domenica 14 ottobre 2012

Campi Flegrei


Si può essere anti-divisti finchè si vuole, ma incontrare sulla propria strada un'autentica star di chiara fama qualche emozione la suscita sempre. Se poi nelle pieghe della biografia dell'oggetto della nostra devozione si scova una soluzione a qualche piccolo enigma personale, c'è un sottile supplemento di soddisfazione.

La cittadina di Baia, a nord di Napoli, è il sito di un complesso termale di epoca romana di dimensioni davvero impressionanti; ma soprattutto il castello aragonese che sovrasta l'abitato ospita il Museo Archeologico dei Campi Flegrei, una vera sorpresa per ricchezza e bellezza di reperti. La zona è soggetta a bradisismo, il lento abbassamento o innalzamento del suolo, per cui lo stesso centro storico romano di Baia è oggi completamente sotto la superficie del mare, e molti reperti sono stati ripescati dopo secoli di immersione.
Nel presentare una statua di Iside (i culti egizi erano ben in voga in epoca precristiana) visibilmente reduce da lunga esistenza palombaresca, la guida ha attribuito, peraltro in perfetta concordanza con la targhetta didascalica, i fori e le intaccature sulla superficie a "Litodomi", animali dei quali nè io nè una giovane prossima collega più specializzata di me sugli esseri marini, abbiamo trovato traccia nelle rispettive memorie, nè in questa logora e vetusta, nè in quella più fresca di età e di studi.
Ci siamo quindi entrambi ripromessi di verificare a casa l'eventuale svarione. Ebbene, ho dovuto constatare che i Litodomi, in una denominazione poco usata, non sono altro che i preziosi e prelibati datteri di mare (Lithophaga lithophaga), vietatissimi, oltre che per la loro stessa salvaguardia, appunto perchè la raccolta comporta lo sgretolamento della roccia su cui essi si fissano. Poichè dunque, se non altro come nome improprio, i Litodomi esistono, non posso fare altro che rinfoderare il mio scherno ed assegnare un punto a favore della guida e degli estensori delle targhette del museo. Ma la nomenclatura già è una necessità ordinativa che ben poco può avere di eccitante: perchè complicarsi ulteriormente la vita con nomi inappropriati ? Se proprio si volesse italianizzare il nome scientifico, sarebbero casomai Litofagi, non Litodomi.

Così, senza che sapessi di essere già in svantaggio per zero a uno, da Baia si è passati per l'abitato di Pozzuoli, dove ho avuto l'occasionale incontro con quella celebrità della Storia Naturale. Ne avevo letto in un saggio di Stephen Jay Gould (1), e la fugace visione - non facevano parte del nostro itinerario, e mi sono dovuto accontentare di un'occhiata, rapida ma attenta, dal finestrino del pullman - delle imponenti tre colonne del cosiddetto Tempio di Serapide (e ci intrecciamo ancora con un culto egizio ed anche con una attribuzione errata, poichè facevano parte in realtà del complesso di edifici del mercato) è stata un attimo di quelli che restano nella memoria. E una rilettura del saggio era d'obbligo per l'occasione.

Charles Lyell (1797 - 1875), considerato il padre della geologia moderna, scelse l'immagine delle tre colonne di Pozzuoli come ouverture di tutte le dodici edizioni del suo trattato più importante (e fra i più importanti della storia della scienza), Principles of Geology, a partire dal 1830.
Di tutta la gamma di ambiti geologici presi in esame nei tre volumi del ponderoso trattato, l'area vesuviana è quella che di gran lunga riceve la maggiore attenzione. Ed a proposito delle colonne di Pozzuoli, Lyell fa due osservazioni cruciali: "lisce e intatte fino all'altezza di circa 360 centimetri sopra la base" sui circa 12 metri di altezza complessiva, e quindi: "Sopra questo livello c'è una zona, alta circa 270 centimetri, in cui il marmo è stato scavato da una specie di mitilide marino perforante, il Lithodomus."
Toh, chi si rivede. La relativa nota, neanche di Gould, ma del traduttore Libero Sosio (che considero affidabilissimo) è laconica: "Meglio noto oggi come Lithophaga lithophaga, è il comune dattero di mare". Litodomo è dunque una denominazione semplicemente desueta e fuori corso. Non escluderei che l'essere citato come tale nel testo più fondativo della scienza geologica, abbia favorito la persistenza del fantasmatico Litodomo nella nomenclatura usata da categorie quali curatori di musei e affini.
Lo scopo delle osservazioni di Lyell non era però quello di risolvere i miei dubbi in merito al dattero di mare. Le colonne, scoperte nel 1750, erano state erette nel I o II secolo d.C., ovviamente sopra il livello del mare; i segni delle litofaghe (oh, là: tiè !) fin oltre i sei metri di altezza indicano uno sprofondamento di tale consistenza (i datteri di mare vivono solo sotto la linea di bassa marea), mentre la base, per oltre tre metri e mezzo, era presumibilmente ricoperta di sedimenti o di ceneri vulcaniche; seguito poi da uno speculare sollevamento di nuovo sopra il livello del mare, dove si trovano ora, nel breve volgere di meno di 2000 anni. E tutti questi, pur macroscopici, movimenti devono essere stati sufficientemente lenti e delicati da non far cadere le colonne.
Per capire l'importanza dell'argomento occorre immergersi nello "spirito del tempo": nell'epoca in cui Lyell scriveva era in voga la concezione, detta "catastrofista", di una Terra staccatasi dal sole come globo incandescente e poi progressivamente raffreddatasi. La storia geologica sarebbe stata dunque plasmata da immani sconvolgimenti generati dal raffreddamento e indurimento della crosta, accompagnati dal raffreddamento e contrazione del magma fuso all'interno, con successivi episodi di collasso delle cavità che in tal modo si sarebbero generate tra crosta e mantello. Tale teoria forniva anche una direzionalità precisa agli eventi geologici, poichè i cataclismi in grado di modificare l'aspetto del pianeta sarebbero sì tuttora in atto, ma in corso di progressivo rallentamento, con l'approssimarsi di una tranquilla maturità per una Terra in gioventù ben più focosa (in senso letterale) e turbolenta.
Lyell era invece il più autorevole esponente della scuola di pensiero opposta, detta "attualista" o "uniformista": la storia geologica è modellata da fenomeni che possiamo osservare attualmente in azione, e che possono cumulare grandi effetti attraverso minime alterazioni continue e graduali: il corso d'acqua scava la roccia giorno dopo giorno per formare gole e valli, e minime quantità di sedimenti depositati continuamente plasmano le grandi pianure, le montagne si sollevano terremoto dopo terremoto e vengono continuamente erose: i grandi eventi catastrofici possono avere un effetto locale e temporaneo, ma non sono molto rilevanti nel corso generale della storia: lasciano semplicemente tracce più vistose e appariscenti rispetto alla quotidianità di fenomeni lenti e continui come erosioni e sedimentazioni. La Terra sarebbe quindi in uno stato complessivamente stazionario e la storia geologica non è, nel complesso, direzionale: terre si sollevano ed altre sprofondano; minimi sollevamenti e lente erosioni plasmano le montagne.
Ora possiamo capire il perchè di tanta attenzione riservata al vulcanismo del Golfo di Napoli: quale entità geologica più dell'area vesuviana è legata all'idea di grande catastrofe nella storia e cultura dell'Occidente ?
Il drammatico racconto di Plinio il Giovane della morte del nonno per osservare l'eruzione del 79 d.C.; la scoperta (recente ai tempi di Lyell) di Ercolano e poi di Pompei con le loro figure di vita quotidiana pietrificata all'improvviso; l'impressionante formazione del Monte Nuovo, un cono vulcanico alto 133 metri spuntato dal nulla alla periferia di Pozzuoli in meno di 48 ore di eruzione, tra il 29 settembre ed il 1 ottobre 1538.
Persino Amelia la fattucchiera che ammalia dal suo antro sul Vesuvio trama attivamente per sottrarre il prezioso decino portfortuna a Paperon de' Paperoni: pare davvero che ogni evento disastroso debba scatutrire da questo preciso punto della Terra.
Lyell andava dunque a giocare la sua partita intellettuale sul campo avverso: affiancata alle argomentazioni teoriche sulla non determinante rilevanza degli sconvolgimenti disastrosi e puntiformi nella grande scala del tempo geologico, l'osservazione diretta di un fenomeno di abbassamento e risollevamento del suolo tanto esteso e macroscopico, verificatosi nel brevissimo lasso di tempo di meno di duemila anni e dovuto solo a piccoli movimenti lenti e graduali, come quello delle colonne di Pozzuoli, in uno scenario tanto prodigo di cataclismi, gli forniva un appiglio particolarmente favorevole per mostrare le superiori possibilità del gradualismo nello spiegare tutta la varietà della storia geologica del pianeta.
Oggi immagino che la maggior parte dei geologi non abbracci più un uniformismo così intransigente e la storia geologica sia interpretata con più flessibilità rispetto alle rigidità di Lyell, ma in quel momento egli celebrò il suo trionfo intellettuale in "territorio nemico" esponendo a mò di trofeo l'immagine delle colonne di Pozzuoli in apertura dei Principles of Geology.

Il discorso meriterebbe però a questo punto un'appendice e l'apertura di qualche parentesi. Ma, onde non fare la fine di Franco Bragagna, rimanderò le estensioni ad una prossima puntata. A presto.

(1) S.J. Gould - Le colonne della saggezza di Lyell - in: Le pietre false di Marrakech. Il Saggiatore, 2007.

2 commenti:

  1. Sei contento adesso? Se fai il bravo ti porto ancora in giro a fugare altri dubbi! Intanto aspetto le foto...lumaca!!!

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  2. Foto ampiamente pubblicate già da qualche giorno... cecata !

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