lunedì 9 novembre 2009
L'acqua non è una merce
La settimana scorsa il Senato ha approvato il decreto legge 135, i cui effetti devastanti sinergizzano con quelli del decreto Tremonti dello scorso anno (il fatto che con la maggioranza che c'è nel Parlamento si vada avanti a legiferare a colpi di decreti e voti di fiducia la dice lunga sulla fedeltà reciproca sui cui possono contare le varie fazioni delle mafiette e delle mafione rappresentate nel Popolo del Partito del Popolo del Popolo del Partito della Libertà anche con la Condizionale, ma questo è un altro discorso).
Di che cosa si tratta ? E' un decreto che affida la gestione dei "servizi pubblici locali di rilevanza economica" al mercato; in sostanza vanno obbligatoriamente privatizzati e gli enti pubblici non potranno detenere più del 30% delle quote delle società di gestione. Sarebbe già abbastanza selvaggio, ma quello che è peggio è che il Governo inserisce tra i "servizi pubblici di rilevanza economica" anche l'acqua.
Un emendamento che permette di mantenere la proprietà pubblica delle reti, cioè degli acquedotti, con l'apparente intento di salvaguardare il controllo pubblico su un bene prezioso e vitale, rischia di aggiungere la beffa al danno: rischiano di rimanere a carico della collettività i costi di manutenzione delle reti idriche, ed ai privati andrebbero solo i profitti della gestione della distribuzione, senza neanche il minimo fastidio di qualche investimento sulle strutture.
Il decreto dovrà ora passare alla Camera, ma temo che ci siano poche possibilità di ribaltare il misfatto, vista l'entità della maggioranza e la nullità dell'opposizione: il Partito Democratico, sempre coerente con se stesso, non riesce a prendere una posizione chiara.
Saranno sempre più mortiferi gli ultimi morsi del capitalismo, il mostro in agonia che ormai non può divorare altro che se stesso e, esaurite tutte le risorse sfruttabili, si riduce a speculare sui beni vitali di primaria importanza.
La Regione Puglia e molti Comuni stanno muovendosi perchè l'acqua venga salvaguardata come bene comune non di rilevanza economica, e non si possa lasciare in balia della sete di profitto delle imprese la sete reale delle persone. Dovrebbe essere un principio ovvio, ma non lo è più nella frenesia speculativa dell'economia di mercato ormai morente.
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