ammirazione nè intento elogiativo nelle considerazioni sulla loro indole pacifica, solo progetti sulla facilità di prevaricazione: "Con una cinquantina di uomini [le Altezze Vostre] li terranno tutti sottomessi e potranno far di essi quel che vorranno".
I Taìno praticavano l'agricoltura, il loro alimento base era una specie di pane fatto con la farina di cassava, e curiosamente non di mais, che pure allevavano; coltivavano inoltre zucche, fagioli, peperoni, arachidi, ananas, oltre a tabacco e cotone: quasi tutte queste piante erano sconosciute in Europa. Ma Colombo non fu minimamente interessato alla cultura ed agli usi degli indigeni, se non per il fatto che amavano ornarsi con ninnoli d'oro, unica cosa che attrasse la sua curiosità. Domandò con insistenza da dove provenisse l'oro, come si procuravano l'oro, dove veniva estratto l'oro, e null'altro.
Il 13 ottobre, al suo secondo giorno in America, scrisse sul diario di bordo: "Venni per gesti a sapere che navigando verso Mezzogiorno si poteva andare dov'era un re che possedeva grandi vasi e molti pezzi d'oro."
La sua ricerca dei ricchi regni dell'Oriente raccontati da Marco Polo, il Catai (la Cina) ed il Cipango (il Giappone), si riduceva alla necessità di portare in Spagna dell'oro per dimostrare il successo della sua impresa. Man mano che, di isola in isola, veniva presentato a cacicchi via via più potenti e sempre più riccamente adornati, la sua avidità si auto-alimentava, frustrata dalla continua mancanza di indicazioni su dove l'oro venisse estratto.
Si procurò (= catturò) delle guide Taìno con cui si intendeva meglio e sentì parlare di una grande isola vicina, Colba (Cuba), che interpretò come Cipango. Una volta sbarcato lì, seppe che si trovava dell'oro a Cubanacan (= il centro di Cuba) che gli suonò come "El Gran Khan", facendogli credere di stare per raggiungere la Corte Imperiale; infine, in dicembre, ebbe notizia di oro a Cibao, il nome locale di Hispaniola (ancora il Cipango). Non furono gli unici esiti tragicomici delle pretese che i Taìno avessero familiarità con lo spagnolo: nelle Piccole Antille vivevano i Caribe, nemici storici dei Taìno: quando fu chiesto cosa ci fosse più a sud, alla risposta "Caribe", gli spagnoli intesero che ci fossero i cannibali.
Ma ad Hispaniola l'avidità incontrò il suo premio, e si trovò un giacimento aurifero. Il destino dei Taìno era segnato.
A partire dal suo secondo viaggio (1493), Colombo pretese dei tributi dalle popolazioni assoggettate alla corona spagnola: ogni adulto (dai 14 anni in su) doveva versare un campanello da falconeria ripieno d'oro (le unità di misura opinabili sono un fenomeno ricorrente in questa storia) ogni tre mesi o, in alternativa, 12 Kg di cotone. Gli evasori fiscali erano puniti con il taglio delle mani e lasciati morire per dissanguamento (...mmhhmmm... entusiasmante per noi, ma crudeltà inaudita al di là delle Alpi).
Le nuove miniere di Hispaniola richiedevano grandi quantità di manodopera, e man mano che i nativi dell'isola morivano per le fatiche che gli spagnoli imponevano loro, si dovette reclutare manovalanza dalle isole vicine: la Giamaica era popolosa, ma le sue montagne offrivano rifugi da cui sarebbe stato difficile stanare i Taìno; identico e maggiore problema poneva Cuba. Le Bahamas invece erano isole relativamente piccole e piatte, prive di nascondigli, dove i futuri minatori potevano essere acchiappati senza troppe difficoltà.
Le posizioni dei cattolici verso la schiavitù erano, come sempre, ambigue. Voci come quella di Bartolomè de las Casas si levarono alte, chiare e inascoltate a richiedere un trattamento umano per i nativi, ma l'accomodamento prevalente giocava sull'ipocrisia che il premio per il lavoro coatto era quello di ricevere un'istruzione sulla lingua spagnola e sulla religione cattolica, e di solito gli schiavi venivano battezzati, mediocremente consenzienti. Si provvedeva dunque alla salvezza delle loro anime.
Mentre le anime si salvavano, i corpi non se la passavano tanto bene: nel 1512, vent'anni dopo il primo contatto del piede fetente, nessun Taìno viveva più nelle Bahamas.
Anche nelle altre isole, le loro terre coltivate erano diventate proprietà degli spagnoli o di indiani fidelizzati agli occupanti, ed i Taìno erano stati resi schiavi anche come agricoltori; dovevano produrre cibo per la crescente popolazione europea. Già nella stagione 1495-96 rinunciarono a raccogliere e a seminare, pagando, nella conseguente carestia, con 50000 morti il rifiuto di nutrire i propri aguzzini.
Si suicidavano col veleno, si impiccavano, uccidevano i propri figli perchè non vivessero da schiavi. Ci fu una rivolta organizzata nel 1511, e un'altra negli anni '20. Ma nel frattempo, sulle navi che traversavano l'Atlantico, un passeggero clandestino era giunto dall'Europa in America a compiere il grosso del lavoro sporco: il virus del vaiolo.
Così, per tutte le Antille, in 30 anni la popolazione di Taìno era declinata dell' 80-90 %, e poco tempo dopo il primo popolo americano a conoscere gli europei fu anche il primo ad estinguersi. Molte altre popolazioni americane seguirono presto lo stesso destino.
Gli europei colmarono il vuoto di manodopera importando nuovi schiavi dall'Africa.
L'Isola di San Salvador rimase disabitata per quasi 300 anni, salvo forse qualche temporaneo insediamento di pirati, finchè la rivoluzione americana non portò alcuni fedeli alla corona britannica a rifugirsi lì con i propri schiavi africani. I discendenti di quegli schiavi fecero rifiorire una cultura autoctona del tutto nuova e diversa; fino a qualche decina di anni fa le Bahama più esterne rimanevano ancora piuttosto incontaminate anche nei confronti dell'industria turistica, e gli insediamenti si limitavano a piccole locande ben integrate nell'ambiente e nella cultura locali. Ma ormai il mito dello sbarco di Colombo ha portato anche a San Salvador i Club Mediterranèe e le colate di cemento al servizio del turismo soggiogato ai gusti occidentali. Colombo e i suoi 90 marinai avviarono la distruzione della cultura dei nativi, ma la sua ombra continua ancora, dopo oltre cinque secoli, a far seccare ogni nuovo germoglio di cultura locale in favore dell'omologazione eurocentrica.
Oggi, se cercate in rete informazioni su "Taìno Bahamas", troverete quasi solo richiami ad un Taìno Beach Resort di Grand Bahama, una vomitata di cemento a quattro stelle sulla spiaggia, l'ultimo servizio all'esotismo kitsch del turista occidentale (che probabilmente ignora l'origine del nome), l'ultima beffa agli uomini che morirono di fame per non coltivare la terra in favore dei futuri vacanzieri in camicia hawaiana, panama e sigaro.
(1) Lettera in cui Cristoforo Colombo, molto benemerito dell'età nostra, descrive le isole delle Indie oltre il Gange, di recente scoperte, dove fu inviato il 3 agosto 1492 sotto gli auspici e col denaro degli invittissimi Ferdinando ed Elisabetta, Reali di Spagna; e da lui indirizzata all'illustre Don Gabriele Sanchis, tesoriere dei suddetti Serenissimi Re, tradotta dalla lingua spagnuola nella latina per opera del nobiluomo e letterato Leandro de Cosco il 30 aprile 1493, primo anno del pontificato di Alessandro VI.
(per fortuna nei secoli successivi il modo di intitolare gli scritti ha presentato una lodevole tendenza alla maggior brevità).
e lui lo ha macellato su una croce di legno.
E due errori ho commesso, due errori di saggezza:
abortire l'America e poi guardarla con dolcezza.
Ma voi che siete uomini sotto il vento e le vele
non regalate Terre Promesse a chi non le mantiene."
"Quando Cristoforo Colombo, chioma fluente e piede sicuramente fetente, sbarcò in America, non la trovò certamente disabitata": cito a memoria un passaggio di un breve discorsetto introduttivo all'esecuzione di "Fiume Sand Creek" durante un concerto di Fabrizio De Andrè (avrete colto la nonchalance nella produzione di rime); sempre a memoria, poteva essere il 1991, nell'imminenza del cinquecentenario.
E dunque, proseguiva il discorso, non ha senso parlare di scoperta. L'America era stata scoperta, almeno almeno 15000 anni prima, da popolazioni asiatiche provenienti dalla Siberia. Il 12 ottobre 1492 l'America non fu "scoperta", ma esposta agli appetiti conquistatori degli europei.
Colombo mise il suo fetente piede da qualche parte nell'arcipelago delle Bahamas, o in quello immediatamente più meridionale di Turks e Caicos, e un piccolo mollusco gasteropode avrebbe potuto raccontarci esattamente dove, ma questa è un'altra storia.
E difatti non trovò quelle isole disabitate: "...giunsi al Mare delle Indie, dove trovai molte isole assai popolate, delle quali, fatto il bando in nome del felicissimo nostro Re e spiegate le bandiere, nessuno opponendovisi, presi possesso." (1)
Non ci è dato sapere quanto numerosa sia stata l'audience per tale rituale, prodotto, si suppone, in lingua spagnola, ma la popolazione che ebbe la discutibile fortuna di assistere alla curiosa ed incomprensibile cerimonia inscenata dall'ultimo stravagante venuto, senza manifestare segnali di opposizione, fu quella dei Taìno, che era distribuita su tutte le Bahamas, le Grandi Antille e le più settentrionali delle Piccole Antille.
Nel suo diario di bordo, l'Ammiraglio sottilineò la timidezza, la benevolenza e la gentilezza di coloro che chiamò indiani: "Non portano armi, e nemmeno le conoscono: mostrai loro le spade ed essi prendendole dalla parte del taglio, per ignoranza si tagliavano. Non hanno alcuna specie di ferro." Ma non c'era alcuna ammirazione nè intento elogiativo nelle considerazioni sulla loro indole pacifica, solo progetti sulla facilità di prevaricazione: "Con una cinquantina di uomini [le Altezze Vostre] li terranno tutti sottomessi e potranno far di essi quel che vorranno".
I Taìno praticavano l'agricoltura, il loro alimento base era una specie di pane fatto con la farina di cassava, e curiosamente non di mais, che pure allevavano; coltivavano inoltre zucche, fagioli, peperoni, arachidi, ananas, oltre a tabacco e cotone: quasi tutte queste piante erano sconosciute in Europa. Ma Colombo non fu minimamente interessato alla cultura ed agli usi degli indigeni, se non per il fatto che amavano ornarsi con ninnoli d'oro, unica cosa che attrasse la sua curiosità. Domandò con insistenza da dove provenisse l'oro, come si procuravano l'oro, dove veniva estratto l'oro, e null'altro.
Il 13 ottobre, al suo secondo giorno in America, scrisse sul diario di bordo: "Venni per gesti a sapere che navigando verso Mezzogiorno si poteva andare dov'era un re che possedeva grandi vasi e molti pezzi d'oro."
La sua ricerca dei ricchi regni dell'Oriente raccontati da Marco Polo, il Catai (la Cina) ed il Cipango (il Giappone), si riduceva alla necessità di portare in Spagna dell'oro per dimostrare il successo della sua impresa. Man mano che, di isola in isola, veniva presentato a cacicchi via via più potenti e sempre più riccamente adornati, la sua avidità si auto-alimentava, frustrata dalla continua mancanza di indicazioni su dove l'oro venisse estratto.
Si procurò (= catturò) delle guide Taìno con cui si intendeva meglio e sentì parlare di una grande isola vicina, Colba (Cuba), che interpretò come Cipango. Una volta sbarcato lì, seppe che si trovava dell'oro a Cubanacan (= il centro di Cuba) che gli suonò come "El Gran Khan", facendogli credere di stare per raggiungere la Corte Imperiale; infine, in dicembre, ebbe notizia di oro a Cibao, il nome locale di Hispaniola (ancora il Cipango). Non furono gli unici esiti tragicomici delle pretese che i Taìno avessero familiarità con lo spagnolo: nelle Piccole Antille vivevano i Caribe, nemici storici dei Taìno: quando fu chiesto cosa ci fosse più a sud, alla risposta "Caribe", gli spagnoli intesero che ci fossero i cannibali.
Ma ad Hispaniola l'avidità incontrò il suo premio, e si trovò un giacimento aurifero. Il destino dei Taìno era segnato.
A partire dal suo secondo viaggio (1493), Colombo pretese dei tributi dalle popolazioni assoggettate alla corona spagnola: ogni adulto (dai 14 anni in su) doveva versare un campanello da falconeria ripieno d'oro (le unità di misura opinabili sono un fenomeno ricorrente in questa storia) ogni tre mesi o, in alternativa, 12 Kg di cotone. Gli evasori fiscali erano puniti con il taglio delle mani e lasciati morire per dissanguamento (...mmhhmmm... entusiasmante per noi, ma crudeltà inaudita al di là delle Alpi).
Le nuove miniere di Hispaniola richiedevano grandi quantità di manodopera, e man mano che i nativi dell'isola morivano per le fatiche che gli spagnoli imponevano loro, si dovette reclutare manovalanza dalle isole vicine: la Giamaica era popolosa, ma le sue montagne offrivano rifugi da cui sarebbe stato difficile stanare i Taìno; identico e maggiore problema poneva Cuba. Le Bahamas invece erano isole relativamente piccole e piatte, prive di nascondigli, dove i futuri minatori potevano essere acchiappati senza troppe difficoltà.
Le posizioni dei cattolici verso la schiavitù erano, come sempre, ambigue. Voci come quella di Bartolomè de las Casas si levarono alte, chiare e inascoltate a richiedere un trattamento umano per i nativi, ma l'accomodamento prevalente giocava sull'ipocrisia che il premio per il lavoro coatto era quello di ricevere un'istruzione sulla lingua spagnola e sulla religione cattolica, e di solito gli schiavi venivano battezzati, mediocremente consenzienti. Si provvedeva dunque alla salvezza delle loro anime.
Mentre le anime si salvavano, i corpi non se la passavano tanto bene: nel 1512, vent'anni dopo il primo contatto del piede fetente, nessun Taìno viveva più nelle Bahamas.
Anche nelle altre isole, le loro terre coltivate erano diventate proprietà degli spagnoli o di indiani fidelizzati agli occupanti, ed i Taìno erano stati resi schiavi anche come agricoltori; dovevano produrre cibo per la crescente popolazione europea. Già nella stagione 1495-96 rinunciarono a raccogliere e a seminare, pagando, nella conseguente carestia, con 50000 morti il rifiuto di nutrire i propri aguzzini.
Si suicidavano col veleno, si impiccavano, uccidevano i propri figli perchè non vivessero da schiavi. Ci fu una rivolta organizzata nel 1511, e un'altra negli anni '20. Ma nel frattempo, sulle navi che traversavano l'Atlantico, un passeggero clandestino era giunto dall'Europa in America a compiere il grosso del lavoro sporco: il virus del vaiolo.
Così, per tutte le Antille, in 30 anni la popolazione di Taìno era declinata dell' 80-90 %, e poco tempo dopo il primo popolo americano a conoscere gli europei fu anche il primo ad estinguersi. Molte altre popolazioni americane seguirono presto lo stesso destino.
Gli europei colmarono il vuoto di manodopera importando nuovi schiavi dall'Africa.
L'Isola di San Salvador rimase disabitata per quasi 300 anni, salvo forse qualche temporaneo insediamento di pirati, finchè la rivoluzione americana non portò alcuni fedeli alla corona britannica a rifugirsi lì con i propri schiavi africani. I discendenti di quegli schiavi fecero rifiorire una cultura autoctona del tutto nuova e diversa; fino a qualche decina di anni fa le Bahama più esterne rimanevano ancora piuttosto incontaminate anche nei confronti dell'industria turistica, e gli insediamenti si limitavano a piccole locande ben integrate nell'ambiente e nella cultura locali. Ma ormai il mito dello sbarco di Colombo ha portato anche a San Salvador i Club Mediterranèe e le colate di cemento al servizio del turismo soggiogato ai gusti occidentali. Colombo e i suoi 90 marinai avviarono la distruzione della cultura dei nativi, ma la sua ombra continua ancora, dopo oltre cinque secoli, a far seccare ogni nuovo germoglio di cultura locale in favore dell'omologazione eurocentrica.
Oggi, se cercate in rete informazioni su "Taìno Bahamas", troverete quasi solo richiami ad un Taìno Beach Resort di Grand Bahama, una vomitata di cemento a quattro stelle sulla spiaggia, l'ultimo servizio all'esotismo kitsch del turista occidentale (che probabilmente ignora l'origine del nome), l'ultima beffa agli uomini che morirono di fame per non coltivare la terra in favore dei futuri vacanzieri in camicia hawaiana, panama e sigaro.
(1) Lettera in cui Cristoforo Colombo, molto benemerito dell'età nostra, descrive le isole delle Indie oltre il Gange, di recente scoperte, dove fu inviato il 3 agosto 1492 sotto gli auspici e col denaro degli invittissimi Ferdinando ed Elisabetta, Reali di Spagna; e da lui indirizzata all'illustre Don Gabriele Sanchis, tesoriere dei suddetti Serenissimi Re, tradotta dalla lingua spagnuola nella latina per opera del nobiluomo e letterato Leandro de Cosco il 30 aprile 1493, primo anno del pontificato di Alessandro VI.
(per fortuna nei secoli successivi il modo di intitolare gli scritti ha presentato una lodevole tendenza alla maggior brevità).
Anniversari - 12 ottobre 1492 (2)
Oltre un mese di navigazione dalla ripartenza dalle Canarie il 6 settembre, dopo la lunga sosta per le riparazioni (il timone della Pinta si era rotto dopo soli tre giorni di navigazione, il 6 agosto) aveva portato l'equipaggio di Cristoforo Colombo sull'orlo dell'ammutinamento; il 10 ottobre si giunse alla resa dei conti: se non si fosse avvistata terra entro pochi giorni si sarebbe tornati indietro.
Giovedi 11 si ebbero già dei segni positivi: un giunco, un bastone, un fiore fresco galleggiavano in mare, e due ore dopo la mezzanotte Rodrigo de Triana, vedetta della Pinta, annunciò la terra: probabilmente la scogliera della costa orientale dell'isola oggi chiamta San Salvador che biancheggiava sotto la luna.
Il luogo esatto dello sbarco fu però a lungo oggetto di controversie ed interpretazioni contrapposte.
Si sa che l'isola sulla quale Colombo si inginocchiò per prima era chiamata dagli indigeni Taìno Guanahani, e che fu immediatamente ribattezzata San Salvador. Molte isole di quei paraggi si sono contese questo privilegio storico: Watling, Cat Island, Mayaguana, Samana Cay tra le Bahamas; Grand Turk, e diverse delle isole Caicos (solo le Bahamas sono più di 700 isole, e molte hanno porti favorevoli). Inizialmente fu Cat Island ad essere identificata con San Salvador; poi, dal 1926, il Governo delle Bahamas decise di trasferire questo nome all'isola di Watling. Oggi questa interpretazione gode di un consenso piuttosto generale, ma persistono ostinati sostenitori di ipotesi alternative.
E a Watling / San Salvador monumenti, lapidi e targhe indicano il luogo esatto dello sbarco; di luoghi esatti dello sbarco ce ne sono tre: uno sulla costa orientale, e due sulla costa occidentale, a diversi chilometri l'uno dall'altro.
Ma su quali elementi si basa l'identificazione dell'isola ? Il più importante è il diario di bordo di Colombo, dal quale si può ricostruire la rotta ed il percorso seguiti; ma la navigazione di quei tempi si basava su metodi troppo approssimativi per la stima della posizione in mare per poterne trarre informazioni molto precise. Inoltre il diario originale, consegnato alla regina Isabella, andò perduto non si sa come; e andò perduta anche la copia che la regina fece preparare, come riferimento, per Colombo alla partenza del suo secondo viaggio; di questa seconda copia, ci è pervenuta un'ulteriore copia fatta da Bartolomè de las Casas. Quindi il nostro documento storico "primario" è in realtà una copia di una copia.
Come secondo indizio, scavi archeologici nella San Salvador attuale hanno portato alla luce reperti dell'artigianato Taìno assieme a manufatti di chiara origine europea di quell'epoca, tutti potenziali oggetti di scambio: vetri, chiodi, ami, ed in particolare una monetina spagnola coniata negli anni '70 del XV secolo.
Ma anche questa non è una prova decisiva, poichè nello stesso viaggio Colombo toccò diverse isole, ed inoltre i Taìno commerciavano e scambiavano attivamente merci tra isole vicine.
Una possibile informazione sicura si potrebbe avere da un resoconto dell'arrivo degli stranieri da fonti storiche di origine indigena; basterebbe anche solo sapere quale isola i Taìno chiamavano Guanahani. Ma nessun Taìno è rimasto a poterlo raccontare.
Ma avrebbe potuto esserci un'altra fonte sicura di informazione: quale sarà stato il primo impatto zoologico degli spagnoli con il Nuovo Mondo ? Qualche uccello sarà scappato tra gli alberi; molto probabilmente qualche zanzara caraibica avrà avuto il suo primo assaggio di sangue europeo; ma sicuramente Colombo e i suoi 90 marinai videro la chiocciole terrestri del genere Cerion, che vivono numerosissime sugli arbusti costieri di tutte le isole: le chiocciole non scappano, e se pure, lo fanno alla loro caratteristica velocità lumachesca. Stanno lì, ed è impossibile non vederle.
Dai due centri geografici del Cerion, Cuba e le Bahamas, sono state descritte oltre 600 specie; in realtà molte di queste si sono rivelate interfeconde tra loro, quindi andrebbero ridotte a varietà locali; ma il ventaglio di diversità che questo genere di molluschi ha sviluppato sulle diverse isole è semplicemente straordinario. Si va da forme minuscole di 5 mm a giganti di 7 cm, e la conchiglia può variare dalla forma quasi cilindrica alla quasi sferica; può essere costoluta o liscia, e terminare con un cono molto compresso o con una forma affusolata. Quasi ogni popolazione locale ha sviluppato una conchiglia tipica e unica.
Qualche isola può avere una particolare pianta endemica, o un esclusivo animaletto che non vive altrove; ma queste chiocciole sono il marcatore geografico più preciso che si possa immaginare: sono comunissime in tutte le isole, e quasi ogni isola ha una sua popolazione caratteristica, distinguibile dalle altre per forma, colore, dimensione o altri caratteri della conchiglia. Nella San Salvador attuale, addirittura due varietà diverse e ben riconoscibili occupano la costa occidentale e quella orientale.
Se Colombo avesse raccolto e tenuto come ricordo del suo sbarco un singolo guscio di Cerion, oggi sapremmo con quasi assoluta certezza.
Ma il Cerion non luccica, non ha l'aria di essere prezioso, e non suscitò interesse. Indifferenti e inosservate, le chiocciole terrestri hanno visto sparire i vecchi abitanti umani delle loro isole, sostituiti da nuovi; ed hanno continuato imperterrite a sottolineare la tipicità e l'unicità dei luoghi, a dispetto e del tutto ignare dell'omologazione industriale dei villaggi turistici e dei Club Vacanze.
Bibliografia:
Stephen Jay Gould: Un Cerion per Cristoforo. In: I fossili di Leonardo e il pony di Sofia - Il Saggiatore, 2004.
Anniversari - 12 ottobre 1492 (3)
Se qualcosa accade, vuol dire che esistevano i presupposti perchè accadesse; ma ciò che non accade non necessariamente sarebbe stato impossibile. In molti casi, gli episodi della nostra storia (questo vale sia per la Storia dei libri, sia per le nostre vicende individuali) sono stati una sola delle molte possibilità che avrebbero potuto ugualmente verificarsi, e quale delle alternative eventuali ha avuto effettivamente luogo non sarebbe stato prevedibile a priori. E di solito ci è molto difficile immaginare quale strada avrebbe preso il corso della storia successiva se in una particolare occasione gli eventi avessero assunto una piega diversa.
Ciò non vuol dire che tutto avviene a caso; la storia segue, di solito, regole generali di cause ed effetti; ma quelle regole di solito portano a ventagli più o meno ampi di eventi possibili, uno solo dei quali si verifica in concreto, tra molti altri altrettanto plausibili.
Certamente, a volte anche il puro caso scompiglia le carte, e a volte scelte ponderate portano con sè conseguenze collaterali non prevedibili.
Nel viaggio di Cristoforo Colombo verso occidente alla ricerca del Cipango e del Catai, non solo la casualità, ma addirittura errori grossolani ebbero un ruolo determinante. Una stima straordinariamente precisa della circonferenza della Terra (40000 km) esisteva già dal 200 a.C., ad opera del matematico e astronomo egiziano Erastotene; in Europa nel medioevo circolavano però misure meno precise ed inferiori (32000 km). Colombo prese il valore in miglia arabe (1,83 Km) come espresso in miglia latine (1,24 Km) arrivando a sottovalutare la circonferenza della Terra a soli 25000 km. In più, sovrastimò l'estensione dell'Asia in senso est-ovest, fino ad ipotizzare il Giappone a meno di 4000 km dall'Europa, anzichè i 20000 km reali. Se non avesse inciampato nell'America proprio alla distanza "giusta" il suo equipaggio sarebbe morto di fame. Questa somma di errori fortunati ha fatto nascere molte congetture sul fatto che in realtà Colombo sapesse già dell'esistenza di una terra a quella distanza nell'Atlantico ed abbia "aggiustato" le misure per ottenere il finanziamento del viaggio: la leggenda del racconto del naufrago, quella delle mappe trovate chissà dove... non lo sapremo mai.
Ma altri eventi avrebbero potuto verificarsi in alternativa e non sono accaduti.
Più o meno contemporaneamente alla misurazione di Erastotene, nel III secolo a.C., all'altro capo del mondo, la Cina veniva unificata per la prima volta sotto un solo imperatore. Seguirono epoche cicliche di disgregazione e frammentazione in stati indipendenti, e ripetute riaggregazioni in impero unitario. L'ultima e definitiva unificazione della Cina fu determinata dalla conquista da parte dei Mongoli di Gengis Khan, nel 1279.
L'impero mongolo, il più grande della storia dell'umanità, esteso dalla Cina all'Ungheria, si dissolse in breve tempo, ma fu ciò che rese possibile il viaggio di Marco Polo: dal Mar Nero a Pechino non c'erano confini da attraversare. Del Kubilay Khan incontrato da Marco Polo, Gengis Khan era stato il nonno. Ma anche la dinastia Yuan, quella degli imperatori mongoli, ebbe breve durata, e fu soppiantata, dal 1368, dalla dinastia Ming.
Non so se tra i vanti dell'impero Ming ci sia mai stata una fiorente produzione di preziosi vasi invariabilmente destinati a finire in frantumi nelle storielle a fumetti; di sicuro, fino alla prima parte del XV secolo, ci fu una straordinaria espansione del commercio navale.
Giganti del mare da 120 metri con equipaggi di migliaia di uomini e persino orti a bordo per l'approvvigionamento di cibi freschi solcavano l'Oceano Indiano, ed enormi spedizioni commerciali cinesi si spingevano fino alla costa orientale dell'Africa e all'Arabia. All'inizio del '400 la Cina aveva in pieno la tecnologia navale per tentare di aprire una rotta commerciale verso l'Europa attraverso il Pacifico, per soppiantare la scomoda e pericolosa Via della Seta terrestre, e quindi scoprire che esisteva un nuovo continente nel mezzo.
Inoltre, era un grande Stato unitario, un sicuro vantaggio politico rispetto all'Europa, spezzettata in staterelli sempre in guerra fra loro. Dunque, perchè l'America non fu scoperta dai cinesi ?
L'abbandono del commercio marittimo fu dovuto semplicemente ad un divieto imposto dall'Imperatore, per motivi di politica interna. I rischi di disgregazione dell'impero e di feudalizzazione erano molto forti, perchè durante l'epoca Yuan si erano rafforzati non solo il ceto nobiliare, ma anche quello dei generali, la cui carica era diventata ereditaria.
Minacce erano già pressanti alle frontiere, sia dalla Mongolia che dalla Manciuria, ed il prestigio dei militari si rafforzava sempre più. Le grandi navi cinesi erano bersaglio della pirateria giapponese, e piuttosto che intraprendere una guerra contro i pirati, che avrebbe assicurato ulteriore potere alla casta militare, l'Imperatore Hung Hsi scelse, dal 1434, di adottare una politica isolazionista e chiudere i commerci marittimi. Di conseguenza chiusero anche i cantieri e non vennero più costruite nuove navi. Il danno dell'autarchia era trascurabile, poichè c'era una sola Cina, e nessun'altra Cina avrebbe potuto trarre vantaggio dal vuoto lasciato nei traffici transoceanici.
A questo punto, se un ipotetico Cristoforo Colombo cinese avesse chiesto all'Imperatore di finanziare una spedizione attraverso il Pacifico, si sarebbe sentito rispondere di no; ed essendoci un solo Imperatore, non avrebbe avuto nessuna altra porta a cui bussare.
Il Colombo reale chiese finanziamenti in Spagna, in Portogallo, spedì suo fratello alle corti di Inghilterra e Francia, si rivolse anche alle Repubbliche di Genova e di Venezia; ed infine, dopo tanti rifiuti, riuscì a convincere, in seconda battuta, i Reali di Spagna.
L'Europa divisa e disgregata gli si volse in opportunità.
Come si vede non c'è niente di casuale, ogni evento ha le sue cause ed i suoi effetti, ma le ragioni che tagliarono fuori la Cina dalla possibilità, del tutto plausibile, di conquistare l'America furono del tutto contingenti ed occasionali, non prevedibili a priori.
Ed è un esercizio futile ma affascinante provare ad immaginare come sarebbe stata la storia moderna se l'America fosse stata scoperta da quell'immaginario Cristoforo Colombo cinese che non potè viaggiare. Sarebbe stato diverso il destino delle popolazioni native ? Ci sarebbe stato un George Washington con gli occhi a mandorla ? E avrebbero avuto più possibilità di raggiungere prima l'indipendenza gli stati del Sud America rispetto a quelli del Nord ? Wall Street a Buenos Ayres ? E fin dove sarebbe sprofondata l'inevitabile marginalità dell'Europa senza le ricchezze prelevate dal Nuovo Mondo ? E' molto probabile che avreste letto questo testo scritto in ideogrammi in lingua Han.
Bibliografia:
- Helwig Schmidt-Glintzer: Storia della Cina. Mondadori, 2005.
- Jared Diamond: Armi, acciaio e malattie. Einaudi, 2006.
martedì 4 ottobre 2011
Piovre
Le reti di potere più infestanti, pervasive, tentacolari e capillari che operano sul territorio italiano possono misurare la loro forza sulla compattezza dell'organizzazione, e quindi sulla scarsità di opportunità di fuoriuscita.
Infatti:
- sono pochissimi i pentiti di 'ndrangheta;
- abbiamo ora notizia del primo pentito di Confindustria;
- non risulta ancora nessuna informazione sull'esistenza di pentiti di Radio Maria.
Infatti:
- sono pochissimi i pentiti di 'ndrangheta;
- abbiamo ora notizia del primo pentito di Confindustria;
- non risulta ancora nessuna informazione sull'esistenza di pentiti di Radio Maria.
lunedì 3 ottobre 2011
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