Un mesetto fa, nel post del 20 febbraio, abbiamo fatto conoscenza con lo scimpanzè Congo e con gli elefanti pittori; e si è detto della accuratezza di Congo nello scegliere i colori per i suoi quadri astratti. Ma Congo vedeva i colori proprio come noi ? Quante volte vi siete sentiti dire del vostro cane o del vostro gatto che "vede solo in bianco e nero" ?
Seguire le tracce della storia della visione cromatica negli animali ci offre un racconto tortuoso e per niente scontato.
Partiamo dai fondamentali. Quella che il nostro occhio percepisce come luce è una strettissima fascia di radiazioni elettromagnetiche, di lunghezza d'onda che va all'incirca dai 400 ai 700 nanometri (1 nm = 1 milionesimo di millimetro), in mezzo tra i molti metri delle onde radio, e i millesimi o milionesimi di nanometro dei raggi gamma.
La molecola eccitabile dalla luce nei nostri occhi è di una sola specie, si chiama 11-cis-retinale, è un derivato dei caroteni e la ricaviamo dalla vitamina A. Ma il retinale non agisce da sè: è legato ad una proteina (opsina), in un complesso che abbonda nelle convolute membrane dei coni e bastoncelli, le cellule sensoriali che tappezzano la nostra retina.
L'eccitazione del pigmento fotosensibile (retinale + opsina = rodopsina) induce una serie di eventi elettrochimici a cascata, su cui non vale la pena di dilungarsi, che si traducono, se il numero di molecole attivate è sufficiente, in un impulso nervoso che, attraverso il nervo ottico, perviene ad un'apposita area della corteccia cerebrale come percezione attribuita a quel preciso punto della retina.
I bastoncelli sono le cellule specializzate nel raccogliere le variazioni di luce/ombra, specialmente con bassa intensità: quando vi alzate di notte e cercate di raggiungere il bagno senza accendere la luce, vi permettono di centrare, salvo spigoli maligni, la porta grazie alla poca differenza di luminosità della stanza accanto; i coni sono le cellule sensibili ai colori, e richiedono un'illuminazione più forte.
Un primo punto essenziale è che la lunghezza d'onda a cui il retinale ha massima eccitabilità viene modificata dai diversi tipi di opsina a cui esso è legato. Quindi proteine diverse corrispondono a diverse lunghezze d'onda di "picco" di sensibilità del recettore, cioè a colori diversi che siamo in grado di percepire, ed ogni singola mutazione può fare slittare tale picco un pò più su o un pò più giù nella gamma delle onde visibili.
Ed ogni cono della retina produce un solo tipo di opsina, grazie ad un relativamente semplice meccanismo di regolazione dell'espressione genica: quando, durante lo sviluppo embrionale, in ciascun cono si attiva, del tutto a caso, uno dei diversi geni che codificano le diverse opsine, questo inibisce immediatamente l'espressione di tutti gli altri. Così, grazie al numero elevatissimo di cellule, si ottiene un mescolamento casuale dei coni sensisbili ai diversi colori in ciascuna area della retina.
Come probabilmente tutti sanno, noi abbiamo una visione tricromatica, basata cioè su tre diversi tipi di coni aventi come proprio massimo di sensibilità tre diverse lunghezze d'onda (banalmente, blu, verde e rosso).
Ma com'è andata la storia dei nostri occhi ?
Nella maggior parte dei Vertebrati attuali, in particolare nei Pesci, Rettili e Uccelli, troviamo in generale addirittura quattro tipi di opsine (tre negli Anfibi), con variazioni della sensibilità dei recettori per le lunghezze d'onda più corte che sconfinano spesso nell'ultravioletto, e quindi, oltre alla "quarta dimensione" nella capacità di distinguere i colori, anche la possibilità di vedere radiazioni luminose che noi non percepiamo. Data la sua estensione in (quasi) tutte le Classi, dovremmo considerare questa come la condizione ancestrale dei Vertebrati.
Ma nei Mammiferi la situazione è miseramente più semplice: rimangono solo due tipi di opsine, codificate da due sole famiglie superstiti di geni, le stesse in tutta la Classe: una per le lunghezze d'onda corte, blu-violetto (con ancora picchi spostati nell'ultravioletto in alcuni Roditori), ed una per le onde medio-lunghe, sul verde-arancio-rosso. Teniamo presente che i Mammiferi "nascono" come animali notturni, avendo fin dalle origini, un 200 milioni di anni fa, abdicato allo strapotere dei grandi rettili lo sfruttamento degli habitat terrestri diurni e con esso, a quanto pare, la visione quadricromatica. La tendenza a ridurre la capacità di percezione del colore in associazione ad abitudini notturne sembra del resto essersi manifestata a più riprese, poichè alcune specie attuali, sparse in diversi Ordini di Mammiferi, spiccatamente nottambule, hanno ulteriormente ridotto la loro dotazione ad un solo tipo di coni, divenendo "monocromatiche" (il che non significa che tale perdita sia necessaria ed automatica: ad esempio i Chirotteri, cioè i pipistrelli, conservano allegramente le loro due pressochè inutili opsine diverse).
Sfatiamo dunque un luogo comune: il vostro micio, o Fido, come pure l'elefante che dipinge, non vede in bianco e nero: ha una capacità ridotta rispetto a noi di discriminare tra colori: avendo due soli tipi di recettore, ed uno anzichè due per la parte medio-lunga dello spettro, non saprà riconoscere, ad esempio, il verde dal rosso, esattamente come un uomo daltonico. Inoltre, l'adattamento alla vita notturna comporta una prevalenza dei bastoncelli rispetto ai coni, quindi la visione dei colori sarà un pò meno vivida, più tenue e sfumata, in favore del fascinoso universo delle ombre crepuscolari di succulenti sorci evasivi e sfuggenti (e ultravioletto-vedenti !).
Se ora facciamo il punto, troviamo qualcosa che non torna: dal Vertebrato originario, che vede un mondo riccamente quadricromo, discende il Mammifero primordiale con sole due dimensioni nella sua scala cromatica (con occasionali ulteriori tendenze alla riduzione). E allora noi ? Privilegiati per diritto nobiliare ? Creati ad immagine e somiglianza del Tizio - uno e trino, col triangolo 'n coppa a 'a capa - efffiguriamoci se chillo llà non tiene tre coni (e infiniti bastoncelli)...
Ebbene, la storia della visione nei Primati è meravigliosamente aggrovigliata, e ve la racconterò nella prossima puntata.
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