venerdì 29 marzo 2013
Il prossimo tuo
Proverò prima a disegnare una delle possibili soluzioni, e poi ad esporre il problema che mi ha spinto a cercarla.
Alcuni mesi fa (se ricordo bene le circostanze, i primi di ottobre o giù di lì) avevo ascoltato un divertente argomento di discussione radiofonica, che sintetizzerei all'incirca così: il culto protestante prevede che ciascuno si legga le sacre scritture per conto suo, e ne ricavi sue proprie riflessioni. Questo sarebbe un procedimento individualmente responsabilizzante sul piano morale, che spinge ciascuno ad interrogarsi sul valore etico delle proprie azioni: "Ho fatto qualcosa di cui dovrei vergognarmi ? Sì, me ne vergogno / No, non me ne vergogno" (barrare la casella che interessa). E pare che nei Paesi pervasi da questo tipo di cultura religiosa, la tendenza comportamentale corrisponda grossomodo a questo tipo di modello (poi il protestantesimo ha a sua volta le sue nefandezze peculiari, su cui ci soffermeremo in altre occasioni).
La cultura cattolica offrirebbe, secondo questo tipo di argomento, molte più scappatoie e scorciatoie alle coscienze sporche, sia attraverso il circolo vizioso: peccato-confessione-perdono-eccomi lindo e pinto, così posso ricominciare da capo; sia perchè la scelta dei comportamenti etici non è frutto di elaborazione individuale, ma è imposta dall'alto da un'autorità clericale, ed è pertanto uguale per tutti.
E una morale preconfezionata uguale per tutti offre comodi confronti per alleggerire i peccatucci di ciascuno: "E allora gli altri ?"
L'occasione in cui ho sentito esporre questo ragionamento era la vicenda del dirigente dell'ALER (Istituto delle Case Popolari) di Lecco, in quota PDL, che da anni parcheggiava la sua costosa automobile nel posto riservato ai portatori di handicap accanto al suo ufficio (perchè era sempre libero). Il giorno in cui un portatore di handicap, trovando il posto occupato, ha chiamato un vigile che ha erogato la doverosa contravvenzione, il dirigente si era sfogato tagliando le gomme dell'automobile dell'handicappato. Poi, a sua giustificazione, aveva dichiarato alla stampa: "Beh, c'è chi fa di peggio."
Ecco, gli altri sono davvero una bella garanzia: hai sempre la possibilità di trovare qualcuno un pò più colpevole di te.
L'argomento delle influenze religiose su questo tipo di comportamenti è piuttosto accattivante, ma non so quanto fondamento reale possa avere. Ad ogni modo, abbiamo sotto gli occhi campionari vasti a piacere per scogliere le briglie alla fenomenologia della colpevolezza che, se condivisa, diventa, per vie imperscrutabili, una mezza innocenza.
"Qui è vietato fumare." - "Ma fumano tutti." - "Ma LEI, sta fumando, sì o no ?"
Negli anni gloriosi, e ahimè troppo fuggevoli, del riscatto nazionale, con l'inchiesta Mani Pulite che quasi ogni giorno segnava un arresto illustre, sul sottofondo del sacrosanto e melodioso tintinnar di manette, i bustarellari di turno, lungi dal riconoscere introspettivamente "Ho rubato" spulciavano invariabilmente la morale del prossimo: "Ma rubano anche gli altri".
Persino i sostenitori della Juventus retrocessa con ignominia sembravano voler alleviare il disdoro della propria bandiera attraverso la condivisione: "E allora gli altri ?" La risposta che gli altri non avevano Moggi tra i propri tesserati non sembrava una risposta soddisfacente.
Ed ho sentito con le mie orecchie il cattolico tifoso di Valentino Rossi, alla notizia del suo idolo pizzicato in residenza londinese, fittizia ma dotata di tutti i comfort erariali, lamentare: "Ma con tutti gli evasori fiscali che ci sono, proprio a lui devono andare a rompere i coglioni ?"
E non poteva certamente mancare la casa madre: vai a ricordare chi fu quel vescovo che dopo aver ricevuto apposita illuminazione, dichiarò: "I pedofili ci sono anche fuori dalla Chiesa." E vorrei anche vedere.
Ama il prossimo tuo come te stesso, ma soprattutto accertati che abbia l'anima almeno altrettanto sporca, che sennò ti fa sfigurare.
Insomma, pare che, per motivi che mi sfuggono, se si pecca in compagnia, non sia poi così peccato. Un inferno affollato avrà forse diavoli più distratti nell'infliggere pene e dolori ? Non sono un esperto dell'argomento e non lo so. Se tutti peccano, il peccato non è più peccato ? Ve lo immaginate un maxiprocesso di mafia con 260 imputati, che si conclude con la sentenza: tutti gli imputati sono colpevoli dei reati loro ascritti, quindi: assolti.
Ed eccoci alla scenetta di oggi che mi ha indotto a sollecitare lungamente il mio mononeurone fino ad arrivare all'argomentazione qui sopra esposta.
Stavo camminando con morigerata allegria per le vie cittadine, nel consueto clima di morigerato grigiore, quando un signore, privo di qualsiasi divisa o distintivo, ma affiancato da uno di quei soggetti con giubbotto fosforescente da ausiliario del traffico che gli automobilisti considerano emanazione diretta di Satana, ha apostrofato un tizio in giacca e cravatta che si accingeva a salire sull'automobile parcheggiata sull'altro lato della strada, in regime di righe blu: "Lei ce l'ha il tagliandino ?" L'altro farfuglia risposte: "Sono stato qui cinque minuti nel negozio..." (quella dei "cinque minuti" è un'altra categoria fenomenologica che meriterebbe un saggio a parte), ma l'inquisitore lo incalza: "Non è vero, è mezz'ora che la macchina è parcheggiata lì, l'ho vista, sa ?" "Guardi che ho preso la targa, eh, le ho fatto la foto." "Ho qui la foto della sua macchina parcheggiata e la sua targa !" "Lei non ce l'ha il tagliandino, eh ?" "Io lì ho preso 41 Euro di multa, adesso, se la legge è uguale per tutti, se il tagliandino non ce l'ha, la multa la prende anche lei !" "Ho qui la foto ! Ho la sua targa ! A me 41 Euro mi hanno fatto di multa ! La legge è uguale per tutti, o no ?" E, cedendo il proscenio all'ausiliario del traffico visibilmente imbarazzato, ma disciplinatamente pronto con blocchetto aperto e biro spianata: "Adesso, LUI le fa la multa !"
Passanti esterrefatti.
Questo tale, dunque, aveva preso una multa per sosta senza versamento di obolo al parchimetro, e quindi si era appostato nella via, con tanto di macchina fotografica e pronto a chiamare il primo ausiliario nei dintorni, per assicurarsi che venissero multati anche gli altri automobilisti in difetto.
E' una città molto, molto cattolica.
Mi rimangono ancora un pò di interrogativi. Salto a piedi pari il quesito morale se sia giusto o non giusto; ma: per quanto tempo il peccatore pentito si metterà al servizio della legalità e dell'uguaglianza ? Passerà il resto della sua vita sulla strada armato di macchina fotografica ? Quando impareranno a riconoscerlo si attrezzerà con un capanno mimetico ?
Sarà soddisfatto, stasera ? E in che cosa consiste la soddisfazione ? Rimborsato, no. I suoi 41,00 Euro di multa non li riavrà indietro di sicuro facendo multare gli altri. E se il timido ausiliario, combattuto tra imbarazzo e un pò di riluttanza, al secondo automobilista comminasse una sanzione di 39,75, lui come la prenderebbe ?
domenica 24 marzo 2013
Picasso, la scimmia e la vitamina A - seconda parte
Eravamo rimasti, nella nostra piccola ricostruzione storica della visione cromatica, ad una condizione originaria di Vertebrato con quattro tipi di coni nella retina, e quindi a quattro "dimensioni" nella capacità di discriminare colori, e ad una situazione derivata, nella generalità dei Mammiferi, di riduzione a due soli tipi di coni, una perdita di funzioni presumibilmente legata alla nostra lunga esistenza come animali notturni.
E dunque come abbiamo acquisito, noi Homo, la nostra attuale situazione intermedia di visione tricromatica ?
Da venti o trent'anni si stanno accumulando informazioni sui geni che codificano le opsine, le proteine legate alla molecola fotosensibile 11-cis-retinale, e che ne possono fare "slittare" in qua o in là le lunghezze d'onda di massima sensibilità. E dalle loro somiglianze o differenze negli animali attuali si possono ricostruire le loro antiche parentele.
E la storia è tortuosa, vi avevo avvisato.
Quindi, ragazzi, massima attenzione.
I gusti crepuscolari dei primi Mammiferi devono aver conferito un certo vantaggio alla riduzione della originaria ricchezza di colori nella visione dei loro antenati rettiliani, poichè tale tendenza alla perdita di funzioni si è manifestata presto e ripetutamente: delle quattro famiglie di geni codificanti opsine presenti negli altri Vertebrati, due spariscono nei Monotremi (Ornitorinco ed Echidna), che hanno separato il loro cammino dagli altri Mammiferi già oltre 160 milioni di anni fa; ma non sono le stesse (una sì ed una no) di cui hanno fatto a meno gli Euterii, cioè noi con la maggior parte degli altri Mammiferi, ad eccezione dei Marsupiali (dai quali ci siamo separati 140-150 milioni di anni fa) nei quali la situazione è più variegata ed intermedia. Inoltre, come abbiamo già detto nella puntata precedente, qua e là in Ordini diversi, specie spiccatamente notturne hanno ulteriormente ridotto la dotazione di rodopsine nei propri coni ad un solo tipo. Quindi sembrerebbe che queste perdite siano state guidate da una certa pressione selettiva.
Ma a partire da un 65 milioni di anni fa, parecchi gruppi di Mammiferi hanno cominciato a prendere familiarità con la luce del giorno, incoraggiati dalla contingenza storica che, manifestatasi sotto forma di meteorite, ha sfoltito buona parte della concorrenza.
Ed eccoci infine all'intricata vicenda dei Primati.
I gruppi da cui la nostra linea di discendenza si è separata più precocemente (Strepsirrine), come i Lemuri, consevano l'impianto visivo mammaliano standard, con due tipi di coni; nelle scimmie si presenta un caso piuttosto curioso.
Noi, come tutte (per quel che ne sappiamo finora) le scimmie Catarrine, cioè quelle africane ed asiatiche (babbuini, amadriadi, mandrilli, gibboni, ecc., e naturalmente i nostri parenti ancor più prossimi orang-utan, gorilla e scimpanzè) disponiamo di tre tipi di opsine, e quindi di coni, che però risalgono alle due famiglie di geni superstiti comuni a tutti gli altri mammiferi Euterii; uno, quello per le corte lunghezze d'onda (blu-violetto) si trova sul cromosoma 7; gli altri due geni si trovano uno vicino all'altro sul cromosoma sessuale X, e sono pressochè identici, poichè le due opsine che modificano la sensibilità dei nostri coni per il verde e per il rosso differiscono per solo 3 aminoacidi in una catena di 364. Quindi c'è tutta l'evidenza di un fortunato evento di scambio diseguale tra due cromosomi X che, ad un certo momento della storia, in qualche parte dell'Africa, in una antica scimmia, ha lasciato una doppia copia dello stesso gene su uno dei due e nessuna sull'altro.
Non si tratta di un evento eccezionale: a volte capita quando, durante la meiosi, cioè il processo di "preparazione" delle cellule riproduttive, le due copie dei cromosomi ricombinano scambiandosi delle parti, che tale scambio non sia del tutto preciso e piccole parti di cromosoma rimangano in doppia copia da una parte ed assenti dall'altra.
Questo evento si dev'essere verificato in una femmina, poichè solo le femmine hanno due cromosomi X che possono scambiarsi segmenti; al termine della meiosi la cellula uovo risultante ha avuto in dotazione la copia "fortunata" del cromosoma X e non quella "povera", ed infine quell'uovo è stato fecondato, e la discendenza ha avuto fortuna, e presumibilmente notevoli vantaggi (in animali ormai diventati diurni !), poichè quel cromosoma X con quel piccolo pezzettino in più è diventato infine l'unico presente in tutte le scimmie catarrine attuali fino a noi.
Il fatto che i geni che codificano le proteine dei recettori per il verde e per il rosso si trovino sul cromosoma X, rende conto del fatto che quasi tutti i daltonici siano maschi.
Mutazioni che rendono inefficiente uno dei due recettori determinano l'incapacità di distinguere i colori di quella zona dello spettro, e sono relativamente rare. I maschi hanno un solo cromosoma X, e quindi chi ha in sorte un cromosoma difettoso, è daltonico. Le femmine ne hanno due copie, ed è estremamente meno probabile che possano capitare loro due copie mutate (rare) nello stesso gene (anche due cromosomi "difettosi" a geni alterni lascerebbero comunque una copia funzionale di ciascuno di essi).
Avere due copie dello stesso gene è una situazione particolarmente favorevole allo sviluppo di nuove potenzialità, una vera pacchia per il cambiamento evolutivo: la selezione naturale tende a punire le alterazioni funzionali, se quella funzione è importante per la sopravvivenza, ma lascerà almeno una delle due copie "libera" di mutare a caso ed eventualmente arrivare ad aggiungere una nuova funzionalità senza perdite per quella preesistente. Figuriamoci nel caso dei recettori visivi, ove bastano poche modificazioni per avere uno scostamento di sensibilità, ed un recettore diverso in più è di per sè una capacità sensoriale aggiuntiva.
Questa sarebbe già una casistica fortunosa e da manuale di genetica classica, ma non abbiamo ancora preso in considerazione le scimmie Platirrine, cioè quelle sudamericane. La fratturazione tra le placche tettoniche sudamericana e africana dovrebbe essere iniziata circa 140 milioni di anni fa, ed i due continenti hanno finito per essere completamente separati, e con essi chi ci abitava sopra, intorno a 40 milioni di anni fa.
Quindi diventa una bella domanda interessante: come stanno, a vista di colori, le scimmie sudamericane ?
La risposta è "così così".
In generale hanno la canonica visione dicromatica standard dei mammiferi, salvo, ancora una volta, alcune specie notturne che hanno perso un tipo di recettore. Però... in generale, nelle diverse specie dicromatiche, esiste una certa percentuale di individui dotati di visione tricromatica.
E sono tutte femmine. Vi dice niente ?
Il gene per l'opsina del "rosso-verde", quello sul cromosoma X, è uno solo, ma polimorfico, cioè può avere più alleli diversi, e quindi le femmine eterozigoti sono tricromatiche. Ne dobbiamo dedurre che la duplicazione in tandem sul cromosoma X deve essere avvenuta in Africa dopo che il continente sudamericano se n'era andato per i fatti suoi, lasciando un pò di Atlantico nel mezzo. Ma non è tutto: tra le Platirrine il gruppetto dei tre aminoacidi che diversificano le proteine dei due pigmenti per "verde" e "rosso", è proprio lo stesso rispetto alle nostre opsine. E poichè è estremamente improbabile che le stesse mutazioni si accumulino pari pari in due linee di discendenza separate (e molte altre sostituzioni di aminoacidi potrebbero analogamente differenziare gli spettri di sensibilità dei recettori), dobbiamo concludere che l'insorgenza delle mutazioni, e l'origine di alleli alternativi per lo stesso gene, sia stato il primo passo verso la visione tricromatica; e in un secondo tempo, in una antica popolazione di scimmie africane nella quale soltanto le femmine eterozigoti godevano di una migliore capacità di distinguere i colori, si sia verificata, in una di esse, quella fortunata duplicazione di geni che ha conferito la visione tricromatica a suoi figli, maschi e femmine, e si è poi propagata di generazione in generazione agli individui della sua specie, e delle specie discendenti.
Infine, lo stesso evento di duplicazione si dev'essere verificato almeno una volta anche in America, perchè le scimmie Platirrine del genere Alouatta, le scimmie urlatrici (molti Homo sapiens considerano di avere in casa almeno un esemplare di scimmia urlatrice, ma queste sono leggermente diverse), a differenza delle loro parenti, presentano tre tipi di coni in tutti gli individui, maschi e femmine, con due geni per opsine sul cromosoma X disposti in modo simile alle Catarrine.
E per concludere, veniamo alla pralina di tutto il discorso. Chissà quali adattamenti neurologici devono avere accompagnato questa amplificazione delle capacità sensoriali. Come fa il cervello a sapere se un imulso nervoso è originato da (dico per dire) 100 fotoni della lunghezza d'onda a cui un cono ha massima sensibilità, oppure da 1000 fotoni di una lunghezza d'onda a cui lo stesso recettore è 10 volte meno sensibile ? Confronterà gli stimoli che provengono dalle cellule vicine, uguali o diverse, disposte, come abbiamo detto, a caso nella retina. Ma allora il cervello ha bisogno di "sapere" che quel certo segnale arriva da quel certo tipo di cono ? E quindi, se si aggiunge un nuovo tipo di cellula sensoriale, c'è bisogno anche che il cervello acquisisca a sua volta una predisposizione a ricevere ed interpretare quel nuovo segnale ?
I topi di laboratorio ormai fanno qualsiasi cosa. Anche ricevere un cromosoma X modificato in modo da avere due opsine funzionanti come quelle delle scimmie, e quindi una possibilità di visione tricromatica, che ovviamente un Roditore non può mai avere avuto.
Ebbene i topi così attrezzati diventano capaci di distinguere pannelli verdi, arancioni e rossi che a tutti gli altri topi appaiono identici.
Non c'è bisogno di nessun "cablaggio" nervoso particolare, la semplice presenza di un nuovo tipo di cellula sensoriale accresce le capacità di distinguere lunghezze d'onda diverse. Il cervello, siccome è intelligente, si arrangia da sè ad interpretare i segnali diversi che arrivano dalla stessa area della retina come colori diversi.
L'occhio è forse l'organo più invocato dai creazionisti per affermare l'impossibilità dell'evoluzione, con l'argomento che un organo così complesso ed integrato non avrebbe mai potuto originarsi "per caso". In realtà pochi sono gli organi che meglio dell'occhio si prestano ad essere spiegati per accumulo di piccole modificazioni successive selettivamente vantaggiose; e ben altre difficoltà di comprensione ci pongono semmai altre strutture anatomiche.
Per un qualsiasi animale pluricellulare primordiale che nuotasse nei mari del Precambriano, possedere su qualche parte del corpo qualche chiazza di cellule anche a malapena sensibili alle differenze di luce ed ombra, sarebbe stato certamente vantaggioso per rilevare l'avvicinamento dall'alto di qualche predatore. E di lì in avanti, qualsiasi perfezionamento che consentisse una visione via via più nitida e particolareggiata avrebbe offerto vantaggi ulteriori, così come la protezione della struttura con una lente, eccetera eccetera...
E a quanto pare, anche la percezione del segnale visivo da parte del sistema nervoso è più elastica, plastica e meno complessa di quanto potremmo pensare. Anche nella interpretazione della visione, il cervello (quello di un topo, mica il nostro iper-glorificato) è in grado di improvvisare il quadro come un artista di talento.
Principali fonti bibliografiche:
- Jacobs G.H. e Nathan J. - Color Vision: How Our Eyes Reflect Primate Evolution - Scientific American Magazine - 16 marzo 2009.
- Jacobs G.H. - Evolution of colour vision in mammals - Philosophical Transactions of The Royal Society B (2009) Vol. 364; pagg. 2957-2967.
mercoledì 20 marzo 2013
Picasso, la scimmia e la vitamina A - prima parte
Un mesetto fa, nel post del 20 febbraio, abbiamo fatto conoscenza con lo scimpanzè Congo e con gli elefanti pittori; e si è detto della accuratezza di Congo nello scegliere i colori per i suoi quadri astratti. Ma Congo vedeva i colori proprio come noi ? Quante volte vi siete sentiti dire del vostro cane o del vostro gatto che "vede solo in bianco e nero" ?
Seguire le tracce della storia della visione cromatica negli animali ci offre un racconto tortuoso e per niente scontato.
Partiamo dai fondamentali. Quella che il nostro occhio percepisce come luce è una strettissima fascia di radiazioni elettromagnetiche, di lunghezza d'onda che va all'incirca dai 400 ai 700 nanometri (1 nm = 1 milionesimo di millimetro), in mezzo tra i molti metri delle onde radio, e i millesimi o milionesimi di nanometro dei raggi gamma.
La molecola eccitabile dalla luce nei nostri occhi è di una sola specie, si chiama 11-cis-retinale, è un derivato dei caroteni e la ricaviamo dalla vitamina A. Ma il retinale non agisce da sè: è legato ad una proteina (opsina), in un complesso che abbonda nelle convolute membrane dei coni e bastoncelli, le cellule sensoriali che tappezzano la nostra retina.
L'eccitazione del pigmento fotosensibile (retinale + opsina = rodopsina) induce una serie di eventi elettrochimici a cascata, su cui non vale la pena di dilungarsi, che si traducono, se il numero di molecole attivate è sufficiente, in un impulso nervoso che, attraverso il nervo ottico, perviene ad un'apposita area della corteccia cerebrale come percezione attribuita a quel preciso punto della retina.
I bastoncelli sono le cellule specializzate nel raccogliere le variazioni di luce/ombra, specialmente con bassa intensità: quando vi alzate di notte e cercate di raggiungere il bagno senza accendere la luce, vi permettono di centrare, salvo spigoli maligni, la porta grazie alla poca differenza di luminosità della stanza accanto; i coni sono le cellule sensibili ai colori, e richiedono un'illuminazione più forte.
Un primo punto essenziale è che la lunghezza d'onda a cui il retinale ha massima eccitabilità viene modificata dai diversi tipi di opsina a cui esso è legato. Quindi proteine diverse corrispondono a diverse lunghezze d'onda di "picco" di sensibilità del recettore, cioè a colori diversi che siamo in grado di percepire, ed ogni singola mutazione può fare slittare tale picco un pò più su o un pò più giù nella gamma delle onde visibili.
Ed ogni cono della retina produce un solo tipo di opsina, grazie ad un relativamente semplice meccanismo di regolazione dell'espressione genica: quando, durante lo sviluppo embrionale, in ciascun cono si attiva, del tutto a caso, uno dei diversi geni che codificano le diverse opsine, questo inibisce immediatamente l'espressione di tutti gli altri. Così, grazie al numero elevatissimo di cellule, si ottiene un mescolamento casuale dei coni sensisbili ai diversi colori in ciascuna area della retina.
Come probabilmente tutti sanno, noi abbiamo una visione tricromatica, basata cioè su tre diversi tipi di coni aventi come proprio massimo di sensibilità tre diverse lunghezze d'onda (banalmente, blu, verde e rosso).
Ma com'è andata la storia dei nostri occhi ?
Nella maggior parte dei Vertebrati attuali, in particolare nei Pesci, Rettili e Uccelli, troviamo in generale addirittura quattro tipi di opsine (tre negli Anfibi), con variazioni della sensibilità dei recettori per le lunghezze d'onda più corte che sconfinano spesso nell'ultravioletto, e quindi, oltre alla "quarta dimensione" nella capacità di distinguere i colori, anche la possibilità di vedere radiazioni luminose che noi non percepiamo. Data la sua estensione in (quasi) tutte le Classi, dovremmo considerare questa come la condizione ancestrale dei Vertebrati.
Ma nei Mammiferi la situazione è miseramente più semplice: rimangono solo due tipi di opsine, codificate da due sole famiglie superstiti di geni, le stesse in tutta la Classe: una per le lunghezze d'onda corte, blu-violetto (con ancora picchi spostati nell'ultravioletto in alcuni Roditori), ed una per le onde medio-lunghe, sul verde-arancio-rosso. Teniamo presente che i Mammiferi "nascono" come animali notturni, avendo fin dalle origini, un 200 milioni di anni fa, abdicato allo strapotere dei grandi rettili lo sfruttamento degli habitat terrestri diurni e con esso, a quanto pare, la visione quadricromatica. La tendenza a ridurre la capacità di percezione del colore in associazione ad abitudini notturne sembra del resto essersi manifestata a più riprese, poichè alcune specie attuali, sparse in diversi Ordini di Mammiferi, spiccatamente nottambule, hanno ulteriormente ridotto la loro dotazione ad un solo tipo di coni, divenendo "monocromatiche" (il che non significa che tale perdita sia necessaria ed automatica: ad esempio i Chirotteri, cioè i pipistrelli, conservano allegramente le loro due pressochè inutili opsine diverse).
Sfatiamo dunque un luogo comune: il vostro micio, o Fido, come pure l'elefante che dipinge, non vede in bianco e nero: ha una capacità ridotta rispetto a noi di discriminare tra colori: avendo due soli tipi di recettore, ed uno anzichè due per la parte medio-lunga dello spettro, non saprà riconoscere, ad esempio, il verde dal rosso, esattamente come un uomo daltonico. Inoltre, l'adattamento alla vita notturna comporta una prevalenza dei bastoncelli rispetto ai coni, quindi la visione dei colori sarà un pò meno vivida, più tenue e sfumata, in favore del fascinoso universo delle ombre crepuscolari di succulenti sorci evasivi e sfuggenti (e ultravioletto-vedenti !).
Se ora facciamo il punto, troviamo qualcosa che non torna: dal Vertebrato originario, che vede un mondo riccamente quadricromo, discende il Mammifero primordiale con sole due dimensioni nella sua scala cromatica (con occasionali ulteriori tendenze alla riduzione). E allora noi ? Privilegiati per diritto nobiliare ? Creati ad immagine e somiglianza del Tizio - uno e trino, col triangolo 'n coppa a 'a capa - efffiguriamoci se chillo llà non tiene tre coni (e infiniti bastoncelli)...
Ebbene, la storia della visione nei Primati è meravigliosamente aggrovigliata, e ve la racconterò nella prossima puntata.
Seguire le tracce della storia della visione cromatica negli animali ci offre un racconto tortuoso e per niente scontato.
Partiamo dai fondamentali. Quella che il nostro occhio percepisce come luce è una strettissima fascia di radiazioni elettromagnetiche, di lunghezza d'onda che va all'incirca dai 400 ai 700 nanometri (1 nm = 1 milionesimo di millimetro), in mezzo tra i molti metri delle onde radio, e i millesimi o milionesimi di nanometro dei raggi gamma.
La molecola eccitabile dalla luce nei nostri occhi è di una sola specie, si chiama 11-cis-retinale, è un derivato dei caroteni e la ricaviamo dalla vitamina A. Ma il retinale non agisce da sè: è legato ad una proteina (opsina), in un complesso che abbonda nelle convolute membrane dei coni e bastoncelli, le cellule sensoriali che tappezzano la nostra retina.
L'eccitazione del pigmento fotosensibile (retinale + opsina = rodopsina) induce una serie di eventi elettrochimici a cascata, su cui non vale la pena di dilungarsi, che si traducono, se il numero di molecole attivate è sufficiente, in un impulso nervoso che, attraverso il nervo ottico, perviene ad un'apposita area della corteccia cerebrale come percezione attribuita a quel preciso punto della retina.
I bastoncelli sono le cellule specializzate nel raccogliere le variazioni di luce/ombra, specialmente con bassa intensità: quando vi alzate di notte e cercate di raggiungere il bagno senza accendere la luce, vi permettono di centrare, salvo spigoli maligni, la porta grazie alla poca differenza di luminosità della stanza accanto; i coni sono le cellule sensibili ai colori, e richiedono un'illuminazione più forte.
Un primo punto essenziale è che la lunghezza d'onda a cui il retinale ha massima eccitabilità viene modificata dai diversi tipi di opsina a cui esso è legato. Quindi proteine diverse corrispondono a diverse lunghezze d'onda di "picco" di sensibilità del recettore, cioè a colori diversi che siamo in grado di percepire, ed ogni singola mutazione può fare slittare tale picco un pò più su o un pò più giù nella gamma delle onde visibili.
Ed ogni cono della retina produce un solo tipo di opsina, grazie ad un relativamente semplice meccanismo di regolazione dell'espressione genica: quando, durante lo sviluppo embrionale, in ciascun cono si attiva, del tutto a caso, uno dei diversi geni che codificano le diverse opsine, questo inibisce immediatamente l'espressione di tutti gli altri. Così, grazie al numero elevatissimo di cellule, si ottiene un mescolamento casuale dei coni sensisbili ai diversi colori in ciascuna area della retina.
Come probabilmente tutti sanno, noi abbiamo una visione tricromatica, basata cioè su tre diversi tipi di coni aventi come proprio massimo di sensibilità tre diverse lunghezze d'onda (banalmente, blu, verde e rosso).
Ma com'è andata la storia dei nostri occhi ?
Nella maggior parte dei Vertebrati attuali, in particolare nei Pesci, Rettili e Uccelli, troviamo in generale addirittura quattro tipi di opsine (tre negli Anfibi), con variazioni della sensibilità dei recettori per le lunghezze d'onda più corte che sconfinano spesso nell'ultravioletto, e quindi, oltre alla "quarta dimensione" nella capacità di distinguere i colori, anche la possibilità di vedere radiazioni luminose che noi non percepiamo. Data la sua estensione in (quasi) tutte le Classi, dovremmo considerare questa come la condizione ancestrale dei Vertebrati.
Ma nei Mammiferi la situazione è miseramente più semplice: rimangono solo due tipi di opsine, codificate da due sole famiglie superstiti di geni, le stesse in tutta la Classe: una per le lunghezze d'onda corte, blu-violetto (con ancora picchi spostati nell'ultravioletto in alcuni Roditori), ed una per le onde medio-lunghe, sul verde-arancio-rosso. Teniamo presente che i Mammiferi "nascono" come animali notturni, avendo fin dalle origini, un 200 milioni di anni fa, abdicato allo strapotere dei grandi rettili lo sfruttamento degli habitat terrestri diurni e con esso, a quanto pare, la visione quadricromatica. La tendenza a ridurre la capacità di percezione del colore in associazione ad abitudini notturne sembra del resto essersi manifestata a più riprese, poichè alcune specie attuali, sparse in diversi Ordini di Mammiferi, spiccatamente nottambule, hanno ulteriormente ridotto la loro dotazione ad un solo tipo di coni, divenendo "monocromatiche" (il che non significa che tale perdita sia necessaria ed automatica: ad esempio i Chirotteri, cioè i pipistrelli, conservano allegramente le loro due pressochè inutili opsine diverse).
Sfatiamo dunque un luogo comune: il vostro micio, o Fido, come pure l'elefante che dipinge, non vede in bianco e nero: ha una capacità ridotta rispetto a noi di discriminare tra colori: avendo due soli tipi di recettore, ed uno anzichè due per la parte medio-lunga dello spettro, non saprà riconoscere, ad esempio, il verde dal rosso, esattamente come un uomo daltonico. Inoltre, l'adattamento alla vita notturna comporta una prevalenza dei bastoncelli rispetto ai coni, quindi la visione dei colori sarà un pò meno vivida, più tenue e sfumata, in favore del fascinoso universo delle ombre crepuscolari di succulenti sorci evasivi e sfuggenti (e ultravioletto-vedenti !).
Se ora facciamo il punto, troviamo qualcosa che non torna: dal Vertebrato originario, che vede un mondo riccamente quadricromo, discende il Mammifero primordiale con sole due dimensioni nella sua scala cromatica (con occasionali ulteriori tendenze alla riduzione). E allora noi ? Privilegiati per diritto nobiliare ? Creati ad immagine e somiglianza del Tizio - uno e trino, col triangolo 'n coppa a 'a capa - efffiguriamoci se chillo llà non tiene tre coni (e infiniti bastoncelli)...
Ebbene, la storia della visione nei Primati è meravigliosamente aggrovigliata, e ve la racconterò nella prossima puntata.
lunedì 11 marzo 2013
E' vviva !
La flotta baleniera giapponese ha interrotto in anticipo la stagione di caccia "per scopi scientifici" in Antartico, grazie alle continue incursioni degli attivisti di Sea Shepherd (ed al peggioramento delle condizioni meteo), dopo avere abbattuto "solo" 75 capi, rispetto ai 950 programmati.
C'è da capire quanto fosse verosimile il preventivo di 950, ma tutto sommato, per quest'anno, non è andata malissimo; già dal 2011, sempre grazie alle azioni di disturbo di Sea Shepherd, il numero dei cetacei abbattuti non superava il centinaio, rispetto al migliaio che ogni anno il Giappone si auto-autorizza a catturare con il pretesto fittizio delle finalità di ricerca, ma fino al 2010 le uccisioni superavano le 500/anno.
domenica 10 marzo 2013
Il suino puzza di bruciato
E' un bel/brutto enigma, quello dei cinghiali contaminati da Cesio 137 in Valsesia. Esaminiamolo a partire dai fatti disponibili in base alle notizie di stampa. Si tratta di cinghiali abbattuti nella stagione di caccia 2012, e sono stati esaminati campioni di muscoli striati (lingua e diaframma). I valori di radioattività riscontrati negli animali variano da 0 a oltre 5600 becquerel/kg, e non si capisce (i giornalisti non sanno scrivere) se 27 campioni (su non si sa quanti) sono oltre il limite, ritenuto di relativa sicurezza, di 600 Bq/Kg, o se 10 campioni su 27 esaminati superano tale soglia. La seconda ipotesi potrebbe essere peggiore della prima.
Comunque sia, sono valori molto elevati e con una variazione ampia, che indica una notevole disomogeneità della contaminazione.
Punto fermo: il Cesio 137 non esiste in natura, ed è un prodotto tipico di fissione dell'Uranio. Quindi si può trovare solo come risultato dell'attività di centrali nucleari. Non sono plausibili altre ipotesi.
E' solubile in acqua, può essere assorbito dalle radici delle piante, e quindi entrare nella catena alimentare. Decade a Bario 137-m, ottima sorgente di raggi gamma, con un tempo di dimezzamento di circa 30 anni, ed il Bario-m a sua volta decade a Bario naturale, inerte, con un tempo di dimezzamento di meno di 3 minuti.
Ipotesi in ballo come teorie esplicative:
1) Si tratta di un risultato dell'incidente di Chernobyl del 1986, che sparse una nube di contaminanti radiottivi, di cui il Cesio 137 era costituente principale, su tutta l'Europa.
Questo implica che una analoga popolazione di cinghiali, esaminata negli anni immediatamente successivi all'incidente, avrebbe dovuto mostrare un livello di contaminazione circa doppio di quello, già preoccupante, di oggi.
Nessuno se n'era mai accorto ?
E come spieghiamo la disomogeneità fra i campioni ? E' vero che il Cesio distribuitosi a terra portato dalle correnti d'aria, potrebbe essersi poi concentrato in punti particolari per il ruscellamento delle acque; ma quale acqua rimane in montagna per quasi trent'anni senza scendere a valle, o quali piante vecchie di trent'anni vengono mangiate dai cinghiali ? O quanto localizzata e poco omogenea può essere la redistribuzione dei prodotti di decomposizione di piante morte (o, a maggior ragione, di animali) ad opera di funghi, batteri a loro volta trasportabili dalle acque, o insetti, acari, vermi assortiti ecc. ? Attraverso questi meccanismi di ricircolo della materia, in 27 anni, è difficile che il materiale radioattivo rimanga così concentrato in pochi punti da non contaminare affatto alcuni animali, e così pesantemente altri.
Sotto-teoria aggiuntiva: i cinghiali risultati positivi potevano provenire da zone dell'Europa orientale maggiormente contaminate.
Ma il Cesio ingerito viene smaltito dall'organismo attraverso feci e urine con un'emivita biologica (cioè un dimezzamento di concentrazione nei tessuti) di due mesi / due mesi e mezzo, e i cinghiali si spostano e migrano sì, ma non viaggiano certo in aereo. Quanto lontane e quanto contaminate potranno mai essere le zone di provenienza di questi animali ?
2) In Piemonte, non lontano dalla Valsesia, ha funzionato fino al 1987 la centrale di Trino Vercellese, ed esiste il principale sito di custodia delle scorie a Saluggia: in Italia le centrali nucleari hanno funzionato mezza giornata e non sappiamo dove mettere le scorie prodotte: il sito di Saluggia è provvisorio da quel dì. E inoltre, siccome siamo bravi, ci siamo offerti di trattare anche le scorie di altri Paesi. Sempre nel sito provvisorio.
Trino è in fondo alla pianura, e Saluggia è sulla Dora Baltea, immediatamente a monte della Riserva Naturale Speciale della Confluenza della Dora (YUK !). I cinghiali sono stati abbattuti in montagna, nell'alto bacino del Sesia. Una contaminazione accidentale da queste fonti non sarebbe ipotizzabile neanche se l'acqua scorresse in salita.
3) E quindi ? Secondo me, rimane in piedi solo l'ipotesi della contaminazione non accidentale, ossia lo smaltimento illegale di scorie. La disomogeneità della contaminazione dei cinghiali è in accordo con una sorgente di Cesio 137 molto localizzata: alcuni ne hanno mangiato ed altri no. Quale posto migliore di valli alpine sperdute e poco abitate per seppellire rifiuti così problematici ? Chi li ritroverà mai ? Che male possono mai fare quassù, lontano dai centri abitati ?
Mi auguro che chi ha avuto la pensata si sia poi alimentato di salsicce di cinghiale. E di funghi. E di mirtilli. E di trote. Eccetera eccetera.
Il mondo che usiamo come pattumiera è quello da cui dipendiamo.
sabato 9 marzo 2013
Pensierino della sera
Un pover'uomo, con il quale la mafia è stata senz'altro generosa, ma la natura no, già afflitto dai complessi della bassa statura, delle orecchie sproporzionate, della virilità; affetto da misteriose intermittenze tricologiche; privo di particolari qualità intellettuali, decisamente ignorantello, cafone; patologicamente incapace di resistere alla tentazione di mentire in qualsiasi circostanza; si trova ora nella inedita necessità di farsi venire entro lunedi una malattia sufficientemente grave.
Al popolo italiano il compito di fargli sentire la propria piena e sincera solidarietà, augurandogliela.
Al popolo italiano il compito di fargli sentire la propria piena e sincera solidarietà, augurandogliela.
domenica 3 marzo 2013
Analfabetizzazione
Spiego per i lettori che non fossero pratici degli arcani intrighi feudali dello Sprofondo Nord: Il giornalino "Il NordOvest" è il pregiatissimo organo di cultura ed opinione della fazione della Lega Nord piemontese (e vai a sapere se si qualifica con l'etichetta di barbari sognanti o di barbari semplici) affiliata a Massimo Giordano, ex-sindaco di Novara (la città alla quale magnanimamente offro l'onore di ospitarmi), poi portato in Regione dal suo fraterno amico Cota, ed oggi sotto indagine per corruzione (e se non sono soddisfazioni queste...).
Poichè i requisiti del lettore - standard dovrebbero incrociare l'appartenenza ad una particolare tribù della Lega Nord con l'avere acquisito la capacità di leggere, suppongo che ne vengano stampate le locandine da appendere fuori dalle edicole, e pochissimo altro (ed il sottotitolo "Quello che non avete mai letto" ha forse un senso molto, ma molto, letterale).
Ma, ad un certo punto, i due luminari del gorgonzola e della bagna cauda prestati alla politica, pappa e ciccia fin dalla più tenera giovinezza, sono diventati astiosi nemici. Ignoro chi dei due abbia proditoriamente imparato le addizioni con riporto, suscitando così l'acrimoniosa invidia dell'altro.
Ed ecco come "Il NordOvest" (i cui finanziamenti sono tra gli oggetti dell'inchiesta giudiziaria di cui sopra), è arrivato ad ergersi come baluardo della libertà della Padania più autentica ed identitaria, quella racchiusa del muro di cinta di casa Giordano, contro gli imperialismi e le contaminazioni del discutibilmente illustre concittadino insediatosi nei Palazzi di Torino Ladrona.
Da tale faida tra cravatte verdi, peraltro meritevole di una quantità di interesse inferiore allo zero, nascono titoli attraverso i quali Giordano non perde occasione per mettere i piedi nel piatto in cui ha mangiato (piuttosto lautamente, si direbbe), come quello in basso.
L'unico elemento significativo che mi ha indotto a scrivere questo post è l'osservazione dell'uso dei pronomi; un ulteriore indizio che il processo di alfabetizzazione della Lega Nord è ancora ai primi passi, e forse è destinato a rimanere un'impresa senza speranze.
Indomabile la veemenza polemica del titolista; ma, ahimè, dietro di sè ha lasciato (con verbo) uno svarione. Davanti a lui (senza verbo) una brillante carriera politica nel Carroccio.
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