venerdì 24 giugno 2011

Un passo avanti e due indietro



Lunedi scorso la Suprema Corte degli Stati Uniti ha dato la sua sentenza sul caso "American Electric Power contro Connecticut", una controversia ricca di implicazioni, i termini della quale, in sintesi, erano nel tentativo di forzare uno dei principali produttori di energia elettrica a ridurre le emissioni di gas serra in quanto esse contribuiscono al cambiamento climatico, il quale a sua volta è di pubblico nocumento.

La sentenza è stata, come prevedibile, un nulla di fatto: la Corte ritiene di non avere competenza a decidere sulla materia, poichè il Congresso degli Stati Uniti ha delegato, con il Clean Air Act ("legge dell'aria pulita"), l'autorità a regolare le emissioni di gas a effetto serra alla Environmental Protection Agency (EPA), l'Ente per la protezione ambientale.

Nel discutere la sentenza sulla rivista Nature, Douglas Kysar coglie qualche aspetto positivo e qualche implicazione pericolosa: intanto si consolida il riconoscimento che l'EPA ha la facoltà di regolare la "banale" anidride carbonica come un inquinante dannoso. Inoltre, poichè la base per non emettere sentenze per pubblico nocumento è solo ed esclusivamente l'autorità conferita dal Congresso alla stessa EPA, si arginano i tentativi delle varie consorterie di industriali e grandi inquinatori di esercitare pressioni sul Congresso per "neutralizzare" tale ruolo e ridurre o azzerare il potere regolatorio dell'EPA sulle emissioni di CO2: rischierebbero di cadere dalla padella nella brace, poichè a quel punto si ristabilirebbe l'autorità dei tribunali e si troverebbero a fronteggiare sciami di cause per pubblico nocumento.

Un aspetto negativo è che la sentenza esplicita che il fatto che l'EPA abbia l'autorità di regolare le emissioni di gas serra sbarra la strada ad ulteriori azioni legali anche nel caso che l'EPA decida di non esercitare tale autorità, cioè che non prenda nessun provvedimento in merito.

Ma quello che a Kysar appare ancora peggiore è l'involuzione della cultura collettiva attorno all'argomento: mentre in una precedente sentenza in tema di effetto serra nel 2007 la stessa Corte Suprema prendeva come riferimenti "le rispettate convinzioni scientifiche" e le indicazioni della Commissione Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici (IPCC), oggi i toni si fanno più sfumati e la Corte si cautela di "non sostenere nessuna particolare visione dei complicati argomenti correlati ad anidride carbonica e cambiamento climatico" ed anzi avverte dell'esistenza di "posizioni diverse da quelle dell'EPA".
In sostanza, il fatto che quattro scettici abbiano avuto a disposizione tutte le rumorose grancasse dei mezzi di comunicazione sta aprendo pericolose falle di disinformazione sulla reale posizione della stragrande maggioranza della comunità scientifica.

Certo, che negli Stati Uniti il dibattito si stia svolgendo in questi termini, per noi in Italia è roba da strabuzzare gli occhi: qui, nel cuore del Mediterraneo, in una delle aree più vulnerabili ai rischi di inaridimento e desertificazione, di istituzioni che anche soltanto provino a immaginare una regolamentazione delle emissioni di gas serra non si parla neanche (e i risultati si vedono); sono argomenti che comportano scelte politiche di un qualche respiro, e noi sappiamo in che mani siamo; e quanto all'impatto del tema sull'opinione pubblica, meglio non pensarci neanche: d'altronde l'opinione pubblica si forma in base alla qualità dell'informazione, ed in questo campo in che mani siamo lo sappiamo ancora meglio.

E in Europa ? Sarà l'Unione dei 27 a mettere una toppa alle nostre falle come spesso succede ? Pare di no. Per ora siamo fermi all'obiettivo, minimo ma proprio minimo, della riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 20 % rispetto al 1990, entro il 2020 (minimo ma per l'Italia già praticamente irraggiungbile: si è fatto sostanzialmente nulla fino adesso, e la nostra produzione di gas serra anzichè diminuire continua ad aumentare). Nei giorni scorsi alcuni paesi avevano proposto di alzare l'asticella al 30 % di riduzione, sempre entro il 2020, ed alla fine si era arrivati al compromesso del 25 %. Ma per queste decisioni è richiesta l'unanimità, e la Polonia, unica contro 26, ha votato contro.
La Polonia produce il 90 % della sua elettricità bruciando carbone, che è il più "sporco" dei combustibili fossili, ed il ministro dell'ambiente Kraszewski ha dichiarato di aspettarsi "maggiore comprensione dell'Europa verso la situazione di specifici Stati membri".

Noi che siamo abituati alla Confindustria che richiede comprensione per quei poveri padroni i cui profitti non sono più quelli di una volta, ed invoca (ascoltata) politiche di incentivazione dei consumi, comprenderemo anche le centrali a carbone polacche. Però quando il tempo scade, bisognerà anche comprendere le conseguenze di tutte queste benevole comprensioni.

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