giovedì 26 settembre 2013

Vizio Capitale



Ci vuole poco a rendersi conto che il liberismo capitalista viene ormai adorato in modo del tutto irrazionale come un totem, con tutte le liturgie insensate e le contraddizioni logiche interne proprie delle religioni, per pura adesione convenzionale a miti e false credenze, senza alcuna relazione plausibile con il mondo fisico.

Nel primo mistero glorioso si osservano tutti i sacerdoti del libero mercato che piangono e implorano poichè il Paese non riesce ad attrarre investitori stranieri amen.
E di qua puniscono i lavoratori beceri e cattivi, e impongono penitenze per essi peccatori che hanno avuto troppa paga e troppi diritti; e di là invocano la Legge perchè liberi Sua Santità l'Impresa da tutti i lacci e lacciuoli imposti da un Satana malefico, che impediscono, per esempio, di scaricare liberamente i rifiuti direttamente nei fiumi, per cui il buon imprenditore - santo subito ! - non guadagna abbastanza miliardi, e quindi la sua Impresa, sempre sia lodata, non fa gola agli investitori stranieri amen.

Nel secondo mistero glorioso si osserva un imprenditore straniero che arriva e fa un investimento comprando un'impresa italiana, e tutti i sacerdoti del libero mercato piangono e si stracciano le vesti perchè l'impresa italiana non è più italiana amen.

Nel terzo mistero glorioso si osservano i Teologi del libero mercato che espongono ai fedeli e ai credenti e a tutti gli uomini di buona volontà e telespettatori di ortodossa osservanza, il Sacro Dogma della Privatizzazione amen.

Il Sacro Dogma della Privatizzazione ci rivela che non c'è una soluzione per ogni problema, bensì una soluzione per tutti i problemi: privatizzare. Tutto funziona meglio, rende di più ed è anche un pò più bellino quando è privato: privatizzare l'elettricità, il gas, l'acqua, le strade, la neve, la cultura, la scuola, i teatri, l'aria, la spazzatura, le ferrovie, i telefoni, le compagnie aeree, il suolo, i temporali, è la panacea per tutti i mali: niente più inondazioni se i fiumi saranno privatizzati, e niente più terremoti se sarà privatizzato il sottosuolo. Per salvare gli orsi polari dall'estinzione basta privatizzarli, e se i congiuntivi fossero privatizzati tutti li adopererebbero a puntino amen.

Nel quarto mistero glorioso si osserva che una rete telefonica che fu privatizzata già da quel dì, e sia beata all'improvviso dall'apparizione di un investitore straniero che, avvolto in un alone di mistica luce, se la compra, non deve finire in mani straniere perchè è strategica, in quanto potrebbe dare accesso ad informazioni riservate che metterebbero in pericolo la sicurezza Nazionale amen.

E allora, mistero supremo ed imperscrutabile, cosa accidenti l'hai privatizzata a fare, se è così strategica, o sommo sapiente Teologo del Libero Mercato, possa il martello di Thor abbattersi sui tuoi augusti testicoli amen ?

E, mistero ancora più sommo del sommo, laddove la nostra finitezza umana impedisce di comprendere la trascendente sommitudine... sommità... sommezza... va bè; perchè mai il privato imprenditore straniero che avesse accesso ad informazioni tanto riservate dovrebbe mettere in pericolo la sicurezza nazionale più del privato imprenditore italiano che forse in quelle informazioni potrebbe trovare interessi personali ancora più diretti amen ?

Il privato italiano che accede ad informazioni golosamente riservate non ne approfitta, bensì si tappa occhi e orecchie per pudore ? O per patriottismo ? E quello straniero invece ? Fa ancora parte di quella famosa cospirazione pluto-giudaico-massonica, mi dite ? Amen.

Non abbiamo avuto giusto pochi anni fa un esemplare caso di dossieraggio illegale messo in atto proprio nell'impresa privata italiana che tale rete telefonica gestiva ? Non ne è forse uscito uno dei più illustri Teologi della Libera Imprenditoria Italica, Coraggioso Capitano Sua Eminenza Tronchetti Provera, miracolosamente incolume dalla galera, grazie ad una pronta iscrizione al vasto partito dei viventi a propria insaputa; che possano Brahma, Siva e Visnù metempsicosizzare tutti i suoi averi terreni, facendoli reincarnare in mezzepunte scadenti in maglia nerazzurra ? Eh ? Già fatto ?
Amen.

mercoledì 25 settembre 2013

Bellezze al bagno

Continuando a parlare di conservazione: Nelle settimane scorse si è verificato un evento che definire inconsueto è poco: la nascita di tartarughe marine in un tratto di spiaggia in piena area urbana a Roseto d’Abruzzo, in mezzo ad ombrelloni e bagnanti, e lontanissimo dai pochi e riservatissimi luoghi di nidificazione conosciuti della specie, quasi tutti sulle isole. Personalmente, ho vissuto la vicenda attraverso la stampa a centinaia di kilometri di distanza, ma posso contare su fonti di informazione ben affidabili in loco. La resident expert in fauna protetta per Il villaggio gallico è una dei volontari che si sono dedicati alla sorveglianza del nido, ed alla quale ho estorto una testimonianza di prima mano (e in aggiunta, le ho anche fregato la fotografia).



Domenica mattina mi sveglia una mia collega cosi: “Hanno trovato un nido di Caretta caretta a Roseto al lido La rosa dei venti !” Mi prende una tale gioia e frenesia che il tempo di salire in macchina ed ero già sul luogo ! Questi i controversi eventi (ogni ente o persona fornisce la sua versione dei fatti): Sabato mattina alcuni esemplari di Caretta caretta sono stati avvistati a girovagare su un tratto di spiaggia libera di Roseto, tra il lido Papenoo e La rosa dei venti. Questo è ciò che testimoniano i bagnanti che occasionalmente si trovavano al mare in una delle ultime giornate calde della stagione. Le reazioni davanti agli animali (secondo quanto riferito da testimoni, post su facebook e voci sparse) sono state diverse e più o meno coscienziose: una delle tartarughe è stata portata alla Capitaneria di Porto e l’esemplare in seguito a non si sa quale stress subito è stato dichiarato morto, un altro esemplare è stato portato a casa da una signora che lo ha scambiato per una tartaruga di acqua dolce… al mare, e che secondo alcune voci sarebbe anche essa morta poco dopo, una terza è stata portata dalla famosa signora Giulia de Nigris al veterinario rosetano Settimio Mordente perché anche qui scambiata per un animale più comune e in difficoltà mentre altre sono state aiutate e indirizzate verso l’acqua dai titolari dello stabilimento e altre ancora rilasciate al largo. Quel giorno il mondo era a Roseto: noi volontari, Centro studi cetacei, WWF, Area marina protetta Torre del Cerrano, capitaneria di porto, vigili urbani, stampa, tv e immancabile il sindaco di Roseto, venuto più che a conoscere la situazione, a scattare qualche foto di rito. La settimana è passata lenta, tra nottate a sorvegliare il nido sotto la pioggia e giornate a rispondere alle domande di curiosi, bambini e assessori vari. Quello che ho ricavato da queste giornate spese è stata gioia si, i primi giorni e poi tanta poca chiarezza. Subito davanti a me hanno iniziato a delinearsi trame politiche, bisticci tra i vari enti per chi dovesse essere il PROTAGONISTA e si è perso un po’ l’ obiettivo di puro e semplice rispetto e salvaguardia della natura. Non si è più pensato all’evento storico di una nidificazione in Adriatico e soprattutto così a nord rispetto alle zone usuali (Reggio Calabria, Lampedusa, Linosa…) e ci si è concentrati su come ricavar soldi da questa nascita. Oltre le 15 tartarughe del primo giorno se ne sono schiuse via via altre fino ad arrivare ad un totale di 24 di cui 21 viventi almeno fino alla messa in acqua più le 3 poverine citate sopra. Sabato 21 è stato raggiunto l’apice con la manifestazione organizzata dall’ area marina protetta in onore di Giulia (non la signora ma la tartaruga da lei “salvata” che porta il suo nome) e il suo cosi è stato definito “battesimo dell’acqua”. La tartaruga è passata dalle mani del sindaco a quelle di questo o quell’assessore e ci è mancato poco che le emittenti e i giornalisti accorsi non la intervistassero, infine ha fatto una bella sfilata nella sua bacinella sotto il sole per essere ammirata dalle persone urlanti che tentavano di scavalcare le transenne con buoni risultati. Io non so se lei e le altre creaturine se la caveranno nel profondo mare blu ma di certo noi non le abbiamo aiutate. Spero che le persone si stanchino presto di loro e che le altre possano nascere e vivere lontane dai riflettori.

venerdì 13 settembre 2013

Io sto con i brutti

Possiamo ragionevolmente pensare che se il WWF avesse scelto come proprio emblema qualche specie di lumaca o di polipo sull'orlo dell'estinzione, avrebbe avuto un pò meno successo nella raccolta di fondi per la protezione della natura. Come minimo, ci sarebbe voluto uno sforzo supplementare di comunicazione per fare comprendere l'importanza e l'utilità della salvaguardia di molluschi o celenterati a rischio, il loro ruolo nell'ecosistema e la gravità del danno della perdita di specie.
Eppure, l'allegro ed attraente panda gigante che occhieggia simpaticamente su magliette, cappellini e persino confezioni di prodotti commerciali (con appeal sicuramente superiore a quello che potrebbe avere un Gasteropode), trovandosi all'apice di una catena alimentare (oltretutto molto semplice), tutto sommato potrebbe anche estinguersi senza procurare gravi contraccolpi al proprio ambiente. Non mi propongo affatto di voler fare il controcorrente a buon mercato prendendomi il gusto gratuito di ferirvi con un simile luttuoso auspicio, che mai avrei intenzione di fare.
Vorrei solo spingervi a pensare per un attimo all'altissimo numero di specie di animali e di piante "brutti", poco appariscenti, poco simpatici, un pò schifosetti, o di cui semplicemente ignoriamo del tutto l'esistenza, la cui tutela ha un peso ben più significativo per la salvaguardia di interi ecosistemi, e che invece possiamo mettere a rischio di estinzione senza particolari sommovimenti emotivi.
E' stato chiamato "effetto Bambi": il Panda è così simpatico, così ciccioso, così coccolabile, così mammifero... perchè non dovrebbe venirci più voglia di proteggere lui, piuttosto che qualche oscuro, anonimo e molliccio invertebrato marino (che magari edifica intere barriere coralline che offrono alloggio e nutrimento a migliaia di altre specie) ?
Si può iper-banalizzare il principio ricorrendo al classico discorso da massaia: inorridiamo all'idea che ci sia al mondo qualcuno che mangia cani e gatti, ma consideriamo una sacrosanta tradizione le costolette di agnello per Pasqua; e una succulenta fiorentina alta quattro dita ci fa venire l'acquolina in bocca in qualsiasi stagione.
Per dirla in modo meno petulantesco: siamo vittime di una sistematica "distorsione tassonomica", quando consideriamo le altre specie che condividono con noi questo straordinario pianeta seguendo irrazionalmente i nostri criteri umani di affinità e simpatia.
Ben venga dunque il dolce orsacchiotto, se è utile ad attrarre l'attenzione di un pubblico sempre troppo distratto sul tema della conservazione delle specie e degli ecosistemi; male, invece, se le risorse, inesorabilmente scarse, a disposizione venissero monopolizzate da progetti di protezione delle specie più esteticamente "glamour", a scapito di altre meno appariscenti ma magari ecologicamente più importanti.



Vedendo per la strada questo manifesto della Lega Anti-Vivisezione, ho avuto un'evidenza lampante che l'"effetto Bambi" può essere sfruttato anche al contrario.
Un problema speculare e complementare alla conservazione è quello della diffusione delle specie alloctone invasive (alloctone = originarie di altri luoghi). Quando una specie viene importata più o meno accidentalmente in territori lontani da quello di origine, nella maggior parte dei casi non è adatta al nuovo ambiente, i pochi colonizzatori difficilmente sopravvivono, non lasciano discendenti, e la questione finisce lì.
Ma più raramente, i nuovi arrivati incontrano condizioni favorevoli, magari un habitat privo dei nemici naturali che ne limitano la popolazione nella propria area di provenienza, e prosperano, diventano invasivi e determinano forti squilibri nell'ecosistema recipiente, spesso mettendo a repentaglio l'esistenza di altre specie, o per eccesso di predazione o di parassitismo, o per competizione tra specie affini. L'intensificarsi degli spostamenti e dei commerci umani negli ultimi secoli ha fortemente ampliato questi problemi, e la lista di casi osservati in tempi storici potrebbe diventare facilmente lunghissima, anche andando solo a memoria: da cani e maiali che divoravano facilmente le uova che il dodo deponeva a terra a Mauritius, portandolo all'estinzione nel XVII secolo, alle devastazioni provocate dai conigli portati dagli europei in Australia; dall'arrivo a metà ottocento dall'America del fungo Phytophthora infestans, agente della peronospora della patata, circa un secolo dopo l'inizio della coltivazione in Europa di piante mai selezionate per resistenza a tale malattia, all'importazione in Olanda, con carichi di legname dall'Asia tropicale, di fungo ed insetto vettore della grafiosi, malattia che ha condotto alla quasi estinzione dell'olmo europeo nel '900; dall'allevamento, a partire dal 1920 circa, come animali da pelliccia, delle nutrie sudamericane, che oggi in libertà danneggiano argini di fiumi e canali in tutta Europa, all'ambrosia nordamericana, arrivata in Europa con i semi contenuti in alcuni mangimi per uccellini da gabbia, e diventata in pochi decenni una pianta infestante tra le più frequenti cause di allergie; si potrebbe continuare a lungo, con il pesce siluro, la zanzara tigre, la trota iridea nordamericana, introdotta perchè facile e redditizia da allevare, che oggi compete con le trote europee in quasi tutti i corsi d'acqua, eccetera eccetera.
Nel 1948 un diplomatico italiano ricevette dagli Stati Uniti quattro esemplari di scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis, il tizio a sinistra nel manifesto), ed ebbe la bella idea di liberarli nel giardino della sua villa torinese. Oggi lo scoiattolo grigio, più aggressivo, ha completamente sostituito lo scoiattolo europeo (Sciurus vulgaris, quello a destra) in diverse parti d'Italia, tra Piemonte, Lomabardia, Liguria e Umbria, ed è diventato una minaccia per le popolazioni di scoiattoli autoctone; si sta tentando di eradicarlo, o almeno di contenerne la diffusione, nè più nè meno come si fa con il pesce siluro, con la zanzara tigre o con l'ambrosia.
Le specie alloctone invasive sono un problema, indipendentemente dalla loro bellezza o dalla simpatia che ci ispirano: rassegnamoci ad affrontarle come tale.

Si potrebbe obiettare che in fondo si tratta di processi che avvengono regolarmente in natura: una nuova specie ha origine da una popolazione per lungo tempo isolata, e se infine capita che ritorni a condividere lo stesso areale della specie di origine, se competono ancora per le stesse risorse, una delle due soccombe.
Quando pochi milioni di anni fa si è formato l'Istmo di Panama, migrazioni reciproche hanno interessato due faune, quelle sudamericana e nordamericana, che si erano evolute in modo del tutto indipendente su continenti che erano sempre stati separati e lontani, con conseguente estinzione di moltissime delle specie preesistenti.
Dunque, perchè preoccuparci di conservare una trota o uno scoiattolo piuttosto che un'altra trota o scoiattolo, o dispiacerci per l'estinzione degli olmi anzichè rallegrarci per la propagazione di un fungo parassita ? L'evoluzione farà il suo corso e tra qualche decina di migliaia di anni si sarà raggiunto un nuovo equilibrio tra le specie presenti, che saranno comunque numerose e diverse.
Perchè tra qualche decina di migliaia di anni non ci saremo noi ad osservare quelle meraviglie. A noi interessa salvaguardare il NOSTRO ambiente di OGGI. Quello futuro sarà ugualmente splendido, ma non sarà nostro. E' sempre una questione di scala temporale. Tra diecimila o centomila anni i nostri problemi attuali di conservazione di specie ed ecosistemi saranno senz'altro risolti, in un senso o nell'altro, e avranno lasciato spazio a nuove specie, altre migrazioni di quelle attuali, estinzioni magari oggi inaspettate, ed alla composizione di nuovi ecosistemi affascinanti ed inediti. Ma noi non saremo lì a vedere questi nuovi panorami. Ogni specie vivente è un'entità unica ed irripetibile, e la sua conservazione un'esigenza per la salvaguardia del nostro presente, senza nessun tentativo di condizionare futuri lontanissimi ed irraggiungibili per la nostra personale scala dei tempi: un atto del tutto legittimo di egoismo del nostro presente locale verso l'immensità del tempo geologico che procede comunque per conto suo, indifferente a noi, ai nostri sforzi, ed alle bellezze che a noi soltanto è dato di apprezzare.

mercoledì 28 agosto 2013

L'Occhio Vigile



Ho la fortuna di essere un automobilista sporadico: tiro fuori abbastanza raramente la vettura dal garage e, per quel poco che circolo, cerco di osservare obblighi e divieti indicati dai cartelli stradali, come fa piacere alla Polizia Stradale ed ai Vigili Urbani, e soprattutto agli altri utenti della strada.
Ripetendo più volte gli stessi percorsi, poi, imparo grossomodo quali sono i limiti di velocità nei diversi tratti del viaggio e non ho più neanche bisogno di dedicare troppa concentrazione all'osservazione dei cartelli.



Immagino che capiti anche a voi, e noi tutti coltiviamo qualche modesta dose di autostima per le nostre facilità di apprendimento e memorizzazione.
Bene, è tempo di scendere giù dal pero, ragazzi.
Un gruppo di ricercatori, in vena di curiosità scientifiche fuori orario di lavoro, ha svolto il seguente esperimento: lungo il tragitto laboratorio - casa si incontrano tratti di strada con diversi limiti di velocità ? Bene.
Ci sono uccelli (passeri, cornacchie, gazze, ecc.) che vengono a cercare cibo sulla strada o sul bordo della carreggiata ? Bene.
Allora ci muniamo di cronometro e, ogni volta che ne avvistiamo qualcuno, misuriamo il tempo che passa da quando l'animale vola via a quando la nostra automobile raggiunge il punto in cui esso si trovava.
Così, in base alla velocità che stavamo tenendo in quel momento, possiamo calcolare la distanza alla quale l'uccello ritiene opportuno spostarsi dalla sua posizione di pericolo. Inoltre, ripeteremo le prove sia a velocità più bassa, sia a velocità più elevata (ahi, ahi !) del limite consentito nei vari tratti.
Una volta raccolto un numero sufficientemente vasto di rilevazioni, ecco a voi i risultati: la "distanza di sicurezza" alla quale gli uccelli scappano via non è sempre la stessa, ma dipende dal limite di velocità in quel tratto di strada. Inoltre, se in quel punto si viaggia più piano o più veloce del limite, la distanza alla quale l'animale si allontana rimane uguale, indipendentemente dalla effettiva velocità della vettura in arrivo (e quindi se correte troppo avete alte probabilità di trarre in inganno il pennuto ed investirlo): vale a dire che l'uccello non valuta la velocità della specifica macchina che sopraggiunge, ma regola la sua distanza di fuga imparando a conoscere i tratti di strada in cui i veicoli viaggiano più velocemente ed è meglio prendersi più spazio di precauzione, e in quali altri tratti essi vanno più adagio e ci si può soffermare a becchettare finchè il pericolo non è nelle vicinanze immediate.
Le cornacchie sono del tutto capaci di imparare i limiti di velocità sulle strade.
Quelli targati Varese no.

giovedì 22 agosto 2013

I nodi continuano a venire al pettine



Per molto tempo è rimasto un mistero quale fosse (o quali fossero: l'ipotesi che si trattasse di un ibrido interspecifico ha goduto di parecchio credito) il precursore selvatico del mais; solo da poche decine di anni è stato identificato nel teosinte, una graminacea di aspetto piuttosto diverso, cespuglioso e ramificato, che produce spighe (spighe, quelle del mais sono spighe) di pochi centimetri e molto sottili, addomesticata dai Maya poche migliaia anni fa, e divenuta il mais che oggi conosciamo grazie a poche fortunate mutazioni.
Anche gli antenati selvatici dei fagioli avevano semi di dimensioni ridottissime rispetto ai fagioli che siamo abituati a consumare, e lo stesso vale per il frumento, che è un ibrido poliploide che produce cariossidi molto più grandi delle specie selvatiche da cui è derivato, eccetera eccetera. Tutte le specie coltivate sono state sottoposte a selezione per caratteristiche economicamente vantaggiose, che quasi sempre le hanno portate ad un habitus piuttosto differente dai propri corrispettivi selvatici.
I caratteri che sono stati accumulati per selezione artificiale perchè utili dal punto di vista dell'agricoltore, ben difficilmente potrebbero risultare favorevoli per la pianta se dovesse esistere in natura in competizione con altre specie: le varietà coltivate possono esistere solo in quanto allevate ed accudite da qualcuno che pulisce dalle erbacce, irriga e libera dai parassiti. Se l'agricoltore abbandonasse il campo all'improvviso, la varietà coltivata, nonostante la prevalenza numerica iniziale, verrebbe sopraffatta dalle piante selvatiche nel giro di poche generazioni.

Questo argomento, che di per sè non fa una grinza, è quello che viene regolarmente utilizzato per esorcizzare il rischio che coltivazioni geneticamente modificate possano trasmettere le loro caratteristiche di resistenza, poniamo ad un erbicida, a specie affini selvatiche mediante ibridazione occasionale, provocando la comparsa di erbe selvatiche "super-infestanti" resistenti. L'ibrido dovrebbe portarsi dietro un carico di caratteristiche sfavorevoli alla sopravvivenza in ambiente selvatico che renderebbero improbabile la sua riproduzione al di fuori del campo coltivato.
In realtà si erano avute notizie di controesempi già negli anni passati, e ne avevamo parlato qui.

Nella maggior parte delle colture geneticamente modificate è stata indotta resistenza ad un erbicida, il glifosate; tale resistenza permette all'agricoltore di liberare il campo dalle piante infestanti intervenendo con l'erbicida anche durante la coltivazione.
Non ve la faccio tanto lunga sui meccanismi: l'erbicida inibisce un enzima importante (e dal nome spaventevole che vi risparmio) per il metabolismo delle piante, che ne muoiono; la resistenza viene indotta mediante una sovraproduzione dell'enzima, ad esempio con l'inserimento di copie multiple del gene che lo codifica; la maggior quantità di enzima permette alla pianta modificata di compensare l'inibizione data dall'erbicida.
In teoria, vale qui lo stesso principio di cui si è detto sopra: gli enzimi sono proteine, e la loro sintesi è un processo energeticamente costoso per la pianta; la produzione in quantità molto superiori al normale di una data proteina dovrebbe costituire una zavorra energetica svantaggiosa per una pianta selvatica, una volta esaurito il vantaggio per la sopravvivenza, cioè al di fuori dell'area trattata con l'erbicida. Quindi, eventuali ibridazioni occasionali con stretti parenti selvatici della pianta coltivata non dovrebbero dare seguito nella propagazione della resistenza a piante selvatiche.

Uno studio appena pubblicato su New Pathologist da Lu Baorong et al. dell'Università di Shangai sembra invece smentire questo assunto. La resistenza al glifosate indotta nel riso (Oryza sativa) mediante modificazione genetica con copie multiple del gene per l'enzima 5-enolpiruvoilscichimato-3-fosfato sintasi (EPSPS: e va bè, mi è scappato), può essere trasferita mediante ibridazione con la varietà selvatica infestante (Oryza sativa f. spontanea); e fin qui, niente di strano. Ma, lasciando reincrociare gli ibridi fra loro, nella generazione successiva, gli ibridi da riso ingegnerizzato, oltre ad avere livelli più elevati di attività enzimatica EPSPS rispetto agli ibridi coltivato-selvatico "normali" (ed anche qui è tutto nelle attese), presentano una serie di caratteri potenzialmente vantaggiosi: maggior numero di steli e pannocchie (pannocchie, quelle del riso sono pannocchie), e quindi di semi, per pianta; più alta percentuale di germinazione dei semi e maggiore attività fotosintetica; in ASSENZA di trattamenti con l'erbicida glifosate.
Si tratta di caratteristiche in grado di incrementare la potenzialità riproduttiva dell'ibrido resistente, e quindi di favorire il passaggio della resistenza alla varietà selvatica mediante reincrocio con quest'ultima.
Teniamo presenti tutte le pinze e le molle con cui dobbiamo maneggiare questa informazione: l'esperimento si svolge in campo in condizioni controllate e non in una situazione di autentica competizione naturale, e non è detto che i caratteri osservati si traducano in un reale vantaggio riproduttivo in un ambiente selvatico, dove altre variabili potrebbero avere un peso diverso.
Tuttavia, lo studio di Lu e colleghi dimostra che questo rischio esiste, ed è più che concreto. La possibilità che piante geneticamente modificate trasmettano i propri caratteri di resistenza a specie affini infestanti non è uno spauracchio agitato da immobilisti dediti a una caccia alle streghe antiscientifica, antimodernista ed antitecnologica, ma un'eventualità realistica da esaminare accuratamente, che piuttosto la fretta delle imprese sementiere di portare sul mercato gli esiti dei propri brevetti vorrebbe indurre a dissimulare e sottovalutare.


lunedì 5 agosto 2013

Anniversari - 5 agosto 1938

«La razza italiana si è mantenuta pura e fiera nonostante qualche invasione»
G. Marro, 1926


Il 5 agosto 1938 iniziava le sue pubblicazioni, al prezzo di copertina di lire 1, la rivista quindicinale La difesa della razza, diretta da Telesio Interlandi, uscita per 117 numeri fino al 20 giugno 1943. A partire dal settembre 1938 segretario di redazione fu Giorgio Almirante; tra i collaboratori della rivista figurarono anche personalità destinate a ruoli di rilievo nelle istituzioni della futura Repubblica, quali Amintore Fanfani e Giovanni Spadolini.

In quel numero 1 si venne subito al dunque, e venne pubblicato il "manifesto della razza" redatto nella mistica forma del decalogo da, manco a dirlo, 10 eminenti scienziati fascisti (nè altri avrebbero potuto pubblicare alcunchè, d'altronde) di cui per altri versi si ignora l'opera (erano un fisiologo, un neuropsichiatra, un pediatra, un demografo, due antropologi, due patologi e due zoologi). Già da settembre ne sarebbero seguiti, in rapida escalation, gli sbocchi legislativi, culminati nei famigerati "Provvedimenti per la difesa della razza italiana".

Qui di seguito il testo del manifesto pubblicato su La difesa della razza il 5 agosto 1938:

« Il ministro segretario del partito [Achille Starace, n.d.r.] ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
1. LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano a ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2. ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
3. IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4. LA POPOLAZIONE DELL'ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
5. È UNA LEGGENDA L'APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
6. ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico–linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano–nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra–europee, questo vuol dire elevare l'italiano a un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità.
8. È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D'EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL'ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
9. GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10. I CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono a un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra–europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
»

Non dovrebbe valere la pena neanche di esaminare questi enunciati, se potessimo tranquillamente liquidarli per quello che sono: sciocchezze propagandistiche senza senso appartenenti ad un passato che non tornerà più.
E invece, purtroppo, dobbiamo prestare ancora attenzione.
Innanzi tutto, contestualizziamo: nulla nasce dal nulla. La "Società tedesca per l'igiene della razza" era stata fondata da Alfred Ploetz nel 1905, ed il primo corso di insegnamento in "Igiene della razza" era stato istituito nell'Università di Monaco da Fritz Lenz nel 1923, ben prima dell'avvento del nazismo.
I tentativi di ordinare i gruppi umani secondo una scala di inferiorità / superiorità risalgono almeno al XVIII secolo, e nei primi anni del novecento la combinazione dell'evoluzionismo con i primi passi della genetica fu colta come una possibilità strumentale per dare a tali tentativi una giustificazione obiettiva e scientifica (con il vantaggio di poter estendere il principio a tutte le possibili classificazioni: tra sessi, tra classi sociali... qualsiasi suddivisione in gruppi si poteva prestare alla definizione di una scala di valori stabilita biologicamente e quindi ineluttabile, il cui punto più elevato era assegnato invariabilmente al gruppo a cui apparteneva l'ideatore della scala).
Quindi l'affermazione al punto 1 del manifesto, che oggi sappiamo priva di qualsiasi legittimità scientifica, era allora condivisa e riconosciuta, se non altro come programma di ricerca di criteri oggettivi di classificazione (e tanto oggettivi furono i criteri, che i diversi tentativi di classificazione dell'umanità produssero numeri di razze variabili da due a più di duecento). E diventava dunque facile sbracare nel punto 2, ove con le "piccole razze", necessarie a giustificare una improponibile "razza italiana", inizia la vera arrampicata sugli specchi. Inutile porre l'accento sui fatti empirici con cui si vorrebbero dimostrare le affermazioni: "percepibile con i nostri sensi", "è una verità evidente". Fine delle dimostrazioni.
Saltiamo velocemente i punti dal 7 al 10, che sono solo una caotica accozzaglia di frasi vuote, utili soltanto a preparare le leggi razziali contro gli ebrei in servile ossequio al più robusto alleato; ma se volete una confutazione più puntuale, la trovate qui.

E ritorniamo, per concludere il discorso, ai punti che mi sembrano più interessanti da rileggere indossando gli occhiali di oggi. Il punto 3 è una chiave: fonda esplicitamente il concetto di razza su basi biologiche, ereditarie, genetiche e non culturali (linguistiche o religiose). Si mira al bersaglio grosso, ritenendo una differenziazione così fondata come ineluttabile e definitiva. Ma come si può differenziare una "razza pura" in un Paese che è una piattaforma sul Mediterraneo, punto di incrocio ideale di genti di ogni provenienza ? Basta negare l'evidenza: punto 5. Ci si appella ad una (del tutto presunta) assenza di flussi migratori rilevanti per "almeno un millennio", vale a dire poche decine di generazioni, cioè un nulla, in termini biologici: un clamoroso errore di scala temporale, per quello che si pretenderebbe di dimostrare. Da queste due asserzioni deriva infine l'esistenza di una "pura razza italiana" definita biologicamente e non culturalmente, enunciata al punto 6. La distinzione ha la sua ragione di essere nel fatto che gli elementi culturali cambiano, si scambiano, si imparano, si abbandonano o si acquisiscono molto velocemente; una razza definita su basi culturali, storiche, tradizionali o religiose sarebbe terribilmente instabile e cangiante: persino i dieci sconosciuti luminari fascisti se ne rendevano conto perfettamente.
Del resto, il dilemma "natura / cultura" si è trascinato fino ai giorni nostri nei tentativi di interpretare le origini delle caratteristiche mentali e comportamentali degli individui.
Ed il fatto che l'educazione di una intera generazione di italiani abbia potuto essere fondata su concetti che oggi vediamo in tutta la loro vacuità, è una dimostrazione di quanto rapidamente le presunte "identità culturali" siano destinate a modificarsi ed alterarsi, plasmate dai tempi e dalle nuove acquisizioni.
D'altronde, qualsiasi cultura collettiva che rinunciasse a scambiarsi continuamente pezzi, frammenti e cocci con le altre, sarebbe destinata a morire e ad auto-fossilizzarsi; diventerebbe un pò come quella degli Amish dell'Ohio: interessante, per carità, ma solo come reperto museale.
E' questo il punto rilevante se si pensa al presente.
Oggi, che il concetto di razza umana è stato espulso dalla scienza per dimostrata inconsistenza, e che il bersaglio grosso delle differenziazioni su base biologica non è più raggiungibile, cosa rimane al razzismo dei giorni nostri per escludere e respingere ogni diversità e non-omologazione ?
Quale sarà mai il bersaglio di ripiego ?
Provate ad eliminare quel punto 3, e a rileggere il decalogo, con gli opportuni riarrangiamenti, sostituendo il concetto di razza appunto con quello di "identità culturale"...
Ed ecco che per il resto si possono riciclare ancora tutte le stesse mercanzie ideologiche di 75 anni fa: non avvertite degli echi familiari ?
Non vi sovvengono immagini di semianalfabeti in cravatta verde ? Soli delle Alpi ? Padanie ? O bigottismi nazionalistici ? Un La Russa tricoloreggiante qua, un Giovanardi baciapileggiante là... tutti a difendere "identità culturali" limpide e sacre, intoccabili e immutabili (ma destinate a sorprendere i loro stessi paladini e difensori, relegandoli in un inguardabile ed evanescente passato prima che se ne accorgano).

martedì 23 luglio 2013

Colpa della FIOM

Nel Paese che da oltre trent'anni venera il pagare meno tasse come il Verbo di una religione ancora più dogmatica e superstiziosa delle religioni "vere", una grande città è al dissesto finanziario perchè le sempre più esigue entrate fiscali generate da una popolazione sempre più carica di disoccupati non arrivano più neanche ad intaccare il debito pubblico galoppante prodotto negli anni spensierati della certezza della crescita continua.

E c'è qualche cosa di simbolico, e probabilmente di non casuale, nel fallimento dell'amministrazione municipale nella capitale mondiale dell'automobile, il prodotto industriale che ha fondato il suo secolo di successi sul mito dello sviluppo senza limiti.

Quale merce era più desiderata delle automobili, quale produzione garantiva più ricchezza, più profitti, prestigio e accesso nell'aristocrazia imprenditoriale ?

Quale merce ha più pesantemente condizionato le architetture urbane, le scelte infrastrutturali, modellato le città, plasmato le abitudini e i comportamenti ?

Quale merce più dell'automobile si è raffigurata come una necessità eterna ed insostituibile, ed ha regalato ai suoi luoghi di produzione l'illusione di una prosperità perpetua ed illimitata ?

Quale merce più dell'automobile si è avvitata nella spirale senza scampo dell'economia globalizzata, spostando gli impianti, all'inseguimento del miraggio del maggior profitto, verso manodopera a basso costo che mai diventerà consumatrice del suo stesso prodotto, ed espellendo dal lavoro le maestranze meglio retribuite, e quindi potenziali acquirenti ?


"Se voglio vendere le mie automobili, occorre che i miei operai siano pagati a sufficienza per acquistarne una."
H. Ford, 1914.

"E' colpa della FIOM."
S. Marchionne, sempre, da quando è nato.